Noi avevamo preso i biglietti di prima
classe con i posti prenotati: occupiamo la parte centrale della carrozza ed
abbiamo sistemato i nostri bagagli su delle mensole non troppo capaci poste
in alto, sopra i finestrini. In realtà abbiamo occupato anche le
cappelliere destinate agli altri passeggeri che, tuttavia, non si lamentano
e ci lasciano fare.
Viaggiano con noi pakistani benestanti, probabilmente dei commercianti.
Il caldo è un po' mitigato dalla presenza di una serie di ventilatori
antiquati posti sul soffitto del vagone.
La ferrovia, che dopo Lahore si divide in due rami, uno che raggiunge
Karachi, l'altro che si dirige verso Dehli, corre costeggiando l'altopiano
di Potwar: si alterna un paesaggio roccioso a quello collinare con
improvvise macchie di vegetazione lussureggiante. Poi si entra nella pianura
irrigata del Punjab.
Si passa anche sopra alcuni ponti ferroviari che superano dei fiumi. Per ingannare il tempo, cerchiamo di seguire il percorso con una carta
controllando i nomi delle stazioni che attraversiamo.
Finalmente alle 12.40 il nostro convoglio, con un gran cigolio di ferro
sulle rotaie, si ferma nella stazione di Lahore.
Il
nostro arrivo alla stazione ferroviaria di Lahore.
Traffico
in centro di Lahore nel tardo pomeriggio.
Da qui facciamo subito alcune
telefonate a degli alberghi che ci erano stati segnalati; troviamo posto per
due notti al Menori Hotel che raggiungiamo con dei taxi presi in stazione
quando ormai sono passate le due del pomeriggio.
Appena il tempo di lasciare i bagagli nelle nostre stanze e siamo già in
strada per fare un giro di orientamento nella città vecchia di Lahore.
La tradizione fa risalire la fondazione della città a Loh, figlio del leggendario
Rama Chandra protagonista del Ramayana; pertanto il suo nome deriverebbe da
"Loh-avar", cioè "forte di Loh".
L'esistenza di numerosi villaggi che portano il suo nome farebbe pensare che
questo figlio di Rama dovesse essere stato un gran costruttore! In realtà
si sa ben poco delle sue origini.
Una delle prime testimonianze storiche ci fa sapere che nell'VIII secolo d.
Cr. Lahore entrò nel regno Lalitaditya e nel 1021-1023 fu occupata dagli
afghani di Mahmud Ghaznavi diventando sede del potere centrale.
Nel 1186, sotto la dinastia turca, fu capoluogo della provincia e poi, dal
1524, entrò a far parte dell'impero Moghul del quale fu anche capitale
(1584-1598) al tempo di Akbar il Grande.
La Lahore di oggi, con i suoi capolavori, con le sue fantastiche
architetture, discende direttamente dal periodo moghul. Il declino della
dinastia portò inevitabilmente al declino della città.
Alla morte di Aurangzeb (1707) seguì un periodo di anarchia e di caos al
termine del quale presero il sopravvento i Sikh che vi governarono fino al
1849 sovrapponendo il proprio stile ricco di orpelli all'architettura moghul.
Nel 1849 Lahore entrò a far parte dell'Impero Britannico; gli inglesi in
quasi un secolo di dominazione mutarono ancora la sua fisionomia abbattendo
mura, aprendo ampi viali, costruendo nuovi quartieri residenziali in stile
europeo e nuovi palazzi in stile vittoriano.
Nel 1947 il Pakistan ottenne l'indipendenza ed il Punjab venne diviso tra il
nuovo Stato e l'India: Lahore fu l'unica città moghul a passare sotto il
Pakistan.
Intanto passeggiando ci siamo portati nella zona dei bazaar
attraversata da un dedalo di viuzze animatissime tra vecchie case costruite
di mattoni e legno.
Uno di questi mercati si chiama Anarkali Bazaar, costeggiato dalla Anarkali
Road: è considerato il più affascinante dei molti bazaar della
città, non solo per le mercanzie ma anche per la storia leggendaria che
nasconde.
Il suo nome infatti è quello di una cortigiana della corte di Akbar,
chiamata appunto Anarkali, nome che significa "fiore di
melograno".
Nonostante i divieti del padre, l'Imperatore Akbar, il
figlio principe Salim, più tardi conosciuto come Jehangir, continuava a
intrattenere una relazione con la donna.
Per porre fine al rapporto, l'Imperatore fece seppellire viva Anarkali nelle
mura vicine al mercato che adesso ha questo nome.
La città vecchia, alla quale ci stiamo avvicinando, era circondata da un
muro di mattoni alto 9 metri che girava tutto attorno; ad ulteriore
protezione un fossato, che prendeva l'acqua dal fiume Ravi, correva a
fianco.
L'ingresso
alla moschea Wazir Khan.
Una strada circolare attorno al bastione dava accesso alla città attraverso
tredici porte: la strada esiste ancora oggi e si chiama Circular Road e reca
visibili alcune di queste porte.
Il traffico è infernale e disordinato: macchine, camion, carretti trainati
a mano o da animali, biciclette e pedoni.
Tutti assieme!
Soprattutto c'è un gran chiasso: sembra che lo sport preferito sia quello
di suonare il clacson all'impazzata, anche quando non serve. Camminare in
mezzo a questo caos è difficile anche per noi.
I vicoli sono delimitati da botteghe di ogni genere, alcune sembrano dei
tuguri; qui tutti masticano le foglie di betel che lasciano le
loro tracce sulle gengive e negli sputi rossicci per terra.
Noi siamo entrati nella città vecchia attraverso il Delhi Gate e ci
troviamo ben presto nel cortile della moschea Wazir Khan alle prime luci del
tramonto: la moschea è talmente bene inserita nella città vecchia con la
quale si integra che vediamo, attorno al recinto, una ventina di negozi che
così estendono il bazaar all'interno del complesso della moschea: è
una particolarità che credo di non aver mai visto.
Il
recinto della moschea Wazir Khan, parzialmente occupato dalle
botteghe del "bazaar".
Questa moschea è famosa per il suo rivestimento fatto di piastrelle di
ceramica con il fondo giallo, con arabeschi ed affreschi che la fanno
risplendere al sole, e per questo a volte è chiamata anche Golden Temple.
Ma il sole è vicino al tramonto,basso all'orizzonte, e noi non possiamo
verificare questa particolarità.
La sua costruzione, iniziata tra il 1634 ed il 1635, richiese sette anni.
Nel cortile c'è la tomba di Syed Muhamad Ishaq, noto anche con il nome di
Miran Badshah, che proveniva dall'Iran e si era stabilito a Lahore nel XIV
secolo.
I suoi minareti sono alti 32 metri e dominano il caos che regna nelle
stradine della città vecchia.
E' ormai il tramonto e dopo questo primo assaggio della città ci
avviciniamo al nostro albergo cercando un posto dove mangiare: purtroppo
quello che troviamo risulterà assai deludente: mangiato male e pagato molto
caro!
La
porta d'ingresso alla moschea Badshahi con la sua scalinata di 22
gradini.
La mattina dopo abbiamo l'urgenza di
cambiare i dollari. Avevamo fatto il primo cambio dieci giorni fa a Rawalpindi. Poi non c'era stata più necessità di cambiare ma nel
corso del nostro viaggio non avevamo mai trovato una banca, e se c'era, non
era aperta.
Anche qui a Lahore abbiamo difficoltà a trovarne una che sia disposta, o
abilitata, a cambiare dollari: che stranezza! Comunque alla fine riusciamo a
compiere l'operazione e così possiamo dedicarci alla visita della città.
Verso nord-ovest, quasi all'uscita dalla città, si trova la Cittadella con
i due più famosi monumenti che celebrano la magnificenza dell'Impero
Moghul.
Ci portiamo nel cuore del complesso, l'Hazuri Bagh: da un lato del giardino
c'è la moschea Badshahi, sul lato opposto l'Alamgiri Gate, l'ingresso
principale al forte di Lahore.
Architetture e spazi in cui perdere la testa!
Ci dirigiamo a sinistra, verso la moschea da dove iniziamo la nostra visita.
L'esterno
della moschea Badshahi con la porta d'ingresso e la tomba di
Allama Iqbal.
La
moschea Badshahi vista dal cortile.
Badshahi è la più grande moschea del
mondo anche se il suo primato dovrebbe essere presto superato quando verrà
costruita una nuova moschea ad Islamabad, che si preannuncia ancora più
vasta ed imponente. Essa si ispira evidentemente ad altre moschee, come
quella di Delhi e di Fatehpur Sikri.
Badshahi venne costruita dal sesto imperatore moghul, Aurangzeb, tra il 1671
ed il 1673.
Saliamo una scalinata di 22 gradini, a sinistra della quale c'è la tomba di
Allama Iqbal (1877-1938), il poeta e filosofo considerato il padre della
nazione pakistana. La costruzione di questo mausoleo richiese molti anni
soprattutto per problemi di ordine politico che ne rallentarono
l'edificazione.
Tutto il complesso venne costruito su una piattaforma artificiale
sopraelevata rispetto all'area circostante per evitare le inondazioni del
fiume Ravi che scorre non troppo lontano.
E' un edificio a due piani con la facciata coronata da undici cupolette di
marmo sostenute da dei sottili archi. Nell'atrio è ospitato un piccolo
museo, chiuso al pubblico, che custodisce anche le reliquie del Profeta
(cappelli), di Fatima, Alì, Hassan e Hussein.
Superato l'atrio, ci accoglie il cortile: è un enorme quadrato di 161 metri
di lato. E' circondato da gallerie e corridoi dove sono esposti alcuni antichi libri
sacri, forse anche lo stesso Corano: alcuni di questi hanno il testo
ricamato con fili d'oro su pagine di seta verde.
Un
antico libro esposto nei corridoi attorno alla moschea Badshahi.
Scorcio
sulla moschea Badshahi.
Ai quattro angoli del cortile si elevano altrettanti minareti alti quasi 54
metri, cioè un terzo della lunghezza di un lato del cortile.
Ciascun minareto ha al suo interno una scala di 204 gradini attraverso la
quale si raggiunge la sommità da dove si può ammirare una veduta
panoramica sulla Cittadella, sulla città e sui suoi dintorni.
Poiché, come in tutti i luoghi sacri musulmani, si entra a piedi scalzi, ci
bruciamo le piante dei piedi sulla pavimentazione in marmo surriscaldata dal sole,
nonostante molti di noi indossino dei calzini. Cerchiamo quindi, per quanto
possibile, di camminare nelle zone d'ombra o sui numerosi tappeti di
preghiera che sono stesi al suolo.
Anche la sala di preghiera, sul fondo, ha delle misure imponenti: circa 84
metri di lunghezza per 25 di larghezza ed è alta 15 metri.
La moschea può ospitare nella sala di preghiera fino a 5 mila fedeli e 95
mila nell'immenso cortile circondato dai portici.
Qualcuno di noi si avventura nella salita di un minareto. Le scale si fanno
sempre più strette ed alla fatica si somma lo sforzo per il caldo
soffocante che c'è all'interno. Ma alla fine si è ripagati dal panorama
che si gode da lassù, complice anche la giornata limpida ed il venticello
che dà l'illusione di rinfrescare il viso.
L'imponenza della costruzione, che si dice si possa vedere a 15 chilometri
di distanza, voleva riflettere la grandezza dell'Impero Moghul: non a caso
venne costruita di fronte al forte di Lahore per enfatizzare la potenza
dell'Impero.
Così subì il destino di tutti i luoghi simbolici quando altri salgono al
potere rovesciando i precedenti governanti: ai tempi della dominazione Sikh
venne oltraggiata dai nuovi padroni.
Il cortile venne usato come stalla per i cavalli, il porticato come caserma
per i soldati, i minareti come torri di battaglia per bombardare il vicino
forte ai tempi della guerra civile, la galleria che collega la moschea al
forte divenne un deposito di polvere da sparo.
Uno dei quattro minareti della
moschea Badshahi visto dall'alto di un altro dei minareti. Si
nota il Samadhi, il mausoleo del Maharaja Ranjit Singh (1780-1839).
Sotto la dominazione inglese la mosche
venne gradualmente restituita alla sua funzione originaria iniziando un
lento ma continuo lavoro di restauro che si concluse attorno al 1960.
Dall'alto di un minareto possiamo vedere, oltre alla moschea Badshahi, sul
lato opposto, oltre all'Hazuri Bagh con il padiglione Baradari, l'Alamgiri
Gate, l'imponente ingresso al forte di Lahore.
Dall'alto
del minareto vediamo l'ingresso alla moschea Badshahi, l'Hazuri
Bagh con il padiglione Baradari e la porta d'ingresso al forte
di Lahore, la Alamgiri Gate.
E' il momento di visitarlo.
Le origini del forte, sicuramente molto antiche, non sono note. La leggenda
ne attribuisce la costruzione a Loh, figlio di Rama Chandra del poema epico
del Ramayana, quello stesso Loh al quale viene attribuita anche la
fondazione della città.
Scavi archeologici hanno portato alla luce vari reperti, tra i quali anche
una moneta del 1025, risalente ai tempi in cui la città, nel 1021, venne
conquistata da Mahmud di Gazna. Tuttavia scavi effettuati negli strati più
profondi hanno dimostrato che il luogo era abitato anche in precedenza.
Uno
dei due torrioni a forma di fiore di loto che fiancheggiano l'Alamgiri
Gate.
Poco si sa di certo di quegli anni e dei secoli successivi: molto
probabilmente il forte fu distrutto e modificato più volte a seguito delle
ondate di invasioni, dai Mongoli (1241) ai Turchi (1398).
L'attuale forte, nel suo primo impianto, risale all'Imperatore Akbar il
Grande (1542-1605) che lo ricostruì attorno al 1560-66 ingrandendolo e
dotandolo di spesse mura difensive in mattone (la pietra è scarsa in questa
regione), mentre probabilmente quelle precedenti dovevano essere delle
specie di terrapieni fatti di legno e fango.
Nei secoli successivi ci furono ulteriori ampliamenti, modifiche e
rimaneggiamenti.
Il forte, pur non presentando una divisione netta, ospitava una parte
amministrativa che comprendeva uffici oltre alle sale delle udienze
pubbliche; c'era poi la parte più strettamente privata, residenziale, che
ospitava la famiglia imperiale, composta da cortili, padiglioni ed edifici
con luminose e sontuose sale.
L'ingresso principale del forte, attraverso il quale anche noi entriamo,
avviene per l'Alamgiri Gate, una poderosa porta che venne costruita ai tempi
dell'Imperatore Aurangzeb (1618-1707) sul lato occidentale, di fronte alla
moschea Badshahi.
Si tratta di una possente struttura contornata ai lati da due massicci
torrioni semicircolari con la base a forma di fiore di loto i cui petali si
allungano verso l'alto dando origine ad un bastione fortemente scanalato; in
alto sono coronati da due padiglioni a cupola.
Sul torrione di sinistra sono in corso alcuni lavori di manutenzione: ma non
sono montati trabattelli o impalcature in tubi: sotto un ponteggio in legno
appeso in alto è posata una lunghissima scala di canna afflosciata sotto il
proprio peso!
L'altezza del portale centrale era stata calcolata in modo da consentire il
transito all'Imperatore, seduto sul baldacchino montato sulla groppa di un
elefante.
Una
sala del Sheesh Mahal, il "palazzo degli specchi".
Invece nella pesante e massiccia porta in legno sono conficcati chiodi di
ferro, in gran numero, con una grossa testa acuminata: era un modo per
difendersi da un eventuale tentativo di sfondamento che, all'epoca, era
fatto con gli elefanti usati come arieti. Le grosse capocchie appuntite
avrebbero ferito gravemente le teste dei pachidermi.
Superata la porta restiamo stupefatti dalle decorazioni di ceramica e
maiolica che coprono interamente le pareti
Le
mura decorate del forte viste dalle finestre del Sheesh Mahal.
Dal cortile dove ci troviamo per passare alla parte superiore del forte
dobbiamo percorrere il "sentiero degli elefanti", come viene
chiamata una comoda e larga scalinata: le sue dimensioni e la forma dei
gradini sono state studiate perché potesse essere percorsa dai pachidermi
che trasportavano l'Imperatore con il suo seguito, annunciato da araldi che
stavano su delle nicchie appositamente ricavate nel muro.
Da qui l'Imperatore raggiungeva la propria residenza, il Sheesh Mahal
(letteralmente "il palazzo di cristallo"), inserita in un più
ampio complesso. Anche qui mosaici, pietre semipreziose incastonate nelle
colonne ed un luccichio di riflessi di specchi; infatti è conosciuto come
il palazzo degli specchi per l'inserimento di specchi lavorati di ogni forma
e dimensione, inseriti nell'apparato decorativo che non lascia un centimetro
di spazio libero.
Un'altra
sala del Sheesh Maha, il "palazzo degli specchi",
ovvero la residenza dell'Imperatore e della sua famiglia.
Una
finestra traforata: quello che vediamo traforato è marmo bianco!
Costruito negli anni 1631-32, era destinato alla famiglia imperiale ed ai
collaboratori più intimi. Nella sala più bella si potevano tenere anche
riunioni del consiglio ristretto dell'Imperatore.
Nel cortile risplende un padiglione in marmo bianco con un elegante tetto
arcuato che ricorda la copertura di un baldacchino o di una tenda. Costruito
nel 1633 con l'intenzione originaria di costruire una residenza
estiva. Forse la sua decorazione all'inizio era ricoperta da una foglia
d'oro, della quale oggi si sono perse le tracce. Tutto attorno un parapetto
merlato era stato eretto per proteggere la privacy della famiglia
imperiale mentre, sull'altro lato, c'erano gli alloggi privati.
Doveva essere un luogo delizioso durante la calda estate perché ha molte
ampie finestre per far circolare l'aria e concedere una sensazione di
frescura agli occupanti.
Sempre per motivi di privacy, le finestre presentano dei finissimi
trafori eseguiti con grande maestria nel marmo, in modo da poter ammirare
l'esterno senza essere veduti.
La nostra visita continua nel cortile di Dhah Jahan, dal nome di questo
imperatore (1592-1666), figlio di Jahangir (1569-1627): da qui si accede
alla sua camera da letto (un insieme di cinque stanze!) e di fronte
all'edificio che ospita la sala delle udienze private, il Diwan-i-Khas.
Dopo altri edifici raggiungiamo il centro del forte dove c'è il Diwan-i-Am,
la sala delle udienze pubbliche (1631).
Concludiamo la nostra visita e ci ritroviamo nei vicoli della città
vecchia.
Per raggiungere il Museo di Lahore si potrebbe impiegare una mezz'ora a
piedi, ma noi ci fermiamo frequentemente lungo la strada per visitare
bottegucce, fare qualche acquisto e sfamarci ai tanti baracchini che offrono
cibo.
Il Museo di Lahore è il più grande ed il più antico museo del Pakistan,
essendo stato costruito nel 1864.
L'attuale sede venne inaugurata nel 1894: nelle sue gallerie presenta un
percorso completo della storia del Pakistan dalla preistoria al Novecento.
Lahore,
i giardini Shalimar.
Vi sono conservati reperti di ogni genere: oggetti preistorici, preziosi
dipinti miniati, arte Gandara, antichi tappeti musulmani, scialli, manufatti
oltre ad una collezione di manoscritti calligrafici.
Ma noi ammiriamo in particolare la statua del "Digiuno di Siddharta",
o "Siddharta digiunante" (I-II secolo d. Cr.) nel quale si vede
con realismo il corpo del futuro Buddha consunto dal digiuno, quella della
dea greca Athena (II secolo d. Cr.) ed il "Miracolo di Saraswati",
un intricato bassorilievo in pietra che rappresenta l'unico miracolo che
avrebbe compiuto Buddha nella città di Saraswati, anch'esso del II secolo
d. Cr. Purtroppo nel museo non è possibile fotografare.
All'uscita dal museo fermiamo dei taxi e ci facciamo portare tutti ai
giardini Shalimar che si trovano sulla Grand Trunk Road che porta verso il
confine con l'India, a circa cinque chilometri dalla città.
Lahore,
i giardini Shalimar.
Seduto
sul
trono dell'Imperatore nei giardini Shalimar di Lahore.
Furono costruiti tra il 1641 ed il 1842 da Ali Mardan, il capo architetto,
un po' imbroglione, dell'imperatore moghul Shah Jahan (1592-1666). Sono
organizzati su tre terrazze digradanti che portano i suggestivi nomi di
"Dispensatore di Piacere", "Dispensatore di Bontà" e
"Dispensatore di Vita". Il nome Shaliman letteralmente significa
"Casa della Gioia".
Nello stile dei giardini moghul, essi sono racchiusi da un muro
quadrangolare; per irrigarli venne costruito un canale apposito, lungo 160
chilometri da Madhpur (l'antica Rajpot) oggi in India, che porta l'acqua nel
grande bacino centrale.
410 fontane riempiono le vasche con cascatelle ed altri giochi d'acqua.
C'è anche il trono dell'imperatore, in marmo, da dove il sovrano amava
ascoltare musica.
Girando per i giardini si possono ammirare una grande varietà di piante e
di fiori: ciliegi, albicocchi, aranci, mandorli, manghi, gelsi e tante altre
varietà di essenze.
Per la comodità dell'imperatore ci sono nove padiglioni con verande e
camere ed anche una sala per le udienze pubbliche.
A Lahore si
caricano i nostri bagagli sul minibus.
Curiosamente questi giardini rimasero per almeno tre secoli privati, in mano
ad una famiglia che ne aveva la custodia. Furono espropriati nel 1962 e da
allora resi accessibili al pubblico.
Rientriamo in città e, per l'ultima cena pakistana, scegliamo di andare a
mangiare in un ristorante cinese, vicino al nostro albergo.
Oggi, venerdì 12, la giornata si presenta nuvolosa.
Alle 8 siamo pronti con i bagagli davanti all'albergo; verso le 8.30 arriva
il minibus Ford Transit che avevamo prenotato ieri alla stazione dei taxi
che ci dovrà accompagnare fino alla frontiera con l'India.
Carichiamo tutti i nostri bagagli ed alle 9.10 partiamo.
Sono circa 25 i chilometri che separano Lahore dalla frontiera con l'India:
la strada termina davanti ad uno sbarramento con uno slargo occupato da
numerosi camion: è il posto di blocco pakistano prima del confine vero e
proprio.
Oltre, la strada prosegue per due o trecento metri in terra di nessuno: a
destra ed a sinistra ci sono delle basse costruzioni che ospitano i vari
uffici di confine pakistani.
Dove
finisce la strada al confine con l'India, scarichiamo i bagagli.
Foto
presa di nascosto durante l'attraversamento della terra di nessuno tra
Pakistan ed India.
L'autista si arrampica sul tetto del Transit, slega i bagagli e ce li passa.
Controlliamo di avere tutto e lo salutiamo.
Ora siamo proprio a piedi!
Ci avviamo verso il primo degli uffici trascinandoci il nostro bagaglio
personale. A pagamento ci sono dei portatori pakistani che si offrono di
caricarsi il nostro bagaglio. Qualche ragazza ne approfitta.
In tutta l'area, essendo zona militare di confine tra due nazioni i cui
rapporti continuano ad essere conflittuali, sono ripetuti dei cartelli con
il divieto di fotografare, ma io, tenendo la macchina fotografica appesa al
collo, senza dare nell'occhio, scatto alcune foto di nascosto: mi sembra che
il click dell'otturatore faccia un baccano da essere sentito da
tutti. In realtà non se ne accorge nessuno.
Foto
presa di nascosto durante l'attraversamento del confine
Pakista-India.
Si comincia con il controllo passaporti, consegna della carta d'uscita,
dichiarazione doganale e persino controllo del certificato internazionale di
vaccinazione!
Nelle varie baracche che ospitano gli uffici si entra uno alla volta e non
serve a nulla dichiarare che siamo un gruppo di italiani che viaggia
assieme: il controllo è sempre individuale, molto scrupoloso e lento.
Dopo aver superato tutti i controlli pakistani, percorriamo un altro
centinaio di metri che ipotizziamo siano nella terra di nessuno.
Al termine ci attende un altro schieramento di baracche: sono gli uffici
dell'immigrazione indiana.
Anche qui controllo dei passaporti e dei visti che avevamo ottenuto
dall'ambasciata indiana di Islamabad il secondo giorno in cui eravamo in
Pakistan, compilazione della carta d'ingresso, dogana, controllo sanitario,
eccetera.
E' la prima volta che mi capitano tanti controlli così rigorosi e puntuali
all'ingresso in India. Evidentemente qui, dove si fronteggiano al confine i
pakistani con gli indiani, ciascuno di loro vuole essere più puntiglioso e
fiscale dell'altro.
A mezzogiorno e mezzo finalmente completiamo le operazioni di frontiera e
possiamo dire di essere a tutti gli effetti in India!