Maya 80

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Città del Messico, Tenochitlan,
Teotihuacán, Tula
Uxmal,
Palenque
Agua Azul, San Cristóbal de
las Casas, Comitán,
Montebello, Huehuetenango
Chichicastenango
Lago Atitlán, San Lucas
Tolimán, Antigua,
Città del Guatemala
Copán,
Quiriguá
Rio Dulce, Foresta del Petén,
Flores, Tikal,
Melchor de Mencos
Belmopán, Belize City,
Tulum, Playa del Carmen,
Cozumel, Isla Mujeres
Chichén Itzá, Mérida,
New York
 
Viaggio effettuato nell'aprile 1980
   
Le prime luci dell'alba sulla spiaggia di Tulum.
Non è pensabile di riuscire ad arrivare a Belize City, così verso le nove di sera siamo dalle parti di Belmopán, la moderna ed anonima capitale del Belize.
C'è un locale in periferia dove ci fermiamo a mangiare qualcosa serviti da splendide bellezze caraibiche ed assordati da una forte musica ritmata. Annessa al ristorante c'è una specie di pista da ballo dove la gente del posto è impegnata con le danze. Parliamo con il titolare del locale: non ci può dare le camere, però se vogliamo quando il locale chiude possiamo sistemarci lì con materassini e sacchi lenzuolo.
I balli proseguono fino a tardi. In attesa che cessino non abbiamo difficoltà a capire che ci sono certi movimenti dovuti ad altre diverse attività di intrattenimento: ecco perché non potevano darci le camere, occupate da altri probabilmente a rotazione!
Finalmente la sala da ballo rimane vuota e silenziosa e noi possiamo prendervi possesso. Andando nei servizi, vediamo una cosa strana: i lavandini non hanno i soliti rubinetti, ma sono alimentati da un serbatoio d'acqua, sul tipo di quello degli sciacquoni. E' un modo inconsueto per avere l'acqua per quel tanto che serve senza sprecarla, magari dimenticando il rubinetto aperto.
Prima delle sette siamo già in piedi ed alle sette lasciamo Belmopán. Lungo la strada troviamo ogni tanto dei piccoli paesi con le case in legno e con gli abitanti, in genere di alta statura, con abiti variopinti e coloratissimi. Tra un paese e l'altro attraversiamo palmeti, boschi e poi anche zone basse e paludose.
Ormai siamo a Belize City. Non abbiamo alcun interesse a fermarci: sul pulmino Giancarlo racconta aneddoti di disavventure capitate qui in altri viaggi: sembra che i ladri non manchino, e spesse volte sono anche molto decisi e sfacciati.
Alla periferia di Belize City vediamo lungo la strada le tipiche case in legno stranamente inclinate: sembrano intatte, ma inclinate come se una grande mano le avesse schiacciate tutte su di un lato ripiegandole. Anche molte palme sono inclinate, spezzate e sradicate. Ci viene in mente che quando eravamo a Ciudad de Guatemala avevamo sentito per televisione la notizia di un ciclone in avvicinamento sulla costa del Messico e del Belize. Avevamo anche commentato che noi per quella data non saremmo ancora arrivati là, perché si doveva essere nel Petén. Così ora, passando, vediamo i danni che ha provocato il passaggio di quel ciclone, che comunque doveva aver esaurito gran parte della sua forza dal momento che qui non vediamo case scoperchiate e scene di distruzione totale.
Giungiamo a Santa Elena, dove c'è il confine con il Messico che attraversiamo senza difficoltà, salvo un controllo meticoloso dei documenti dei nostri pulmini e la loro registrazione nei passaporti.
A Chetumal ci fermiamo per un veloce pranzo al sacco. Costeggiamo il lago di Bacalar; la strada corre su lunghi rettilinei. Si rischia di restare a secco di benzina ed allora Giancarlo fa uno stop presso un'officina meccanica e rifornisce di cinque litri ciascun pulmino, ben sapendo che pagheremo il doppio del prezzo normale, come già ci era capitato nel Chiapas.
Finalmente, il sole è già tramontato, arriviamo a Tulum. Ci sistemiamo in un campeggio sulla spiaggia, il Camping Al Paraiso.
Molti non riescono a trattenere la voglia sopita per gran parte del viaggio di fare il bagno nel mare dei Caraibi. Così siamo tutti in acqua per un bagno notturno.
Intanto ad un ristorante prenotato da Giancarlo ci preparano la cena: dopo tanti biscotti, gallette e frutta mangiati nei giorni scorsi (ed anche oggi a Chetumal) c'è una cena a base di aragosta.
Si termina la giornata rifugiandoci nelle nostre tende, ma c'è chi decide di dormire all'aperto sulla spiaggia sotto una palma davanti al mare dei Caraibi.
Sveglia antelucana per godere dei colori dell'alba: il cielo si infiamma di rosso quando la prima fettina del disco solare comincia ad apparire all'orizzonte.
Si fa colazione e poi, nonostante ci sia chi vuole restare sulla spiaggia, ci si dirige verso le rovine di Tulum.
C'è uno sperone di roccia isolato che si protende sul limpido mare dei Caraibi e su una spiaggia di sabbia corallina bianchissima.
Le rovine di Tulum con il "Palazzo delle Colonne" ed il "Gran Palazzo" viste da "el Castillo".
 
El Castillo di Tulum proteso sul mare dei Caraibi.
 
Su questo sperone roccioso i Maya hanno costruito la loro cittadella, la loro fortezza. Una posizione assolutamente invidiabile, ma probabilmente dettata dalla necessità di avere degli avamposti difensivi e dei luoghi elevati di avvistamento.
Forse l'insediamento era anche più antico delle rovine che possiamo vedere noi oggi, appartenenti al periodo post-classico.
Entriamo nell'area archeologica attraverso quella che una volta era la porta occidentale della fortezza, che si apriva su un muro di cinta che difendeva il luogo su tre lati; il quarto era difeso naturalmente dall'alto scoglio sul mare.
Il Tempio degli Affreschi a Tulum.
Uno dei primi edifici che incontriamo, mentre siamo diretti verso il Castillo, è il Tempio degli Affreschi.
Non sono numerosi gli affreschi maya che sono arrivati fino a noi, complici la qualità delle pitture usate e soprattutto le condizioni proibitive per la loro conservazione (il caldo umido) che si hanno all'interno della foresta. I più famosi sono quelli di Bonampack e, a dire il vero, Giancarlo si era informato a Comitán sulla possibilità di raggiungerli con un volo privato di un piccolo apparecchio a noleggio, ma ci mancava il tempo, avremmo dovuto avere un paio di giorni in più.
A Tulum sorprendentemente si sono conservati degli affreschi all'interno di questo tempio, nonostante siano stati esposti ad un'atmosfera ricca di salinità, per essere ad un centinaio di metri dall'oceano.
Si entra nel tempio attraverso un colonnato e, all'interno, c'è l'angusta stanza con tre aperture. Da qui possiamo vedere gli affreschi, che non sono stati ancora restaurati.
Sinceramente non li trovo molto leggibili e mi riuscirebbe difficile descrivere che cosa rappresentino: mi sembra di intravedere, su un fondo che appare nero, dei serpenti, forse delle cerimonie religiose.
 
 
Un particolare degli affreschi all'interno dell'omonimo tempio di Tulum.
La costa di Tulum verso sud vista dalle rovine de "el Castillo".
 
A sinistra ci sono altri complessi: il Palazzo delle Colonne, l'edificio più grande di Tulum caratterizzato da delle colonne, o meglio i resti di quelle che erano colonne che sostenevano probabilmente un portico o una galleria. Oltre c'è un'altra struttura con quattro colonne all'ingresso.
Proseguiamo al momento diritti e saliamo sulla piattaforma del Castillo: da qui vediamo un panorama stupendo con la spiaggia candida sotto di noi, a destra ed a sinistra, e davanti l'azzurro trasparente del mare dei Caraibi.
Saliamo gli ultimi gradini ed entriamo nel Castillo.
Una figura ricorrente nelle decorazioni sui fregi è quella che viene chiamata il Dio Discendente: un personaggio che, a testa in giù, sembra si stia per tuffare, e non avrebbe tutti i torti visto in quale mare andrebbe a tuffarsi!
Lo abbiamo visto sul fregio di un edificio oltre il Palazzo delle Colonne, lo abbiamo visto qui, al Castillo, e c'è anche un tempio di fianco che è chiamato proprio Tempio del Dio Discendente: qui c'è una delle rappresentazioni migliori, con la figura della divinità alata che si tuffa realizzata a stucco in una nicchia del fregio superiore.
 
Il Dio Discendente di Tulum.
 
Il significato del Dio Discendente potrebbe collegarsi al Dio della Pioggia, ma anche al raggio di sole che scende dall'alto a beneficare la terra.
Un "sirenetto" nel mare dei Caraibi.
La visita continua, ormai ciascuno per proprio conto, a cercare ed esplorare luoghi e prospettive particolari. Agli angoli della cinta muraria sono poste piccole costruzioni, forse torri di guardia. Altri resti di tempietti sono a nord del Castillo, dove sotto si apre una piccola cala.
Ritorniamo sulla spiaggia, allontanandoci verso sud dalle rovine e andando anche oltre la zona dei campeggi. Fatto forse un chilometro, o anche più, siamo veramente soli su questa spiaggia bianca, le palme da una parte, l'oceano dall'altra.
Qualcuno lancia l'idea, subito raccolta da tutti, e così restiamo a prendere il sole o a fare ripetuti bagni in costume adamitico. Forse sarà anche vietato, ma qui, tranne noi, non c'è proprio nessuno.
 
La spiaggia deserta sul mare dei Caraibi allontanandoci verso Sud di Tulum.
 
Continuiamo ad allontanarci verso sud e così arriviamo ad alcune capanne di pescatori: ovviamente ci siamo rivestiti. I pescatori ci mostrano uno squalo morto sulla spiaggia. Con un coltellaccio aprono la pancia e fanno uscire dei piccoli squaletti, già morti, che non erano ancora nati.
In un altro contesto potrebbe apparire una scena raccapricciante, ma nell'ambiente sincero e naturale nel quale ci troviamo, osserviamo con curiosità senza alcun pregiudizio.
Ci avviamo sulla spiaggia verso il ritorno al nostro campeggio. E' tempo di pranzo quando ci arriviamo e per menù c'è carne di tartaruga. Anche qui nessun cenno di disgusto, come si potrebbe! E' una carne saporitissima ed appetitosa. la carne di tartaruga ha la particolarità di avere tanti sapori, tutti i sapori della carne secondo il taglio: c'è la parte che assomiglia al pesce, c'è la parte che assomiglia alla carne bianca del pollo, c'è quella che assomiglia al vitello e così via.
La spiaggia di Playa del Carmen.
Dopo mangiato, chi non lo ha ancora fatto, smonta la tenda; poi un ultimo bagno ed alle 16.20 si riparte.
Sono una sessantina i chilometri che facciamo, da Tulum a Playa del Carmen.
Lo stesso magnifico mare, la stessa bellissima spiaggia.
Fermati i pulmini su uno spiazzo accanto ad un palmeto, stiamo scaricando i bagagli quando improvvisamente sentiamo un botto: è una noce di cocco che si è staccata da una palma ed è caduta a terra.
Questo fatto ci consiglia di evitare di piantare le tende giusto sotto le palme: una noce di cocco, che ha un certo peso, che cade da quell'altezza non farebbe bene né alla tenda né alle nostre teste.
Restiamo nel palmeto ma evitiamo di posizionare le tende proprio sotto le palme.
Dopo cena concludiamo la serata con un bagno notturno.
All'indomani con una passeggiata di cinque minuti a piedi raggiungiamo la dighetta di cemento che fa da imbarcadero per il battello che collega l'isola di Cozumel alla terraferma.
La spiaggia di Puerto Juárez vicino all'approdo per l'imbarco a Isla Mujeres.
La traversata dura un'ora: anche al largo l'acqua non perde il suo splendido colore azzurro. A Cozumel sbarchiamo in quello che praticamente è l'unico centro abitato: San Miguel.
Contattiamo l'autista di un pick-up per fare un giro dell'isola: visto che c'è chi ha preferito fermarsi a Playa del Carmen, ci stiamo tutti. A Cozumel ci sono resti di guarnigioni di Putún, i Maya Chontal, che controllavano le vie marittime attorno alla penisola dello Yucatán. Una parte di questi, che poi verrà chiamata Itzá, nel X secolo si stabilì anche a Cozumel. Qui, oltre ad opere militari, costruirono un grande santuario dedicato ad Ixchel, la Dea della Luna, protettrice della fertilità e del parto.
Oggi non siamo interessati alle vestigia maya; tra l'altro, da quello che abbiamo saputo, sono molto modeste e difficilmente accessibili senza una Land Rover o comunque senza una macchina a trazione integrale. Inoltre durante la II Guerra Mondiale Cozumel fu sede di una base dell'Air Force americana ed all'epoca, per costruire la pista dell'aeroporto militare, furono distrutte molte delle rovine maya: quello che non riuscirono a fare i conquistadores, portarono a termine gli americani!
Durante il giro dell'isola all'aria aperta (siamo quasi tutti sul pianale del pick-up) vediamo una grande quantità di iguane terrestri: sono immobili per scaldarsi al sole e fuggono via spaventate al nostro passaggio.
Sulla via del ritorno non manchiamo di fare tappa alla laguna Chankanaab, con un'acqua trasparente al punto che si possono vedere pesci coloratissimi senza necessità della maschera.
Ritornati a San Miguel, passeggiamo nel paese in attesa della partenza del traghetto per Playa del Carmen, dove in un baracchino tipo bungalow vicino all'approdo troviamo il gruppetto che non era venuto a fare l'escursione con noi. Ci uniamo a loro per pranzare sulla spiaggia con uno stupendo ceviche de pescado, pesce crudo marinato con limone, cipolla, aglio, peperoncini ed altre spezie.
Nel pomeriggio facciamo un altro piccolo trasferimento di una settantina di chilometri per arrivare a Puerto Juárez, subito dopo l'incrocio per entrare a Cancún. Anzi, giunti all'incrocio, proviamo ad entrare a Cancún: percorriamo per alcuni chilometri la strada principale, fiancheggiata a destra ed a sinistra da moderni edifici a molti piani, in pratica dei grattacieli, molti dei quali sono alberghi lussuosi con piscina al'interno.
Non ci piace
Preferiamo le spiagge dove siamo appena stati.
Ed anche quella di Puerto Juárez non ci delude.
Alla sera tuttavia ci vogliamo concedere un pizzico di mondanità e ritorniamo a Cancún per cenare in un ristorante di un certo livello, del quale non possiamo non essere soddisfatti.
Alla mattina a Puerto Juárez prendiamo il battello che, in meno di un'ora, ci fa arrivare a Isla Mujeres.
Durante la traversata non possiamo non ammirare il colore del mare d'un azzurro perfetto, quasi come quello che si trova sulle piastrelle all'interno delle piscine: vediamo in una zona il mare di un azzurro nettamente differente, forse per la presenza di scogli sott'acqua o per la diversa profondità del fondale. Qualcuno fa la battuta: «Qui gli è riuscita un po' male, dovevano aver finito le piastrelle!»
 
Il mare durante la traversata da Puerto Juárez a Isla Mujeres.
   
Il nome Isla Mujeres (isola delle donne) probabilmente deriva dal fatto che qui riparò al principio del 1517 Francisco Hernández de Córdoba, sospinto da un forte vento. L'equipaggio, durante una ricognizione a terra, secondo quanto scrisse un cronista, trovò un mucchio di statuette d'argilla di figure di donna. Oggi si pensa che si trattasse di un luogo cerimoniale maya, una tappa obbligata nel percorso verso il luogo di culto della vicina isola di Cozumel dedicato alla Dea della Luna Ixchel, protettrice della fertilità e del parto.
A Isla Mujeres restiamo qualche ora: arriviamo agevolmente a piedi a Playa Los Cocos, dove facciamo qualche bagno in un'acqua assolutamente trasparente e tranquilla.
Anche a Isla Mujeres ci sono dei resti maya: sono sul luogo dove riparò la spedizione di Francisco Hernández de Córdoba, nella punta meridionale dell'isola. Si potrebbe prendere un taxi per arrivare fin là, ma nessuno ne ha voglia: si sta troppo bene nel mare e su questa spiaggia.
Alle tre del pomeriggio prendiamo il battello per tornare a Puerto Juárez ed alle quattro siamo già nei nostri pulmini pronti a lasciare alle nostre spalle lo splendido mare dei Caraibi.
 
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Pagina aggiornata il 17 novembre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo