Maya 80

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Città del Messico, Tenochitlan,
Teotihuacán, Tula
Uxmal,
Palenque
Agua Azul, San Cristóbal de
las Casas, Comitán,
Montebello, Huehuetenango
Chichicastenango
Lago Atitlán, San Lucas
Tolimán, Antigua,
Città del Guatemala
Copán,
Quiriguá
Rio Dulce, Foresta del Petén,
Flores, Tikal,
Melchor de Mencos
Belmopán, Belize City,
Tulum, Playa del Carmen,
Cozumel, Isla Mujeres
Chichén Itzá, Mérida,
New York
 
Viaggio effettuato nell'aprile 1980
   
La Piramide dell'Indovino (o del Nano) a Uxmal con la sua caratteristica pianta ellittica.
Il volo dell'Aeroméxico ha ben cinque ore di ritardo che trascorriamo trastullandoci nell'aeroporto. Finalmente si decolla alle 21.20, con un breve scalo intermedio a Villahermosa ed arrivo a Mérida alle 23.20.
Avevamo prenotato dall'Italia due pulmini Volkswagen per il resto del nostro viaggio. Data l'ora tarda, in aeroporto troviamo tutto chiuso, anche gli uffici dell'autonoleggio, ma davanti alla serranda abbassata c'è ad attenderci il titolare il quale aveva saputo del ritardo del nostro volo.
C'è da firmare il contratto di noleggio e controllare lo stato dei pulmini, quindi carichiamo i bagagli e, guidando noi, raggiungiamo un albergo che avevamo prenotato da Città del Messico, non senza esserci persi prima per le strade di Mérida: alle 2.30 siamo a letto, ma ci attenderà la sveglia fra non molte ore.
Il giorno dopo infatti riusciamo a partire, nonostante la stanchezza, alle otto in punto: ci distribuiamo a casaccio nei due pulmini Volkswagen che guideremo a turno. Invece la composizione degli occupanti resterà sempre la stessa per tutto il resto del viaggio: gruppo vincente non si cambia!
Dopo un'ora arriviamo ad Uxmal.
Il nome di questa città, che si ritiene sia stata fondata nel VI secolo della nostra vera, significa in lingua maya "fondata tre volte".
Le rovine sono sparse in un'area di circa un chilometro per 500 metri tra una fitta vegetazione a macchia sulla quale spicca con i suoi 39 metri d'altezza la Piramide dell'Indovino (detta anche Piramide del Nano) che è il primo edificio che incontriamo appena entrati.
Ha la particolarità di essere costruita su una pianta ellittica ed al suo interno conserva precedenti costruzioni.
E' un fenomeno usuale nelle piramidi precolombiane: costruita una piramide, dopo, per svariati motivi (cambio del sovrano, nuove popolazioni arrivate, mutamento del gusto artistico, maggiore importanza della città, ecc.) veniva sovrapposta una piramide di maggiori dimensioni che si sovrapponeva alla precedente.
Il Quadrilatero delle Monache visto dall'alto della Piramide dell'Indovino a Uxmal.
Così è avvenuto qui, dove gli archeologi scavando dei tunnel di perlustrazione nel corpo della piramide sono arrivati al primo tempio, posto sulla sommità di quella che era una precedente piramide più bassa, che poi venne sopraelevata. Attraverso altre aperture si può accedere al terzo ed al quarto tempio. Quello attualmente visibile sulla sommità della piramide è il quinto.
I gradoni per salire sulla Piramide dell'Indovino sono piuttosto ripidi: è bene non affrontarli seguendo una linea retta, ma compiendo un percorso a zig zag. Ma il colpo d'occhio che si ha dall'alto ripaga della fatica.
Quasi di fronte a noi c'è il complesso chiamato Quadrilatero delle Monache, quattro edifici rettangolari separati fra loro, come dovessero formare il chiostro di un monastero. In fondo, un po' spostato verso sinistra, c'è il lungo edificio (98 metri di lunghezza) denominato Palazzo del Governatore; tutto attorno una macchia alta e fitta di vegetazione che lascia intravedere, qua e là, le parti più alte di altre rovine.
Ridiscendiamo per entrare dapprima nel Quadrilatero delle Monache, dove gli edifici hanno una complessa decorazione, diversa per ciascuno, composta da motivi geometrici, serpenti bicefali che intrecciano i propri corpi, testoni stilizzati del dio Chac, il dio della pioggia, elemento tanto importante per una popolazione di agricoltori. Chac è l'equivalente di Tlaloc, che abbiamo visto tra gli Aztechi, raffigurato sulla Piramide di Quetzalcoatl a Teotihuacán.
E' interessante notare che sul fregio di un edificio è riprodotta in pietra una capanna maya, cioè l'abitazione della gente comune.
E' la stessa semplice abitazione, con il tetto di rami e paglia e le pareti esterne fatte di tronchetti legati assieme (junquillos con ataduras) che usano oggi i poveri contadini maya.
 
Su un frontone del Quadrilatero delle Monache, un bassorilievo riproduce la capanna maya.
 
 
Una capanna in legno e paglia dei contadini di oggi fotografata nella regione Quintana Roo.
 
Il Palazzo del Governatore ad Uxmal: è lungo 98 metri.
 
Poi è la volta del Palazzo del Governatore: ci arriviamo per un sentiero che si snoda attraverso dei bassi cespugli.
Attraversiamo anche l'area del Gioco della Pelota, dove le rovine sono ancora ricoperte in parte dalla vegetazione ed arriviamo quindi alla piattaforma del Palazzo del Governatore. I costruttori maya non conoscevano l'arco e quindi per chiudere la parte superiore delle porte e degli ambienti interne si servivano di quello che viene chiamato "arco a mensola" (detto anche "arco maya", anche se evidentemente non assomiglia ad un arco).
 
I Maya non conoscevano la chiave di volta: la pietra superiore a chiusura dell'"arco" in realtà è solo posata sopra per chiudere l'apertura tra le due mensole, senza alcuna funzione di sostegno.
 
In pratica, arrivati ad una certa altezza, facevano restringere le pareti avvicinando progressivamente le pietre le une alle altre verso il centro, ottenendo così una specie di mensola sulla quale era posta una pietra finale che chiudeva la fessura così ottenuta. Questa pietra finale non era una chiave di volta, perché non sosteneva nulla, ma solo una pietra che si appoggiava alle altre per chiudere l'apertura che restava in alto.
Sulla stessa piattaforma c'è anche un piccolo edificio, chiamato Casa delle Tartarughe per via di alcune tartarughe che vi sono scolpite sopra.
Ci spingiamo oltre: il sentiero è poco battuto ed abbastanza infestato da vegetazione e rovi; probabilmente la maggior parte dei turisti, i più frettolosi, si accontentano di arrivare fino al Palazzo del Governatore e poi ritornano indietro ritenendo conclusa la visita.
Noi invece arriviamo fino alla Grande Piramide (una trentina di metri d'altezza) in gran parte coperta di vegetazione ed assai mal ridotta. Solo una parte è stata un po' restaurata. Non proviamo neppure a salirvi sopra. Si suppone che siano stati gli stessi Maya ad averla parzialmente distrutta per costruirvi sopra un'altra più grande piramide, ma il lavoro non fu mai completato.
Proseguiamo oltre: il sentiero in pratica non esiste più. Ci sono cumuli di rovine: anche qui dovevano esserci edifici disposti a quadrilatero. L'unico del quale resta qualcosa è la Casa delle Colombe (o el Palomar), una struttura che conserva all'altezza del tetto delle "creste" che, viste da lontano, assomigliano a delle colombaie.
La pompa della benzina di un Volkswagen non ne vuole sapere di andare più: Giancarlo guarda il motore alla ricerca di una soluzione.
Altri ruderi appartengono a delle antiche aguadas, cioè cisterne per la raccolta e la conservazione dell'acqua piovana necessaria alla città.
Ripartiamo alle 11, dopo due ore di visita. Ci aspetta un lungo viaggio di circa 650 chilometri: questa sera dobbiamo essere a Palenque. Scegliamo così di percorrere la Via Corta.
Verso mezzogiorno ci fermiamo in un piccolo paese per acquistare qualcosa da mangiare, soprattutto frutta. Facciamo anche una spesa collettiva di papaia che mangeremo nei nostri minibus lungo la strada.
Ripartiamo dopo tre quarti d'ora.
Verso le 15 la strada comincia a costeggiare il mare: è un urlo collettivo quello che si leva dai pulmini, il mar dei Caraibi! Naturalmente c'è chi vorrebbe fermarsi, magari solo un attimo per mettere i piedi a mollo in quel mare azzurro. Ma Giancarlo è irremovibile e non si lascia corrompere: c'è ancora molta strada da fare.
Ma dopo un'ora e mezza dobbiamo comunque fermarci: uno dei due pulmini Volkswagen non ne vuole sapere di andare avanti. C'è un ampio consulto tra i "meccanici" esperti nel gruppo, i quali sentenziano che è un problema di pompa della benzina.
Avendo avuto anche io in passato quel problema, suggerisco di avvolgere la pompa della benzina con uno straccio da tenere frequentemente bagnato: è un problema di surriscaldamento della pompa e quindi si deve aiutarla a raffreddarsi.
La Piramide delle Iscrizioni a Palenque.
 
Il cunicolo che porta alla cripta all'interno della Piramide delle Iscrizioni di Palenque.
 
La pietra tombale della cripta nascosta all'interno della Piramide delle Iscrizioni.
Si fa il tentativo ed al primo colpo di messa in moto il motore riprende a funzionare!
Intanto grigie nubi si addensano nel cielo e dopo un po', verso le cinque, ci troviamo a guidare sotto il diluvio.
Attraversiamo Villahermosa quando è già buio: ci viene da pensare a tutta la strada che stiamo facendo, quando solo ieri sera eravamo a Villahermosa con l'aereo che vi aveva fatto un breve scalo!
Nell'altro pulmino si guida alternandosi nella guida: solo Giancarlo è restato tenacemente sempre alla guida del suo pulmino, senza cedere ad altri il volante.
Nel buio vediamo ai lati della strada come delle luci, dei bagliori intermittenti: proprio per il buio completo sembrano ancora più luminosi di quanto magari non siano in realtà. Decidiamo che sono delle farfalle notturne, delle specie di falene o lampiridi fluorescenti, forse dei cucuyos, come delle lucciole da noi, ma di dimensioni ben più grandi.
Sono le 21.30 quando arriviamo a Palenque dopo 650 chilometri e raggiungiamo il campeggio Nututun, non lontano dall'ingresso alle rovine. Illuminandoci con i fanali dei due pulmini, montiamo le tende e poi si cena tutti al ristorantino annesso al camping.
La mattina dopo, di buon'ora, smontiamo le tende e sistemiamo i bagagli nei pulmini che portiamo al vicino parcheggio presso l'ingresso della zona archeologica. Percorriamo quindi la via d'accesso al sito.
Il primo edificio che incontriamo sulla destra è la Piramide delle Iscrizioni, così chiamata perché all'interno di uno dei vani del tempio collocato sulla piattaforma sono finemente scolpiti 620 glifi che, assieme alla Scala dei Geroglifici di Copán in Honduras, rappresentano la più lunga iscrizione maya che sia stata rinvenuta.
Ma la cosa più sorprendente di questa piramide è che una trentina d'anni fa venne scoperto un passaggio nascosto che, dalla cima della piramide, portava al suo interno, praticamente scendendo al livello della base.
Ci vollero tre anni per liberare il passaggio dai detriti che lo ostruivano, scoprendo così che, all'interno della piramide, era celata una cripta che conteneva un sarcofago: rimossa la pietra tombale nel 1952, venne alla luce uno scheletro appartenuto ad un dignitario di alto rango, rivestito di preziosi monili di giada, con una maschera funeraria di grande suggestione.
Percorriamo anche noi il passaggio, con fatica soprattutto a causa del caldo umido soffocante che vi incontriamo, e ci troviamo di fronte alla cripta con la tomba e possiamo ammirare, illuminata a luce radente per metterne in risalto i dettagli, la pietra tombale con il complesso disegno inciso.
I fanta-archeologi hanno chiamato questa pietra "la tomba dell'astronauta", ma in realtà non c'è nulla di extraterrestre in tutto questo; si tratta semplicemente della tomba di un alto dignitario maya sul cui coperchio è scolpita tutta la simbologia maya: il dio della Morte, quello della Fecondità, la nascita dell'Uomo, le insegne del Potere, la croce simbolo della quadripartizione dell'Universo, infine l'uccello mitologico Moan, simbolo della fine e della morte.
 
Panoramica sul sito archeologico di Palenque, con "el Palacio" a sinistra e la Piramide delle Iscrizioni sul fondo, ripresi dall'interno di un tempio del Gruppo Nord.
 
Non si può sostare troppo a rimirare la cripta, che può essere vista solo da due persone alla volta, e dobbiamo risalire le ripide scale del passaggio nascosto, riaffiorando sulla sommità della piramide, dove respiriamo nuovamente a pieni polmoni, godendo del paesaggio che ci circonda sul quale sono armoniosamente disposti altri edifici che andremo a visitare.
Quasi davanti a noi si estende el Palacio con il suo intricato complesso di edifici e di cortili, sui quali si innalza una torre a sezione quadrata, che doveva avere tanto la funzione di osservatorio astronomico, quanto di torre di guardia sulla pianura che si domina verso nord con un angolo di visuale molto aperto.
 
Un cortile interno de "el Palacio" di Palenque.
 
 
Una foto che diventerà un classico: "el Palacio" di Palenque visto dall'alto della Piramide delle Iscrizioni.
 
Di questi personaggi modellati in stucco che fanno la guardia all'ingresso de "el Palacio" di Palenque sono restati solo i piedi.
Scendiamo quindi dalla piramide e cominciamo a scoprire le rovine del Palacio, con i suoi quattro cortili interni e gli edifici i cui vani sono piuttosto bui e poco aerati, avendo solo qualche apertura a forma di "T", stilizzazione estrema del dio della Pioggia.
Anche nel Palacio vediamo resti di decorazione a stucco; altri ne avevamo visti sul Tempio delle Iscrizioni. All'esterno del Palacio dovevano essere raffigurati a stucco dei personaggi, forse dei custodi dell'ingresso: di loro restano, inquietanti, solo i piedi.
Entrando in uno dei cortili incontriamo alcuni bassorilievi con raffigurazioni umane di grandi dimensioni.
Un sistema di corridoi, con la caratteristica volta a mensola, si snoda praticamente per tutti gli edifici del complesso, consentendo di passare dall'uno all'altro senza mai dover uscire sulle corti, percorrendo una specie di porticato.
Altre gallerie sono nascoste nel sottosuolo.
 
 
Le volte a mensola dei corridoi all'interno del Palacio di Palenque.
 
Fotografando nel Gruppo Nord, davanti al Tempio del Conte.
Sulla torre non è possibile salire: curiosamente esiste una scala in pietra che collega il primo al secondo piano ed il secondo al terzo, ma manca una scala che dal livello del suolo porti al primo piano.
E' possibile che il tratto mancante fosse costituito da una scala in legno, che magari poi poteva venire strategicamente ritirata per impedire l'accesso alla torre.
Restiamo colpiti dallo splendore del luogo: l'ambientazione con tanto verde, con colline naturali e terrapieni artificiali sui quali sono disposte le varie costruzioni. Una scenografia perfetta.
Proseguiamo verso nord passando davanti al Tempio del Conte che deve il suo nome ad un bizzarro personaggio, tale Jean-Frédéric Maximilien conte de Waldeck, il quale a Palenque si fermò due anni tra il 1831 ed il 1833 per disegnare le rovine e tentare di interpretare i geroglifici (glifi) maya.
Appena più in là, su un rialzo artificiale, ci sono i tre tempietti del Gruppo Nord, dai quali si ha una vista delle rovine verso sud, con in fondo la Piramide delle Iscrizioni.
Proseguendo ancora, oltre il Gruppo Nord, si arriva al piccolo museo dove è esposta la famosa Lapide degli Schiavi che illustra il tema, frequente nell'arte maya, di un sovrano (o palac uinic) nell'atto di ricevere offerte da un uomo ed una donna che stanno ai lati. Il personaggio principale è seduto sopra un cuscino portato da due schiavi: forse l'omaggio e l'atto di sottomissione che le popolazioni vinte recano al vincitore.
 
La famosa Lapide degli Schiavi di Palenque.
 
Concludiamo la visita ed abbiamo ancora il tempo per mangiare qualcosa prima di ripartire.
 
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Pagina aggiornata il 17 novembre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo