In
questa paginetta segnaliamo vari episodi o curiosità che hanno riguardato
il campanile di San Marco e che non hanno trovato collocazione negli altri
capitoletti.
Sono inseriti senza seguire alcun ordine, ma alla rinfusa, così come
uscivano dalla penna (o, sarebbe da dire oggi, dalla tastiera).
Dove
Giustiniano Martinioni cita l'episodio dell'operaio come lo racconta
Giovanni Stringa.
Il
miracolo
Il primo episodio che vogliamo ricordare riguarda un miracolo, o presunto
tale, che si compì proprio sul campanile di San Marco: non c'è
concordanza su quando avvenne il fatto, ma i più lo collocherebbero
all'epoca del dogado di Domenico Morosini (Doge dal 1148 al 1156)
allorché venne completata l'opera «...usque ad capellam...»
(fino alla cella).
Quando si stava lavorando in cima al campanile, un operaio (del quale non
conosciamo il nome) precipitò dall'alto; durante la caduta ebbe il tempo
di raccomandare la propria anima San Marco e prodigiosamente riuscì ad
aggrapparsi ad una provvidenziale trave che sporgeva a metà campanile.
Sostenendosi a quell'appiglio, restò sospeso in aria fino a quando, con
una fune, riuscì a calarsi a terra senza danno.
Dove
Francesco Sansovino ricorda l'operaio che si salvò nella
caduta.
Il primo a raccontare l'episodio fu Francesco Sansovino (1521-1583)
nel suo "Venetia città nobilissima et singolare" del
1581. In una successiva edizione, quella curata da don Giustiniano
Martinioni nel 1663, in una delle sue additioni (aggiunte) troviamo
scritto che secondo il canonico di San Marco Giovanni Stringa il miracolo
sarebbe descritto anche in un libro (non citato) conservato nella
sacrestia della Cappella Ducale. Il testo riportato in latino, nella
sostanza, si discosta di poco da quanto descritto.
La giacca prodigiosa
La notizia venne pubblicata proprio con questo titolo dal quotidiano Il
Gazzettino di mercoledì 16 luglio 1902.
Il precedente lunedì mattina, poco prima del crollo del campanile di San
Marco, i muratori Marco Del Maschio e Giuseppe Pacuola erano al lavoro
sulla Loggetta del Sansovino e sul campanile.
Avevano lasciato le loro giacche dentro la Loggetta dove avevano riposto
anche alcuni utensili.
Sezione
del campanile di San Marco (1831).
Si
erano allontanati con altri tre colleghi per andare a prendere dei
materiali che si trovavano in Palazzo Ducale: appena oltrepassato l'angolo
della Basilica, il campanile crollò ed il gruppetto se la dette a gambe
urlando.
Il giorno dopo, martedì 15 luglio, quando i due non pensavano più alle
loro giacche, smovendo un poche di macerie dal cumulo di pietre e marmi in
cui si era ridotto il campanile con la Loggetta, venne incredibilmente
alla luce, impolverata ma intatta, la giacca di Marco Del Maschio.
Intatta venne anche ritrovata la cassetta di cemento che Giuseppe Pacuola
aveva portato il giorno prima fino all'altezza della ventinovesima rampa
all'interno del campanile. «Non solo intatta la cassetta, ma c'era dentro ancora tutto il cemento»
scriveva il giornalista de Il Gazzettino.
I visitatori del campanile
Se oggi è agevole salire fino alla cella campanaria servendosi
dell'ascensore, non era difficile neppure una volta: bastava percorrere il
lungo piano inclinato che si sviluppava tra le due canne concentriche
della torre. Si tratta di una serie di rampe collegate tra loro da pianerottoli. Non ci sono gradini, fatta eccezione per quelli posti agli
angoli, dove ci sono i pianerottoli, e dopo l'ultima rampa quelli che
formano la scala in marmo che porta alla loggia.
Il cavaliere Arnolfo di Harff, che fu a Venezia nel 1497, lasciò scritto
nel suo Viaggio in Italia che «...nel campanile c'è una scala
per la quale si può salire a cavallo come mi si assicurò aver fatto il
defunto imperatore Federico austriaco.». Il fatto ovviamente non è
provato e sinceramente, pur essendo possibile la cosa, ci sentiamo di
dubitarne.
Certamente il campanile, da sempre, era uno dei quattro luoghi che si
facevano vedere agli ospiti di riguardo della Serenissima: gli altri erano
l'Arsenale, il tesoro di San Marco e le sale d'armi del Palazzo Ducale.
Sono sopravvissuti fino ad oggi alcuni dei registri sui quali venivano
annotati i nomi dei visitatori.
Pare che un veneziano, cittadino
originario, non avesse problemi di sorta per salire sul campanile,
mentre gli stranieri venivano accompagnati.
Non sempre lo straniero saliva sul campanile per l'interesse di godere del
panorama: c'erano quelli che cercavano di capire, dall'alto, quali
potevano essere i percorsi in laguna per penetrare in città, come
quell'ambasciatore turco Alì bey, mandato dal Sultano, che il 31 ottobre
1517 fu accompagnato da alcuni magistrati facenti parte dei Savi agli
Ordini. Giunto alla sommità, si affacciò con interesse su tutti i
quattro lati osservando la laguna e chiedendo informazioni sui canali.
Ricevette la secca risposta dai suoi accompagnatori veneziani: «Signor
Ambassator, ti aviso che in questa guerra crudel ch'è stà di tutti i Re
dil mondo contra la Signoria, non è morto un homo di questa terra. Tutta
è sta fata con danari e con morte di soldati forestieri, e sta terra è
piena di zente come l'uovo, nè si pol prender».
Prudenzialmente Marino Sanudo (1466-1536) raccomandava di far salire gli
ospiti stranieri «...quando l'acqua è grande...», cioè con
l'alta marea: infatti l'alta marea nasconde, all'osservatore, la
profondità dei fondali, indispensabile per la navigazione in laguna.
La
targa posta a ricordo delle osservazioni fatte da Galileo Galilei
dall'alto del campanile di San Marco.
Galileo Galilei Non
solo Imperatori, Re ed Ambasciatori salirono sul campanile: il 21 agosto
1609, accompagnato dal Procuratore di San Marco de citra Antonio
Priuli (che verrà eletto Doge il 17 maggio 1618) ed altri notabili,
Galileo Galilei (1564-1642) mostrò ed illustrò tra la meraviglia dei
presenti il proprio «...cannon...» (cannocchiale).
Un
francobollo italiano che mostra Galileo Galilei, sulla
loggia del campanile di San Marco mentre illustra il suo
cannocchiale. Il disegnatore Corrado Mezzana (1890-1952) ha
raffigurato anche il Doge Leonardo Donà, che in realtà non
era presente.
«...posto a un ochio e serando (chiudendo) l'altro, ciasched'uno
di noi vide distintamente, oltre Liza Fusina e Marghera, anco Chioza (Chioggia),
Treviso et sino Conegliano, et il campaniel et cubbe (cupole) con
la facciata della chiesa de Santa Giustina de Padoa: si discernivano
quelli che entravano et uscivano di chiesa di San Giacomo di Muran
(Murano); si vedevano le persone a montar et dismontar de gondola al
traghetto alla Collona nel principio del Rio de' Verieri, con molti altri
particolari nella laguna et nella città veramente amirabili (...) moltiplicando
la vista con quello 9 volte più.».
Il 7 giugno 2009, ricorrendo il quarto centenario delle prime osservazioni
astronomiche fatte da Galileo Galilei dal campanile di San Marco, venne
scoperta dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano una
targa commemorativa: «Galileo Galilei con il suo cannocchiale da qui
il 21 agosto 1609 allargava gli orizzonti dell'uomo nel quarto centenario».
Una
delle tante cartoline pubblicitarie realizzate dalle Officine
Meccaniche Stigler di Milano, costruttrici del primo ascensore del
campanile di San Marco (Collezione
privata).
L'ascensore Abbiamo ricordato che per secoli chi voleva
salire sul campanile doveva affrontare una lunga salita lungo le rampe
poste tra le due canne della torre campanaria, una interna ed una esterna.
Non c'erano gradini da superare perché le rampe erano formate da un lungo
piano inclinato che si interrompeva ai pianerottoli d'angolo.
Nel 1892 Pietro Saccardo (1830-1903), ingegnere e primo architetto della
Fabbriceria di San Marco, elaborò un progetto per dotare il campanile di
un moderno ascensore che avrebbe dovuto avere il motore di sollevamento
all'interno della Loggetta del
Sansovino.
Il progetto venne però sospeso e non fu realizzato, probabilmente in
considerazione dei problemi di staticità che già si manifestavano sulla
torre campanaria.
L'idea dell'ascensore però non venne abbandonata e fu presa in
considerazione nel momento in cui si dovette progettare la ricostruzione
del campanile dopo il crollo avvenuto
il 14 luglio 1902.
Nel progetto fu inserito anche quello dell'ascensore e così, il 25 aprile
1912, al momento dell'inaugurazione, un ascensore era già funzionante.
Il primo ascensore fu opera delle Officine Meccaniche Stigler di Milano e
consentiva di raggiungere la cella campanaria in meno di un minuto.
Questa è una delle prime cronache (forse la prima!) che fece un
visitatore che salì sul campanile usando quell'ascensore (il prezzo del
biglietto era di 5 lire): «...l'ascensore Stiegler (Stigler - N.d.R.) è pronto per la
salita (...) noi possiamo entrarvi, col gentile assentimento del personale
che vi è addetto. Nella comoda cabina - che ha persino l'adornamento
civettuolo degli specchi - staranno comodamente una dozzina di persone; la
salita, che è un po' emozionante, si compie in 56"; è pratica,
comoda, è moderna, quando si pensi al quarto d'ora che in altri tempi era
richiesto per la salita faticosa, delle rampe; queste si intravvedono ora
fugacemente dalle griglie dell'ascensore.
Giunti in alto, non si può esprimere meraviglia più grande: la città
che si assiepa intorno (...) .La Piazza, magnifica all'occhio di chi
la percorre, ha fantastici aspetti, veduta da quest'altezza; (...).
Prima di scendere, abbagliati e vibranti di così profonde emozioni, diamo
uno sguardo alle possenti campane...».
Fotomontaggio
che raffigura il crollo del campanile di San Marco (Foto
di anonimo su carta albuminata montata su cartoncino).
L'ora del crollo
Il 14 luglio 1902 centinaia di persone assistettero agli ultimi istanti di
esistenza del vecchio e malandato campanile di San Marco quasi si
trattasse di accompagnare nel momento dell'estremo trapasso un anziano
patriarca.
Molte di queste poi fecero quasi a gara per dare testimonianza e
raccontare quello che videro ed udirono, ma poche si presero la briga di
guardare l'orologio per stabilire l'orario preciso del crollo.
Non esiste quindi un'ora ufficiale del crollo: ci vengono dati differenti
orari che coprono un arco temporale di sei minuti, tra le 9.47 e le 9.53.
Spesso si legge «...le 9.52...».
Pompeo Molmenti (1852-1928) nel libro "Il Campanile di San Marco
riedificato. Studi, ricerche, relazioni", edito dal Comune di Venezia
nel 1902, indicò le 9.47.
Le immagini del crollo
Nonostante che al momento del crollo fossero presenti centinaia di
persone, nessuna scattò una fotografia per tramandare ai posteri
l'evento.
Esistono un paio di rappresentazioni fotografiche della caduta del
campanile: entrambe sono fotomontaggi e non ne è certo l'autore.
Un fotomontaggio è stato attribuito a Giuman, ma non c'è certezza,
mentre per l'altro, il più famoso, ci sono state generiche attribuzioni ad un «...fotografo
francese...» (ma c'è anche chi dice che fosse tedesco). Esistono
più edizioni della stessa fotografia, a volte con impressa una didascalia
che ne rivendica i diritti a questo o quello studio fotografico (Zago, De
Paoli, eccetera).
C'è anche chi ha fatto notare che l'effetto della polvere che si solleva
dalla base del campanile sia stato ottenuto con una doppia esposizione di
un negativo che riprendeva degli alberi innevati.
Oltre a questi due fotomontaggi, per soddisfare alla curiosità del
pubblico per la vasta eco che aveva destato l'avvenimento, furono
realizzate numerose cartoline postali: quasi sempre mostrano il campanile
che si spezza inverosimilmente in più pezzi tra crepe gigantesche.
Cartolina
postale illustrata che raffigura il crollo del campanile di San Marco (Collezione
privata).
Il
primo dei tre "voli dell'Angelo" del 2012: Giulia Selero,
vincitrice del concorso delle "Marie" 2011.
Gli "svoli" dal campanile
Il campanile non poteva restare escluso dai festeggiamenti del Carnevale e
la manifestazione che lo vide protagonista fu lo svolo (volo) del
Turco, chiamata poi volo de la Colombina ed in tempi più
recenti volo dell'Angelo.
Pur disponendo di varie testimonianze da parte dei cronisti, quasi sempre
inclini alle esagerazioni ed alle enfatizzazioni, possiamo realisticamente
immaginare che in origine qualche marinaio turco si esibisse in numeri di
equilibrismo e di acrobazia durante una delle tante feste che si
svolgevano a Venezia.
Questa attrazione venne ben presto inserita nei festeggiamenti per il Carnevale, nel giorno più importante, cioè il Giovedì Grasso.
Nel XVI secolo dal campanile scendevano delle grosse funi in numero
variabile: una andava a legarsi su una barca (qualcuno scrive una peota)
ormeggiata nel Bacino di San Marco, più tardi un'altra al Palazzo Ducale,
in corrispondenza del tronetto del Doge. Successivamente, quando
cominciarono ad essere costruite della macchine sceniche, una
terza le raggiungeva.
L'equilibrista saliva e scendeva per queste funi compiendo piroette ed
altri esercizi di abilità: un turco nel 1564 ebbe addirittura cento
ducati di ricompensa dal Doge.
Se all'inizio furono probabilmente solo dei marinai ad esibirsi, abituati
a salire lungo le sartie degli alberi ed a spostarsi con sicurezza
camminando sui pennoni delle navi, successivamente diventarono dei veri e
propri funamboli che aggiunsero attrazioni particolari alla loro abilità:
ci fu chi scendeva dal campanile con delle grandi ali finte, per
assomigliare ad un uccello, altri che portavano degli attrezzi a forma di
barchetta, per apparire come se remassero nell'aria.
Il
"volo del Turco" in un'incisione della metà del
Cinquecento (Anonimo).
Ben presto in queste imprese si cimentarono, probabilmente per uno
spirito emulativo, anche gondolieri e operai dell'Arsenale, i famosi arsenalotti
veneziani.
Nel XVII secolo, epoca durante la quale si cominciò a tendere una fune
fino al tronetto del Doge, l'acrobata alla fine dei suoi esercizi si
portava davanti al Serenissimo principe e, con una riverenza, gli offriva
un mazzetto di fiori; qualche volta veniva declamata anche una poesia.
Si dice che nel XVIII secolo tanto fosse l'ardore di gareggiare per
mostrare la propria abilità che i volontari acrobati facevano i loro
numeri senza alcuna ricompensa. Ma il fatto è smentito dai documenti
d'archivio che conservano anche gli impegni scritti che prendevano queste
persone ad esibirsi per una mercede precedentemente pattuita.
Con la costruzione di complesse macchine sceniche che ospitavano varie
esibizioni, raffigurazioni e giochi di bravura e di equilibrismo, fu tesa
anche una fune tra queste ed il campanile.
A volte c'erano più uomini contemporaneamente che "volavano"
attorno al campanile. Particolarmente spettacolari dovettero essere i voli
del 1680 e del 1681 che furono ampiamente descritti dalle cronache.
Nel 1759 uno di questi voli ebbe una tragica conclusione: un arsenalotto,
tale Nane Balio, precipitò al suolo restando sfracellato.
Forse a seguito di questo drammatico epilogo, si preferì sostituire
l'acrobata con una colomba di legno e cartapesta che veniva fatta scendere
dall'alto del campanile: a metà percorso un meccanismo apriva la pancia
di questo simulacro inondando di fiori e dolciumi la folla assiepata nella
Piazzetta. E' possibile che a seguito di questa modifica il volo
cominciasse ad essere chiamato volo della Colombina.
Caduta la Repubblica di Venezia, tanto durante le dominazioni francesi
quanto durante quelle austriache, i festeggiamenti del Carnevale furono
ostacolati (venne anche vietato il mascherarsi per evidenti motivi di
ordine pubblico).
Il Carnevale, e con esso il volo della Colombina, non si festeggiò
più, almeno pubblicamente.
Durante il Regno d'Italia l'usanza del Carnevale riprese in sordina, senza
lontanamente assomigliare a quello fastoso del passato: restò un
diversivo per bambini o per una limitata schiera di veneziani che voleva
divertirsi, magari in feste private.
All'inizio del XX secolo, con lo sviluppo del turismo, vennero organizzate
delle feste carnevalesche dagli albergatori per i loro ospiti, anche al
Lido.
Dopo la seconda Guerra Mondiale quello che restava dello spirito del
Carnevale era tenuto in vita soprattutto dagli studenti, ma era solo un
pallido ricordo di quello di una volta.
Un impulso alla ripresa dei festeggiamenti carnevaleschi fu dato a partire
dal 1980 per iniziativa di Maurizio Scaparro.
In Carnevali più recenti venne ripreso il volo della Colombina, ma
non più nel giorno di Giovedì Grasso, ma nella prima domenica che dava
l'avvio alle manifestazioni. Venne utilizzata una sagoma in legno e
cartapesta che, nella discesa dal campanile, svuotava i coriandoli ed i
dolciumi riversandoli sulla folla.
Nel 2001 tornò un essere umano in carne ed ossa a scendere dalla loggia
superiore del campanile attraversando la Piazzetta e scendendo fino al
tronetto del Doge, impersonato da un figurante.
Negli anni seguenti, per cercare di dare via via più visibilità
all'evento, furono chiamati a scendere dal campanile personaggi famosi del
mondo delle cronache: ormai non erano più "colombe", ma
"angeli ed il volo divenne il volo dell'Angelo.
Nel 2011, sempre allo scopo di dare maggiore visibilità
"turistica" al volo, venne fatto effettuare direttamente sopra
Piazza San Marco e, nel 2012, allo stesso scopo, venne ripetuto
complessivamente per tre volte durante il Carnevale per il piacere del
turista o del visitatore.
Il
finto autoblindo in Piazza San Marco (dal
TG3 Rai del 9 maggio 1997).
L'assalto
al campanile Nella notte tra giovedì 8 e venerdì 9 maggio 1997 un
gruppetto di otto persone in divisa mimetica si presentò nell'isola del
Tronchetto al punto di
imbarco dell'ultima corsa di linea 17 delle
0.20 del ferry boat per il Lido con un camion con rimorchio ed un camper: superando la fila delle
poche auto in attesa, salì sul mezzo, pagò 67mila lire di biglietto e
puntando una mitraglietta MAB contro il capitano Giovanni Girotto gli
intimò di dirigere su Piazza San Marco.
Il capitano Girotto cercò di dissuadere quei balordi: non c'era
abbastanza fondale, a San Marco non c'era neppure una struttura adatta per
approdare con il ferry boat, insomma, non si poteva fare. Ma il gruppetto
si dimostrò irremovibile, forte anche della mitraglietta: «Devi
partire, scassa pure tutte le gondole!». Quindi rinchiusero alcuni
passeggeri nei bagni e sequestrarono i telefonini cellulari.
La nave, che si chiamava proprio San Marco, dopo aver percorso il canale
della Giudecca anziché proseguire verso l'isola del Lido secondo quello
che doveva essere il suo percorso di linea, si avvicinò al molo di San
Marco. Il capitano Girotto, manovrando con cautela per evitare di fare
danni, mancando un pontile adatto al ferry boat, si portò il più
possibile vicino alla riva. Riuscì ad abbassare il portellone e per
assicurare il contatto tra la nave ed il molo si aiutò con delle tavole.
Intanto dal camion era stato fatto scendere uno strano autoblindo militare
con una specie di cannoncino che spuntava davanti: con questo e con il camper quaranta minuti dopo la mezzanotte
gli otto attraversarono la Piazzetta di San Marco. Il camion che era
servito per il trasporto invece venne abbandonato sul ferry boat. Sembra
che uno degli uomini abbia esclamato al capitano Girotto: «Regalalo a
Scalfaro!», riferendosi ad Oscar Luigi Scalfaro (1918-2012) allora
Presidente della Repubblica Italiana.
Il
finto autoblindo in Piazza San Marco nella notte.
Il camper venne parcheggiato davanti ad una porta secondaria del campanile
di San Marco mentre l'autoblindo, con all'interno due del commando,
innalzata la bandiera di San Marco si
spostava per la Piazza, tra il campanile e la basilica.
Con la minaccia della mitraglietta in mano fecero allontanare i pochi
presenti a quell'ora in Piazza.
Rotto un catenaccio, gli altri sei entrarono nel campanile portando con sé
provviste per poter resistere molti giorni, almeno fino a lunedì 12
maggio, anniversario dei 200 anni della caduta della Repubblica di Venezia:
avevano sacchi a pelo, borse con biancheria, casse di viveri, bottiglie di
vino e grappa e taniche d'acqua, due gruppi elettrogeni con una riserva di
kerosene per farli funzionare, una potente radiotrasmittente con antenna.
Già dal 17
marzo 1997 erano riusciti per quattordici volte ad intromettersi nelle
frequenze delle trasmissioni della Rai, durante il telegiornale TG1, con dei proclami
audio. La più lunga interferenza era stata proprio quella del 17 marzo ed
era durata ben 23 minuti.
Uno
dei due occupanti del finto autoblindo ascolta un portavoce
dell'unità di crisi (dal
TG3 Rai del 9 maggio 1997).
Sulla
cella campanaria issarono anche una bandiera di San Marco.
Il
vessillo di San Marco issato nella cella campanaria.
Dopo dieci minuti scattò l'allarme generale: arrivarono in Piazza oltre
120 uomini tra carabinieri, poliziotti e finanzieri, vennero svegliati il
Procuratore aggiunto Remo Smitti, il Prefetto Giovanni Troiani, il
Questore Lorenzo Cernetig. Alle due furono raggiunti telefonicamente
anche il Ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, che si trovava in
America, ed il Sottosegretario al Ministero dell'Interno Gannicola Senisi.
Alle tre e mezza vennero chiamati i GIS (Gruppo di Intervento Speciale dei
Carabinieri) di Livorno, che potevano arrivare più velocemente di altre
forze speciali: infatti dopo due ore 24 uomini erano già all'aeroporto di
Venezia dopo essere stati trasportati da un G222 mentre un elicottero dei
carabinieri di Treviso sorvolava il campanile con tiratori scelti.
L'unità di crisi si riunì per decidere il da farsi e sul come
intervenire.
Alle 6.30, con la radiotrasmittente dall'alto del campanile, i sei
occupanti fecero un'incursione nelle frequenze della Rai e venne lanciato
un primo messaggio: «Dopo 200 anni, questa notte, su ordine del Veneto
Serenissimo Governo un reparto armato della Veneta Serenissima Armata ha
liberato piazza San Marco. Oggi rinasce la Veneta Serenissima Repubblica,
la più amata e ammirata delle repubbliche, già ornamento d'Europa e
baluardo di cristianità. Venezia, la città dei Veneti, una delle più
esclusive e belle città del mondo, è la sua capitale. Viva San Marco!
Viva la Serenissima!».
Il messaggio venne ripetuto un'ora dopo interrompendo il TG1 che stava
dando la notizia dell'assalto.
Poco dopo le 8 di mattina il Sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, propose
una trattativa, ma dall'autoblindo un uomo mascherato rifiutò ogni
possibilità di dialogo: «Non avvicinatevi, tra poco arriverà
l'Ambasciatore del Veneto Serenissimo Governo, parlerete con lui.».
L'unità di crisi decise di passare all'azione: un gruppo di cinque
carabinieri del GIS già un'ora prima si era arrampicato sulla cuspide del
campanile utilizzando alcuni ponteggi che lo circondavano fino alla cima
per dei lavori di restauro ed era restato in attesa di intervenire.
La
cattura degli occupanti il finto autoblindo (dal
TG3 Rai del 9 maggio 1997).
I
carabinieri del GIS si arrampicano sulla cuspide del campanile
per prepararsi ad intervenire (dal
TG3 Rai del 9 maggio 1997).
Altri cinque erano pronti alla porta. Il Questore di Venezia Lorenzo
Cernetig gridò: «Arrendetevi! Vi state facendo del male! Sono in arrivo
i reparti speciali!».
Poi, al segnale convenuto, come degli uomini ragno i cinque carabinieri
si calarono con delle funi dall'alto mentre gli altri salivano dal basso: i
sei asserragliati erano in trappola e con un'operazione durata otto minuti e
con l'aiuto di un lacrimogeno vennero catturati.
Nel frattempo altri uomini assalirono il blindato sfondandolo e gridando «Non
fate gli scemi! Venite fuori!» catturarono anche gli altri due
occupanti e poi strapparono la bandiera di San Marco che era stata issata
sul mezzo.
Alla fine si scoprì che il famoso blindato non era altro che una vecchia
trattrice Fiat 690T rivestita di lamiere dipinte di verde militare per farla
assomigliare ad un improbabile autoblindo e che il cannoncino che spuntava
sul davanti altro non era che un tubo da stufa!
Il mezzo era stato allestito segretamente in un capanno nei pressi di
Montagnana. Gli era stata anche attribuita una targa: «VT MB», che
stava per «Veneto Tanko Marcantonio Bragadin»!
Alle 8.45 del mattino tutto era finito: l'occupazione del campanile di San
Marco era durata 8 ore.
In serata venne arrestato anche il nono uomo, il famoso
"ambasciatore".
Le cronache (ed il successivo processo) ci riportano i nomi degli autori di
questo gesto.
In ordine alfabetico sono Antonio Barison, Gilberto Buron, Christian Contin,
Flavio Contin, Fausto Faccia, Moreno Nemini, Luca Peroni, Giuseppe Segato
(l'"ambasciatore"), Andrea Viviani.
Il trasferimento della
trivella durante la notte (Foto cortesia di Fausto Maroder, dal suo
blog su Venezia Alloggi
Barbaria).
Una trivella per il campanile
Dopo la ricostruzione
conclusa nel 1912, il campanile rimase sempre un
"sorvegliato speciale" anche a causa delle caratteristiche
morfologiche di un terreno che, emerso dalle barene lagunari, non
aveva una grandissima stabilità.
Già nel 1914, ad appena due anni dalla conclusione della ricostruzione,
era stata notata una piccola crepa su alcuni gradoni di trachite della
base: un segnale di avvertimento sulla necessità di una costante
sorveglianza.
Tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI era stato osservato un lieve
fuori asse della costruzione di circa sette centimetri su cento metri
d'altezza.
Tanto bastò a spingere tecnici e scienziati ad eseguire attente
misurazioni ed analisi dello stato di fatto che evidenziarono una non
perfetta uniformità dei carichi sulla fondazione: nulla di cui
preoccuparsi, ma venne deciso di intervenire subito piuttosto che
attendere un peggioramento della situazione che avrebbe potuto richiedere
il ricorso a soluzioni più complesse del problema.
Si trattò di inserire nelle fondazioni delle barre dinamometriche di
titanio a due livelli di profondità per dare maggiore uniformità e
coesione al masso di fondazione. La tensione di queste barre era
regolabile, dando quindi la possibilità ad interventi correttivi nel
corso del tempo.
Il cantiere attorno al campanile venne avviato nell'ottobre 2007 e si
concluse per il giorno di San Marco (25 aprile) 2013 quando venne rimossa
la maggior parte della palizzata che circondava la base che venne poi
liberata dagli ultimi resti di cantiere nei giorni successivi..
Il
cantiere di lavoro alla base del campanile durante l'inverno
2011/12.
La fase più appariscente dell'operazione (e nel suo genere spettacolare)
fu legata al trasporto (e successiva rimozione) di una trivella dalla riva
sul Bacino di San Marco fino alla base del campanile.
Si trattava di un'apparecchiatura del peso di circa 21 tonnellate, un peso
assolutamente insopportabile per la lastricatura della Piazzetta e della
Piazza.
Ci vollero otto mesi di studi di fattibilità e di redazione del progetto
solo per predisporre il percorso di qualche centinaio di metri che doveva
compiere la trivella nell'estate del 2009: il tragitto venne ricoperto di
sabbia, poi di uno strato isolante su cui furono montate delle travature
di legno ed infine in ferro come traccia per i binari.
Per causare il minor disagio possibile, la pedana venne costruita a
segmenti: dopo il passaggio della trivella, veniva smontata e ricostruita
più avanti dove avrebbe dovuto proseguire. Gran parte delle operazioni
furono compiute di notte.
Nel marzo 2011, concluso il suo utilizzo, alla trivella venne fatto fare,
con le stesse identiche protezioni, il percorso inverso.