Dopo
la costruzione della torre, che venne ultimata con il completamento della
cella e della cuspide attorno alla metà del XII secolo, il campanile di
San Marco fu oggetto di numerosi eventi: venne colpito, a volte con
conseguenze disastrose, da moltissimi fulmini, subì incendi, fu scosso da
terremoti, venne dotato di un parafulmine, ospitò una batteria di
cannoni, una torre telegrafica,
eccetera.
Vide l'arrivo dei francesi, quello degli austriaci e poi la seconda
dominazione francese e la seconda dominazione austriaca, infine l'arrivo del Regno d'Italia
e sventolare il tricolore.
In questa pagina offriamo una panoramica delle vicende che lo
interessarono per oltre sei secoli.
L'incendio
della cima del campanile di San Marco causato dai festeggiamenti
fatti per la vittoria di Modone (piccola
miniatura contenuta nella "Cronaca Veniera", Biblioteca
Nazionale Marciana Venezia, M68, Cod. Marc. It. VII, 68 (8317), f.
110v).
Alcuni
autori ci tramandano che attorno al 1329 un certo architetto Montagnana
avrebbe compiuto un restauro alla cella campanaria ed alla cuspide
piramidale di legno ricoperto di rame dorato, ma non ci dicono i motivi
che giustificarono questo intervento.
Marco Caccio Sabellico (1436-1506) nel suo "De situ Venetiae
urbis" racconta che la punta del campanile, con le lastre
ricoperte d'oro da Jacobello Venato, rifulgeva di giorno ed era visibile
da molte miglia di distanza cosicché i naviganti potevano orientarsi come
se si fosse trattato di un faro diurno.
I costruttori del campanile non potevano immaginare l'effetto che avrebbe
avuto un'alta ed acuminata torre isolata, per giunta con la cima a punta
ricoperta di rame, sui fulmini. Le osservazioni e gli studi di Benjamin
Franklin (1706-1790) giungeranno solamente otto secoli più tardi.
La forma lunga e slanciata del campanile aveva un effetto di attrazione
irresistibile per le saette.
Secondo quanto ci riportano le cronache, il primo evento catastrofico che
subì il campanile fu un fulmine che lo colpì domenica 7 giugno 1388
durante un violento temporale: l'effetto fu devastante, si sviluppò un
incendio che bruciò la cima. Tuttavia venne prontamente riparata nello
stesso anno.
Al tempo della guerra con Genova, temendo che gli avversari potessero
giungere fin entro la laguna, furono issati sulla cella campanaria quattro
cannoni.
Più tardi tra i vari problemi che Venezia dovette affrontare sotto il
dogado di Michele Steno (Doge dal 1400 al 1413) ci fu
l'eterna rivalità con i genovesi che continuava: una flotta di questi, capitanata dal
francese Bucicardo, imperversava nel Mediterraneo ostacolando e
danneggiando gli interessi della Repubblica ed arrivando persino a
saccheggiare alcuni depositi di merci dei veneziani.
Dopo lunghe manovre di appostamento, il 9 ottobre 1403 il capitano Carlo
Zeno (1333-1418) riuscì, con uno stratagemma, a sconfiggere i genovesi a
Modone. La scena della vittoria è raffigurata nel soffitto della sala del
Maggior Consiglio in palazzo Ducale, con un chiaroscuro opera di Antonio
Vassilacchi, detto l'Aliense (1556-1626).
Quando la notizia della vittoria giunse a Venezia, il 24 ottobre ci fu una
gran festa e si fecero i fuochi per illuminare la città.
Malauguratamente si accese un fuoco anche nel «...Champaniel de San
Marcho meso suxo la piaza, in quelo intra fuogo per si fata maniera, che
tuta la cima de quelo se arse, e descholase el piombo per muodo sy fato,
che quelo se chonvene refar tuto de nuovo la parte bruxiada...».
Possediamo un'immagine di questo episodio in una piccola miniatura
contenuta nella cosiddetta "Cronaca Veniera" che però
risale alla seconda metà del XVI secolo. L'immagine, anche se schematica
e semplificata, è anacronistica perché non presenta il campanile nello
stato in cui si trovava agli inizi del XV secolo: l'angelo sulla cima
venne infatti issato nel 1513.
L'usanza di illuminare con torce e fanali il campanile per far festa
restò radicata per secoli a Venezia: nel XVI secolo era la Scuola dei Feraleri
(confraternita, o corporazione, dei fabbricatori di fanali) a dover
provvedere ai fanali per tre sere consecutive, tanto in genere duravano i
festeggiamenti, e per questo riceveva un compenso.
Ogni occasione era buona per fare illuminazione: fosse l'elezione di un
nuovo Doge, la stipula di un nuovo accordo internazionale, la conclusione
di una pace, l'incoronazione di un nuovo Pontefice o una vittoria.
Dopo
l'incendio della cima del campanile, alla
ricostruzione avrebbero dovuto provvedere i due Procuratori di San Marco,
Pietro Corner e Carlo Zeno, ma questi rinunciarono: il primo per motivi
d'età, il secondo perché già troppo impegnato, ricoprendo anche
l'incarico di Savio del Consiglio a Palazzo Ducale.
Dopo due anni non si era fatto ancora nulla. Così intervenne direttamente
il Maggior Consiglio: era indecoroso che un edificio così importante,
nella capitale del dominio veneziano, rimanesse in simile deplorevole
stato d'incuria. Così il 28 ottobre 1405 si stabilì di nominare due
persone con l'incarico di sovrintendere al restauro del campanile contro
il compenso di dieci ducati al mese ciascuno. Conosciamo il nome solo di
uno dei due: Fantino Pisani.
Dopo un anno i lavori erano a buon punto ed ormai bastava il solo Pisani a
sorvegliarli; così venne esonerato l'altro «...anche per minore
spesa...».
Con questo restauro venne mantenuta la forma originaria della cella e
della cuspide.
Francesco Sansovino (1521-1583) nella sua "Descrizione di
Venezia" dedicata a Bianca
Cappello De Medici menziona «...una saetta celeste...» che
avrebbe colpito «...la cima ch'era di legno...» nell'anno 1417:
ma è probabile che il Sansovino sbagli l'anno volendosi invece riferire
al fulmine del 1388.
Dove
Francesco Sansovino ricorda "una saetta celeste".
Poiché non abbiamo notizia, nei decenni successivi fino al 1489, di altri
lavori alla torre, possiamo ritenere che la prima realistica
rappresentazione del campanile di San Marco sia quella contenuta nella
xilografia di Erhard Reuwick (Utrecht, circa 1450-Magonza, circa 1505)
pubblicata per la prima volta nel 1486: la cella campanaria è sovrastata
dal loggiato completato dalla cupside piramidale ricoperta di lastre di
rame.
Si
tratta probabilmente della più antica raffigurazione realistica del
campanile di San Marco: è quella di Erhard Reuwick contenuta nel
volume di Bernhard von Breydenbach "Sanctarum peregrinationum
in montem Syon ad venerandum Christi Sepulcrum in Jerusalem"
edito a Magonza nel 1486 (Bibliothèque
nationale de France, Parigi).
Martedì
11 agosto 1489, due ore dopo il tramonto, scoppiò un forte temporale
estivo. Durante il fortunale caddero numerosi fulmini: di questi, uno colpì
il campanile della Basilica di Santa
Maria Gloriosa dei Frari, l'altro quello di San Marco.
In entrambi i casi le cime dei due campanili bruciarono causando la caduta
delle campane sul solaio della cella; quello di San Marco risultò
danneggiato perfino sul muro di mattoni della torre.
Vennero incaricati i Procuratori di San Marco non solo per restaurare il
campanile, ma anche per studiare un progetto che prevedesse la
ricostruzione della cuspide in pietra, per prevenire futuri incendi.
Per il progetto ci si rivolse all'architetto Giorgio Spavento (circa
1440-1509) che in tre mesi preparò un modello di rifacimento complessivo
in marmo e pietra della parte terminale del campanile.
Le casse dello Stato all'epoca erano esauste, a causa delle notevoli spese
belliche impegnate in quegli anni, così lo stato del campanile restò
fermo.
Ad opera dello stesso Spavento, con la collaborazione del mastro Stefano
Campanato, furono sistemate quelle campane che non si erano rotte perché
potessero tornare a suonare e subito sopra per ripararle dalla pioggia venne costruito un tettuccio
ribassato a quattro falde provvisorio di tavole e tegole.
Possiamo vedere il campanile così rattoppato alla bell'e meglio in due
raffigurazioni: la prima è quella che ne fa Jacopo de Barbari nel 1500
nella sua famosa veduta di Venezia "a volo d'uccello". Nel primo
stato della xilografia (databile, secondo gli studi di Giuseppe Mazzariol,
Terisio Pignatti e Juergen Schulz, nell'ottobre 1500) si vede appunto
questo tettuccio d'emergenza sopra il loggiato, al posto della cuspide
piramidale già raffigurata in precedenza (tre anni prima del fulmine) da Erhard
Reuwick.
Particolare
della xilografia di Jacopo de Barbari (ottobre 1500) che
mostra la copertura provvisoria messa a protezione della cella
campanaria dopo il fulmine caduto martedì 11 agosto 1489.
La seconda immagine del campanile danneggiato ci è data dal quadro La
Madonna leggente, attribuito (non univocamente) al Giorgione
(1478-1510) oppure a qualche suo allievo, come Sebastiano del Piombo
(1485-1547) oppure Giovanni Cariani (circa 1480/5-1547).
Si conserva all'Ashmolean Museum di Oxford e rappresenta la Madonna con il
Bambino assorta in lettura in una stanza; sulla parete di fondo si apre
una finestra con una delicata visione del bacino di San Marco verso il Palazzo
Ducale e la piazzetta.
La datazione dell'opera è stata collocata attorno al 1505 ed è
assolutamente compatibile con la cronologia del restauro del campanile.
La
"Madonna leggente" del
Giorgione (o del suo ambito) del 1505 circa: attraverso la finestra
si scorge il campanile di San Marco con la copertura provvisoria.
Il
campanile di San Marco con il tettuccio posto sopra il loggiato dopo
il fulmine che lo colpì nel 1489 (particolare del dipinto
"Madonna leggente" del 1505 circa del Giorgione o del suo
ambito).
Dopo
dieci anni la disastrosa caduta del fulmine ancora nulla era stato fatto
ed il Senato della Repubblica convocò i Procuratori di San Marco per
intimare loro di iniziare al più presto la ricostruzione a spese,
ovviamente, dell'Opera della chiesa. Ma i Procuratori fecero presente che
non erano in grado di finanziare il restauro per un lavoro che, alla fine,
interessava soprattutto lo Stato veneziano.
Trascorsero così altri dieci anni ed il 7 settembre 1508 fu il Procuratore di San Marco Paolo Barbo a sollecitare la Signoria a
restaurare il campanile!
Il Senato incaricò alcuni suoi membri affinché esaminassero il problema
e così trascorsero invano altri tre anni. Il 26 marzo 1511, verso le 3 del pomeriggio, Venezia venne scossa da un
tremendo terremoto: le cupole di San Marco tremarono come le colonne di
Marco e Todaro nella piazzetta, caddero delle statue e molti camini, il
movimento tellurico provocò un movimento ai due mori sopra la
Torre dell'Orologio tale da far loro battere alcuni colpi di campana. I
cronisti scrivono dell'acqua dei canali che ribolliva e che, forse
esagerando, in alcuni rii si ritirò al punto dal lasciarli all'asciutto.
I senatori, che erano riuniti in assemblea, fuggirono a più non posso «...senza
regola di maestà...» scendendo per le scale in un parapiglia
generale dove «...molti fono portati da alto a basso senza tochar scalin
alcuno con li piedi, tanto era la chalca...».
Il campanile di San Marco non restò immune al terremoto: ondeggiò più
volte con movimento Est-Ovest e si udirono rintoccare le sue campane.
Si aprirono delle brecce sulle pareti della torre e la crepa sul lato nord
fece cadere pericolosamente a terra anche nei giorni successivi calcinacci
e pietre.
Fu fatto divieto di suonare le campane nel timore che il loro movimento
potesse compromettere la stabilità della torre e
subito furono messi al lavoro gli operai dell'Arsenale per stabilizzare la
situazione; infatti, dopo qualche giorno, il 30 marzo, fu possibile
suonare alcune di esse.
Il restauro era diventato indifferibile: con decisione autoritaria il
procuratore Antonio Grimani (che sarebbe poi diventato Doge nel 1521)
iniziò i primi lavori che consistettero nel togliere il tettuccio
(provvisorio da 22 anni!) e demolire le strutture danneggiate della cella.
In poco meno di quattro mesi venne restaurata la parete Nord della torre
che era quella più compromessa.
Venne anche ripristinato l'intonaco che ricopriva da un secolo tre lati
della canna in muratura ed affrescato con un paramento di mattoni dipinti.
Non si trattava di un'operazione solo decorativa, ma aveva la funzione ben
precisa di proteggere le malte che tenevano uniti i laterizi evitando che
rimanessero esposte all'atmosfera ed alle intemperie.
Il
campanile di San Marco con la nuova parte terminale in pietra e
marmo appare per la prima volta in un particolare del quadro il
"Leone di San Marco" di Vittore Carpaccio.
Esistevano nel tesoro di San Marco
alcuni bauli contenenti oggetti d'oro e gioielli preziosi. Giacevano in
deposito da quasi un secolo e non se ne conosceva la provenienza. Così,
per finanziare almeno in parte i consistenti lavori, Grimani ottenne il
permesso di venderne il contenuto. Un anno dopo (1512) si iniziò a fabbricare la nuova loggia, in pietra e
marmo, probabilmente secondo il progetto predisposto oltre vent'anni prima
da Giorgio Spavento che, nel frattempo, era morto. Il suo posto era stato
preso da Pietro Bon (o Buono) che completò l'opera il 6 luglio 1513, quando venne
collocato sulla nuova cuspide del campanile l'angelo dorato.
Mancava solo «...di indorare et adornarlo la zima...», cosa che
venne completata nell'ottobre 1514: «...et fu dorada la cima, come
solea esser avanti già (...) et aggiontoli in cima ornamenti...».
Sullo
sfondo di questo celebre quadro di Vittore Carpaccio è
raffigurata per la prima volta la nuova loggia con la nuova
cuspide sormontata dall'angelo dorato.
La prima raffigurazione che è pervenuta a noi del campanile così
restaurato e rinnovato con la nuova cella campanaria e l'angelo dorato si trova sullo sfondo
di un quadro famoso, il Leone di San Marco che Vittore Carpaccio
(circa 1465-1525/6) dipinse per il Palazzo dei Camerlenghi a Rialto nel
1516 e che oggi si trova nel Palazzo Ducale.
Nel 1548 era architetto di San Marco Jacopo Tatti, detto il Sansovino
(1486-1570). Proprio il Sansovino si dovette occupare di un altro fulmine
che si era abbattuto sul campanile il 29 giugno.
Non erano passati che 14 anni ed ecco una nuova saetta colpire la torre
nella notte tra il 6 ed il 7 giugno 1562, e poi un'altra nel 1565 ed
un'altra ancora nel 1567. Per quest'ultimo restauro il Sansovino, che
avevo 87 anni, si avvalse della collaborazione di un valente capo mastro,
Girolamo Peloso.
Morto il Sansovino nel 1570, non sappiamo chi si occupò dei restauri
conseguenti alla caduta di due fulmini nel 1582, uno il 1° giugno,
l'altro il 15 luglio.
Qualcuno ipotizza che potesse essere stato Vincenzo Scamozzi (1548-1616)
che li cita nella sua opera "La idea dell'architettura
universale" trattando degli effetti dannosi per gli edifici dei «...fluidi
celesti...».
I lavori comunque furono materialmente eseguiti da un certo Christin del
fu Zuanne (Giovanni) de Matio.
Nel XVII secolo Baldassare Longhena (1598-1682) venne nominato architetto
di San Marco e si dovette occupare dei restauri necessari dopo la caduta
di un fulmine nel 1663: di questi lavori, che costarono 1230 ducati,
conosciamo i nomi dei capi mastro (uno di essi, Francesco Sonico, abitante
a San Cassiano in calle Muti -ancora oggi esistente- chiese il permesso di
poter utilizzare l'acqua dei due pozzi del cortile di Palazzo Ducale per
fare la calce e bagnare le pietre).
Il XVIII secolo vide tre poderose saette abbattersi sul campanile. La
prima cadde nel 1745 nel giorno di San Giorgio, 23 aprile, come annotò il notaio dei
Procuratori di San Marco Francesco Todeschini: il fulmine colpì l'angolo
esterno verso la Torre dell'Orologio (angolo Nord-Est) estendendosi per le
facciate provocando molte profonde fenditure dalle quali si staccarono delle
macerie che, precipitando al suolo, colpirono, uccidendole, tre persone.
Il restauro, iniziato da Bernardino Zendrini (1679-1747) nella notte stessa,
durò fino ad autunno.
Non venne sospeso il suono delle
campane: era stata compiuta una prova di staticità che consisteva nel
collocare in equilibrio su un palo un bicchiere colmo d'acqua; messe in
funzione all'unisono le campane, il bicchiere e l'acqua restarono immobili.
Tuttavia, per prudenza, venne vietato lo sparo di salve di cannone per le
navi ancorate in bacino, come pure le coete ed i mortaleti
(piccoli fuochi d'artificio).
Sui danni subiti dal campanile e sui restauri lo Zendrini ci lasciò tre
poderose relazioni.
Ma oltre a questi scritti abbiamo la testimonianza "quasi
fotografica" di Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto (1697-1768):
si tratta di un disegno a matita ed a penna con inchiostro bruno ed
acquerello grigio eseguito per il console Smith, oggi conservato nella Royal
Library di Windsor Castle: si possono notare i danni subiti dal campanile,
soprattutto sullo spigolo a Nord-Est, ed il ponteggio sospeso per i lavori
di restauro.
Il
cantiere con il ponteggio appeso al campanile di San Marco dopo
il fulmine che lo danneggiò il 23 aprile 1745 in un disegno acquerellato
di Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto (Royal
Library, Windsor Castle).
Successivamente il Canaletto eseguì una copia del primo disegno che si discosta solo per dei minuti particolari,
quest'ultima conservata al
British Museum.
Altri fulmini si succedettero: per restaurare i danni subiti dalla
saetta del 1761 furono spesi 640 ducati, mentre a causa di quella
abbattutasi il 23 giugno 1762 il conto arrivò a 3329 ducati.
Questo fu l'ultimo fulmine che si scaricò direttamente sul campanile.
L'abate Giuseppe Toaldo (Pianezze di Marostica 1719-Padova 1797), professore
di astronomia all'università di Padova, ma anche valente meteorologo
(fondò un "Giornale astrometeorologico" che venne
pubblicato dal 1762 fino alla sua morte) stava portando avanti delle
ricerche sui fenomeni celesti e, avendo conosciuto i lavori di Benjamin
Franklin, si applicò allo studio dei conduttori elettrici per difendere gli
edifici dai fulmini.
Fu lui ad avere collocato un parafulmine sulla Torre della Specola di Padova
nel 1773 che fu il primo parafulmine ad essere installato su un edificio
pubblico della Repubblica di Venezia.
Il 19 aprile 1775 l'abate Toaldo propose di usare un «...conduttore
elettrico...» (ossia un parafulmine) sul campanile di San Marco, cosa
che venne realizzata il 18 maggio 1776: si trattava del primo parafulmine
che ebbe Venezia in città.
"Dell'uso de'
conduttori metallici a preservazione degli edifizj contro de'
fulmini" di Giuseppe Toaldo, 1774 (fotocopia).
"Del
conduttore elettrico posto nel Campanile di S. Marco in
Venezia", memoria di Giuseppe Toaldo, 1776.
Il
vecchio campanile privo del Leone di San Marco, scalpellato durante
la prima dominazione francese (Collezione
privata).
Il campanile di San Marco nei
secoli fu sottoposto più volte a restauri non necessariamente legati ai
danni causati dalle saette.
Già abbiamo ricordato, all'inizio di questa pagina, il restauro eseguito
nel 1329 dall'architetto Montagnana.
Altre manutenzioni ci vengono raccontate dalle cronache: quella che vide
al lavoro il capo mastro Giorgio de Cristofolo con molti operai, tra il
1650 ed il 1652, il restauro del 1710 del mastro Agostino Checchia e
quello del 1737, quando venne ripassata da Stefano Codroipo ed Antonio
Pamio anche la cuspide del campanile e venne sistemato l'angelo dorato
posto in cima che aveva bisogno di qualche riparazione.
Anche di questo restauro possediamo un'immagine: si tratta di un'incisione
di Michele Marieschi (1710-1743) che si apre su una panoramica della
piazzetta di San Marco dove sono parzialmente visibili dei ponteggi
sospesi sul lato occidentale della torre.
Particolare
da un'incisione di Michele Marieschi "Forum minus Divi
Marci publicijs aedificis utrinque insigne": si staglia
sulle nuvole del cielo un ponteggio di cantiere di lavoro addossato sul
campanile di San Marco.
La manutenzione del campanile di San Marco era prerogativa dei Procuratori
di San Marco, organo che scomparve con la caduta della Repubblica.
Durante la municipalità provvisoria francese venne istituito un
apposito comitato che si doveva occupare, oltre che dell'istruzione e
della censura, anche degli affari di culto, fra i quali ricadeva il
campanile. L'unica azione che intraprese questo comitato nei confronti della torre
campanaria fu quella di accogliere la proposta del medico Rocco Melancini
di togliere, demolendoli, i due leoni di San Marco che Pietro Bon aveva
collocato sulle facce a Sud ed a Nord del dado sopra la loggia, perché «...quando
un popolo vuole rigenerarsi (...) per non più ricadere fra quelle catene
che un prodigio del cielo ha spezzato, deve togliere dagli occhi suoi
tutti quei segni, la cui abitudine in vederli potrebbe fargli per il
ribrezzo che giustamente gli ispirarono nei primi giorni della sua
rigenerazione...» ed aggiungeva «...che non era opportuno che il dolce e
pacifico carattere del popolo veneziano venisse rappresentato da una
fiera, che colle sue zanne non minaccia che stragi e rovine...».
Un'immagine
del vecchio campanile: si nota sul dado che sorregge la cuspide la
mancanza del leone alato, scalpellato durante la prima occupazione
francese (Collezione
privata).
Lavori
sulla cuspide del campanile in una vecchia fotografia del 1870 circa
(particolare).
Sotto la prima dominazione austriaca, a sovrintendere la basilica ed il
campanile fu chiamata una Commissione Camerale, che però ebbe vita
brevissima e fu soppiantata da una Congregazione Nobile Delegata,
sostituita a sua volta da un Capitanato Provinciale.
Al ritorno dei francesi le cure del campanile furono demandate alla
Prefettura dell'Adriatico e poi alla Fabbriceria.
Durante la seconda dominazione francese sulla cima del campanile venne
installato un telegrafo semaforico ad uso militare che, con un sistema di
codici ottici, poteva trasmettere e ricevere notizie in una linea che
collegava Venezia a Nord fino a Grado ed a Sud fino oltre Ancona, dove si
innestava la linea del Regno napoleonico di Gioacchino Murat.
Non era l'unica installazione che esisteva a Venezia: un telegrafo ottico
si trovava anche sopra il campanile della chiesa di San Trovaso e
scambiava messaggi per mezzo di una serie di altre torrette telegrafiche
dislocate nella pianura Padana fino a Parigi, attraverso Mantova, Milano,
Torino, Lione.
Al ritorno degli austriaci il telegrafo semaforico
napoleonico in cima al campanile di San Marco venne smantellato assieme
alla casetta di legno che ospitava gli osservatori che, muniti di
cannocchiali, scrutavano i segnali provenienti dagli impianti più vicini.
Il campanile non rimase immune da interventi di manutenzione e restauro
neppure sotto il Lombardo Veneto: l'intervento più rilevante fu
probabilmente quello del 1822, quando venne sostituita la statua
dell'angelo dorato sulla cuspide.
Il 21 e 22 ottobre 1866 si svolse il plebiscito dove i cittadini veneziani
espressero la volontà di unirsi «...al Regno d'Italia sotto il regno
monarchico costituzionale del re Vittorio Emanuele II e de' suoi
successori.».
Pochi giorni dopo venne ordinata una muta di nove bandiere nazionali per
Piazza San Marco: tre per gli stendardi della piazza, due per la chiesa e
quattro per il campanile. Il 3 novembre 1866 la ditta interpellata spedì
il preventivo allegando tre campioni di stoffa, uno per ciascun colore:
bianco, rosso e verde.
Il passaggio al Regno d'Italia portò ad un aumento di soggetti che
avevano competenza sul campanile: alla Fabbriceria ed al Municipio di
Venezia si aggiunsero gli uffici del Genio Civile, la Prefettura ed il
Ministero della Pubblica Istruzione con l'Ufficio per la Conservazione dei
Monumenti del Veneto.
Aumentarono i soggetti, aumentarono le opinioni, aumentarono le competenze
e, purtroppo, aumentarono anche la gelosia e la confusione.
Gli interventi per riparare i guasti del tempo sul campanile si
succedettero frequenti: notevole fu quello
del 1875 quando vennero sostituite parti di muratura alla base della torre
sotto la direzione dell'ingegnere Trevisanato. L'architetto (e archeologo) Giacomo Boni (1859-1925) nel 1885 effettuò dei sondaggi sotterranei per verificare lo
stato delle fondazioni. Il Boni espresse grande preoccupazione,
concludendo che «...le fondazioni sarebbero state sufficienti per un
campanile alto appena due terzi dell'attuale...».
Peccato che poi si verificherà che nessun cedimento delle fondazioni
avrebbe contribuito al crollo del campanile 17 anni dopo; tanto è vero
che la medesima fondazione, seppure allargata, sarebbe stata riutilizzata
per la ricostruzione del manufatto. Sul campanile si continuava a salire a piedi,
utilizzando le rampe poste tra la canna esterna e quella interna della
torre laterizia.
Per salire si impiegava circa un quarto d'ora.
Nel 1892 Pietro Saccardo, ingegnere e primo architetto della Fabbriceria
di San Marco, pensò di installarvi un ascensore: il motore doveva essere
ospitato all'interno della Loggetta
del Sansovino.
A questo progetto si oppose Luigi Vendrasco, un capomastro alle dipendenze
dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti, che senza
lauree o diplomi, ma con la lunga esperienza del proprio mestiere, fu
sempre molto critico nei confronti di alcune scelte di architetti ed
ingegneri (ed i fatti accaduti dieci
anni dopo gli diedero, almeno in parte, ragione).
Il
Vendrasco dunque inviò al Ministero della Pubblica Istruzione una
relazione con la quale sosteneva che se i lavori fossero stati eseguiti si
sarebbe compromessa la stabilità del campanile.
Venne istituita dal Ministro un'apposita commissione per valutare i
pericoli connessi alla realizzazione del progetto dell'ascensore che non
rilevò rischi per la statica della torre.
Tuttavia il progetto del Saccardo per l'ascensore venne bloccato.
Si dovrà attendere la ricostruzione del campanile per avere, nel 1912, il
primo ascensore che consentiva di salire velocemente sulla cella
campanaria.
Intanto
era palpabile la preoccupazione che il vecchio e glorioso Paròn de
casa fosse di salute sempre più malconcia, ma non si faceva nulla di
concreto: ci si limitava a sostituire qualche mattone della parete
muraria.
Poi
anche questa operazione, di modestissimo valore dal punto di vista della
statica, venne interrotta: infatti il Ministero della Pubblica
Istruzione, venuto a sapere che dei vecchi mattoni, che si sgretolavano
quasi da soli, venivano sostituiti con i nuovi, il 13 luglio 1901 tuonò
che «...questo non è un lavoro di riparazione, ma è lavoro di
innovazione ed io (il Ministro Nunzio Nasi - N.d.R.) non potrei né
lodarlo né permetterne il proseguimento.».
Tanto era urgente intervenire sul campanile che il parere ministeriale
arrivò a Venezia solo quasi tre mesi dopo (nell'ottobre 1901).
Parere ministeriale che, di fatto, impediva qualsiasi intervento
pretendendo di salvare il campanile con delle semplici
"riparazioni" (senza sostituire un solo mattone) quando la
situazione stava diventando disperata.
Il 9 maggio 1902 (due mesi prima del crollo) il Ministero della Pubblica
Istruzione ottusamente scrisse: «...nel caso che si riprendessero i
lavori al campanile (...) dopo il voto della Commissione, occorre
che esso Ministero ne abbia notizia ad esaminare il progetto nella
compilazione del quale si dovranno seguire i criteri proposti dalla
Commissione Ministeriale» ed il 24 giugno 1902 (20 giorni prima del
crollo) l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti richiese «...una
particolareggiata relazione sui lavori da eseguirsi...».
Mentre continuava lo scambio di note tra Fabbriceria, Comune di Venezia,
Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti e Ministero della
Pubblica Istruzione, il 14 luglio 1902 il campanile di Venezia crollò.
Due giorni dopo, il 16 luglio, il "Gazzettino di Venezia"
listato a lutto titolava a pagina intera: «Il campanile di San Marco
abbattuto dall'imperizia degli ingegneri governativi».
Una
panoramica di Piazza San Marco con il vecchio campanile prima del
crollo del 14 luglio 1902 (Foto
di Aldo Jesurum, firmata, montata su cartoncino. Collezione
privata).