L'attraversamento
della terra di nessuno tra Pakistan ed India.
Dopo aver percorso a piedi la terra di
nessuno tra Pakistan ed India, come era sul versante pakistano, anche su
quello indiano c'è un piazzale di sosta occupato da camion, ma anche taxi,
pulmini e bus.
I tassisti sono insistenti nell'offrirsi di portarci ad Amritsar, ma noi
preferiamo un autobus che, oltre a farci viaggiare uniti, ha più spazio per
i nostri bagagli.
Il viaggio dura meno di un'ora ed all'una e un quarto scendiamo davanti
all'Hotel Meggdoot di Amritsar.
Il tempo di sistemare i bagagli nelle camere e siamo subito fuori.
Naturalmente vogliamo raggiungere il Tempio d'Oro dei Sikh, il centro più
importante della loro religione e meta di pellegrinaggi, attorno al quale è
nata e cresciuta la città.
Prima però passiamo per il Jallianwalla Bagh, un giardino pubblico (bagh
significa giardino) non lontano dal Tempio d'Oro (o Harmandir Sahib).
Questo luogo fu teatro di un massacro che Winston Churchill (1874-1965) non
esitò a definire come «...a monstrous event».
Nell'aprile 1919, per il timore di attentati, il Governatore inglese del
Punjab aveva imposto la legge marziale che, tra l'altro, proibiva le riunioni
di più di cinque persone.
Il 13 aprile era la festa di Baisakhi (o Vaisakhi) che veniva (e viene)
celebrata soprattutto tra i Sikh ma, per differenti motivi, anche dagli
induisti, dai buddhisti ed in genere da tutti gli uomini legati ai lavori
agricoli.
Il luogo dove si erano riuniti era appunto questo giardino, delimitato da
mura, al quale si accedeva attraverso un'angusta unica apertura. Per questo
varco entrarono le truppe britanniche con i Gurkha sotto il comando del
generale Reginald Dyer (1864-1927). C'era anche un mezzo blindato, ma non
riuscì ad entrare a causa della ristrettezza del varco.
Senza alcun preavviso il generale Dyer diede l'ordine di sparare e fu
carneficina. La gente inerme era in trappola, dato che l'unica via d'uscita
era quella dove si erano appostate le truppe con il mezzo blindato.
I soldati spararono finché non esaurirono tutte le pallottole.
All'epoca le fonti ufficiali britanniche parlarono di 379 civili morti, ma
in realtà furono molti di più: la cifra più vicina alla realtà è quella
di 1500 vittime.
Lo
Jallianwalla Bagh di Amritsar, oggi monumento nazionale.
Ora ci troviamo sul luogo del
massacro, divenuto monumento nazionale nel 1951, che conserva ancora lo
stretto passaggio attraverso il quale erano entrati i soldati del generale
Dyer mettendo in trappola tutte le persone che si erano radunate.
Fa una certa impressione vedere alcuni resti delle vecchie mura originarie
che recano ancora evidenti i fori dei proiettili.
Una bassa piramide per terra indica il punto esatto dal quale i soldati
fecero fuoco.
E' stato eretto anche un obelisco, a forma di fiamma.
Ci vuole poco da qui arrivare al Tempio d'Oro.
Sikh, Tempio d'Oro e Amritsar sono tre nomi che è difficile separare, tanto
sono inscindibili l'uno dagli altri.
Fino al 1574 la città non esisteva.
Il luogo era attraversato dalla direttrice per la quale passava una
diramazione della via della seta ma, al massimo, qui esisteva un
accampamento o un ricovero per le carovane, o forse neppure questo dal
momento che non ne abbiamo un riscontro storico.
Tutto ebbe inizio con Nanak (1469-1539), originario di Talwandi (oggi
Nankana Sahib, in Pakistan), non troppo lontano da Lahore.
Influenzato soprattutto dal mistico Kabir (1440-1518) e dal poema
Bhagavad-Gita (tradizionalmente fatto risalire al III secolo a. Cr.), Nanak ideò
una religione che, superando le caste e le divisioni delle sette indiane,
vedeva la salvezza dell'uomo nell'adorazione fiduciosa di un Dio unico.
I Sikh (parola di origine sanscrita che significa letteralmente
"discepolo" o "allievo") dovevano seguire le indicazioni
e gli ammaestramenti di un guru.
Nanak fu il primo di questi guru e fu lui stesso a nominare il proprio
successore.
I primi guru si distinsero per particolari fatti e predicazioni: puntando
sull'istruzione, come mezzo per giungere all'uguaglianza tra le persone,
diedero ai discepoli preghiere ed inni, nonché un alfabeto particolare (il gurmukhi)
e libri sacri, cucine pubbliche, insegnarono ad accettare quanto chiedeva il
Creatore ed a sacrificare il proprio bene per quello degli altri. Il sikhismo faceva proseliti nella regione del Punjab: su uno dei rami in
cui si dipartiva la via della seta esisteva un luogo con un piccolo lago
circondato da un fitto bosco. Fu il luogo prescelto per diventare il centro
religioso di tutti i credenti, senza distinzioni; posto su una importante
via di comunicazione, quel bacino d'acqua ricordava la coppa d'ambrosia (il
nettare dell'immortalità) che Dio aveva offerto in sogno al primo guru,
Nanak: amrit e sarovar sono le parole che rispettivamente
indicano l'ambrosia e la vasca, o coppa, da cui è derivato il nome del
luogo, Amritsar
Fu nella seconda metà del XVI secolo che il terzo guru, Amar Das
(1552-1574) ebbe l'idea di scavare il laghetto per ricavarne il serbatoio
sacro.
Il progetto non prevedeva solo lo scavo del bacino e la costruzione di un
tempio, ma anche la realizzazione di una città attorno. Venne acquistato il
terreno dai proprietari dei villaggi vicini (non si sa se a pagamento o
gratuitamente) ed i lavori poterono iniziare probabilmente nel 1570.
Il
bacino sacro che circonda il Tempio d'Oro di Amritsar, resto
dell'antico laghetto preesistente, simboleggia la coppa
d'ambrosia che Dio aveva offerto in sogno a Nanak.
L'Hamandir,
circondato dal bacino sacro, visto da una delle gallerie che lo
circondano.
Nel 1577 pare che il bacino fosse già completato, il nucleo di Amritsar era
già sorto ed esisteva il primitivo tempio.
Nel 1588 iniziò la costruzione di un tempio più grande al centro del
bacino che venne ingrandito.
L'Harmandir, il tempio di Dio dalle parole Hari (Dio) e Mandir
(tempio), detto anche Darbar Sahib (Palazzo del Signore), venne completato
nel 1601.
Intanto ogni guru successivo donava nuovi insegnamenti al proprio popolo, ma
indubbiamente, con il tempo, ci si era allontanati dall'insegnamento di
Nanak il cui scopo era anche quello di gettare un ponte tra induismo ed
islamismo.
Anche la scelta del guru Angad (1539-1552) di creare un apposito alfabeto
inevitabilmente portò ad approfondire un solco tra il sikhismo e
l'induismo.
Questa frattura si concretizzò soprattutto con il decimo guru Gobind Singh
(1675-1708) che gettò le basi di una organizzazione religiosa e militare,
la Khalsa.
I membri della Khalsa ricevono una specie di battesimo (il puhul) con
acqua zuccherata rimestata con una spada ed aggiungono al proprio nome la
parola singh (leone), a differenza dei Sikh Sahajdhari che, pur
obbedendo al medesimo guru, non si sottopongono a questa cerimonia. Nel 1761, Ahmad Shah Durrani (circa 1722-1772), un conquistatore afghano,
rase al suolo Amritsar che venne riconquistata tre anni dopo: con la
ritirata degli invasori, i Sikh ne approfittarono per impadronirsi di Lahore,
che divenne il loro centro politico, e gran parte dell'odierno Pakistan.
Sotto il comando di Ranjit Singh (1793-1839) i Sikh si impadronirono anche
del Kashmir, di Multan e Peshawar ed il loro capo divenne maraja.
Essi opposero una resistenza accanita contro gli inglesi: vincitori nel
1845, dovettero soccombere nel 1849 ed il loro territorio venne inglobato
nel dominio britannico.
Il valore dei Sikh si distinse anche nell'esercito britannico dove
militarono ottenendo il privilegio di poter conservare il turbante che raccoglie i loro
lunghi cappelli anche indossando l'uniforme militare.
Il grande dramma dei Sikh fu vissuto nel 1947, con la spartizione del Punjab
che venne preceduta, all'inizio dell'anno, da combattimenti feroci tra Sikh
e Indù da una parte e musulmani dall'altra: gli scontri degenerarono in
spaventosi massacri di Sikh e Indù, nei territori soggetti al Pakistan, e di
musulmani in quelli sottoposti all'autorità indiana. In questa carneficina
furono fatte le deportazioni delle popolazioni.
Oggi riconosciamo i Sikh soprattutto per il loro turbante. Ma cinque sono i
segni che li contraddistinguono, le cosiddette "cinque kappa":
- Kesh, i capelli che non
vengono mai tagliati e, per la loro lunghezza, sono raccolti appunto in un
turbante;
- Kangha, il pettine che raccoglie i capelli in modo ordinato;
- Kara, il braccialetto di ferro che indossano per simboleggiare il
controllo morale delle loro azioni;
- Kacha, le mutande che indossano, simbolo di autocontrollo e
castità;
- Kirpam, la spada cerimoniale, simbolo di fortezza e di lotta
all'ingiustizia.
Giungiamo così al tempio d'Oro, o Harmandir, con l'oro delle sue pareti e
della cupola che risplende in questa giornata di sole.
Oggi è una maestosa costruzione di marmo, per altro priva di particolare
interesse architettonico, sormontata da una cupola principale in rame
coperta da foglia d'oro, come gran parte delle pareti.
Si riflette sulle acque di un bacino che vuole ricordare la coppa d'ambrosia
(il nettare dell'immortalità).
Come abbiamo raccontato sopra, il tempio originario
venne saccheggiato da Ahmad Shah Durrani nel 1761. Quello che noi vediamo
oggi venne riedificato dopo il 1764 ed ampliato ed arricchito con le
dorature nel 1802 da Ranjit Singh che fece trasportare da Lahore il
materiale che serviva; in particolare gli
elementi decorativi che provengono dai mausolei di Jahangir e di sua moglie
Nur Jahan.
Entrati attraverso una delle quattro porte che introducono al grande recinto
sacro, dobbiamo ora rispettare le regole sikh: non possiamo bere alcolici, né
fumare, e per questa seconda proibizione qualcuno soffre sentendo la
mancanza di una sigaretta.
Subito ci troviamo sul Pardakshna, o Parikrama, il vasto deambulatorio
pavimentato di marmo liscio che circonda il bacino dove c'è il tempio.
Giriamo attorno contemplando gli scorci architettonici ma anche osservando
l'ininterrotto afflusso di Sikh che costantemente sono presenti.
Una stretta strada rettilinea leggermente rialzata, come un ponte, collega
una sponda del Pardakshna al tempio attraversano lo specchio d'acqua.
Attorno al Pardakshna si elevano altri edifici, torri di guardia e gallerie.
Ci sono anche tre alberi, il più famoso dei quali probabilmente è il Ber
(albero di) Baba Buddha Ji che si reputa vecchio di cinquecento anni. Sotto
quest'albero, che anticamente faceva parte del bosco
che circondava l'originario laghetto prima che iniziasse la costruzione del
luogo sacro, si sedeva Baba Buddha Ji, il primo capo sacerdote dell'Harmandir,
che da qui controllava i lavori di scavo dell'Amrit Sarovar e di
edificazione del tempio.
Il
Ber Baba Buddha Ji che la tradizione vuole vecchio di
cinquecento anni.
Veduta
dal complesso da sotto il Ber Baba Buddja Ji: a destra del Tempio
d'oro è visibile la torre Baba Atal.
Gli altri due alberi storici nel
recinto del tempio sono il Gurdwara Laachi Ber ed il Gurdwara Dukh Bhanjani
Ber: al primo Martyrs Sukha Singh e Mehtab Singh legarono i loro cavalli per
andare a tagliare la testa ad un governatore moghul che aveva profanato il
tempio; sotto il secondo invece guarì miracolosamente un lebbroso che si
era immerso nelle acque del bacino e l'albero venne chiamato con quel nome
che significa "sradicatore/estirpatore di sofferenze".
Continuando il nostro giro attorno al bacino giungiamo al Guru Ka Langar,
ovvero la cucina della comunità. E' in funzione 24 ore su 24 e può servire
fino a quarantamila pasti al giorno; viene sovvenzionata con i contributi di
tutti i Sikh.
E' inconcepibile un tempio sikh senza cucina: questa infatti è un simbolo
di uguaglianza e di fraternità dove tutti condividono lo stesso cibo, i
ricchi con i poveri, le persone colte con gli ignoranti, i re con i
mendicanti. Tutti si siedono in fila e attuano il principio del sikhismo di
uguaglianza sociale tra tutto il genere umano in quanto tutti gli uomini
sono uguali di fronte a Dio.
Il
Guru Ka Langar, l'immancabile cucina in ogni tempio sikh,
presente naturalmente anche qui ad Amtitsar.
Oltre l'edificio della cucina, c'è una serie di strutture per
l'accoglienza dei pellegrini. In genere sono aperte a tutti e sono gratuite,
o richiedono un obolo irrisorio, simbolico; inoltre il pellegrino non vi
può sostare più di tre giorni. L'unica condizione per accedervi è di non
compiere nulla che sia contrario agli insegnamenti del sikhismo.
Più in fondo vediamo da lontano la Baba Atal, una torre di nove piani che
venne costruita tra il 1778 ed il 1784 in memoria di Atal Rai, un figlio di
Har Gobind Ji (1595-1644), sesto guru dei Sikh, morto nel 1628 a soli nove
anni.
Nonostante la sua giovane età, era soprannominato baba, cioè
"vecchio, saggio", perché portava sopra le sue spalle una testa
saggia. Giocando, ammansiva i suoi compagni. A lui è attribuita la
prodigiosa rissurezione di un suo coetaneo che era morto a seguito del morso
di un cobra.
Completiamo il nostro giro percorrendo una delle gallerie del Pardakshna e
portandoci verso l'Akal Takhat, giusto di fronte al Tempio d'Oro.
Una
prospettiva su una galleria attorno al Tempio d'Oro.
L'Akal Takhat è composto dalle parole Akal, che significa
"colui che è senza tempo", un altro nome per indicare Dio, mentre
Takhat in persiano significa "trono".
Si tratta di un'imponente costruzione eretta la prima volta nel 1609 dal
sesto guru Har Gobind Ji come luogo dove venivano risolte le controversie
temporali e spirituali della comunità sikh.
Il
Tempio d'Oro, o Harmandir Sahib, si riflette sulle acque del bacino
sacro.
Nei primi anni era utilizzato anche
per ospitare il consiglio e le congregazioni sikh. Oggi è il centro
nevralgico del sikhismo, dove vengono emanati tutti i comandamenti, le
leggi, le prescrizioni che riguardano la comunità nel suo insieme.
L'Akal Takhat, che simbolicamente costituiva una specie di baluardo politico
contro gli imperatori moghul, venne raso al suolo più volte dai musulmani.
Il piano terra della costruzione che vediamo oggi risale al 1874;
successivamente furono aggiunti altri tre piani.
Di fronte si trova il Darshani Deori, il grande arco d'ingresso costruito
per accedere alla strada rialzata che, tagliando l'acqua del bacino sacro,
porta all'Harmandir Sahib collocato al centro della vasca.
Il
Darshani Deori, l'arco d'ingresso per accedere al Tempio d'Oro.
Questa passerella è lunga poco più di 61 metri e larga appena 6 metri e
mezzo: a causa della sua lunghezza, e per il fatto che a destra e a sinistra
c'è acqua, sembra un ponte sottile come un capello, stretta come il filo di
un rasoio, sul quale passano le anime giuste dopo il trapasso, mentre le
altre precipitano in un abisso di sangue e di pus.
La strada rialzata è fiancheggiata su ogni lato da una serie di otto
lampioni che sorreggono una lanterna di rame dorato.
Si entra nel tempio a piedi nudi e con il capo coperto. Non ci sono gradini
da superare ed il tempio ha quattro porte. Questo potrebbe apparire
singolare, infatti i templi indù sono posti ad un livello più alto e vi si
accede salendo dei gradini entrando per un'unica porta dalla quale anche se
ne esce.
Qui invece il tempio sorge allo stesso livello del suolo, non ci sono
gradini da superare e gli ingressi sono quattro.
E' la nuova concezione del sikhismo: il tempio, il luogo per pregare la
divinità, il Creatore, è accessibile ad ogni persona, senza alcuna
distinzione di casta, di religione, di sesso.
La struttura principale è a tre piani: la facciata, di fronte al ponte, è
decorata con una serie di archetti cuspidati ed il tetto del primo piano è
a circa 8 metri d'altezza. Sopra il primo piano un parapetto alto m. 1,20
circonda i quattro lati: agli angoli quattro piccoli padiglioni sono
sormontati da altrettante cupole dorate. In corrispondenza della sala
principale, sopra c'è una stanza quadrata alla quale si può accedere
attraverso tre porte. Qui vengono recitate le preghiere e lette le pagine
del Libro Sacro che, amplificate da altoparlanti, si diffondono per tutta
l'area.
La stanza è sormontata da una cupola (gumbaz) fortemente scanalata
da un motivo a fiore di loto che sostiene il kalash con un bel chhatri
alla fine.
Pur non avendo una grande importanza architettonica, tuttavia il tempio
riesce a creare un originale punto d'incontro tra gli stili induista e
musulmano.
Entriamo e sopra il portale si trova
il tesoro scintillante di gioielli, diamanti e rubini e altre pietre,
incastonate nel baldacchino che protegge il Libro Sacro durante le
processioni. Le quattro coppie di pannelli delle porte sono d'oro cesellato.
E' tutto un brillare, un rifulgere d'oro perché la Parola stessa è d'oro
con i versetti incisi nel prezioso metallo nell'alfabeto gurmukhi (da
mukhi, bocca, quindi "dalla bocca del guru") inventato dal guru
successore di Nanak, Angad Dev Ji.
Niente è banale, tutto qui è intriso di una profonda e ordinata religiosità:
le scope che servono per la pulizia del pavimento del tempio sono fatte di
piume di pavone.
Ritorniamo sui nostri passi ripercorrendo la strada rialzata che ci ha
condotti fin qui.
Ammucchiata
di gruppo al Maghdoot Hotel di Amritsar.
Passiamo a visitare il museo centrale
dei Sikh ospitato nell'edificio poco oltre l'albero sotto il quale sostava
Baba Buddha Ji.
E' una raccolta di ritratti di guru, sacerdoti, santi e guerrieri e altri leader
di spicco che hanno contribuito alla storia ed alla religione Sikh; quadri
rappresentano scene di battaglia e grandi avvenimenti importanti per la loro
storia.
Sono esposti anche strumenti musicali, monete, manoscritti, cannoni fino a
foto ed altri documenti che raccontano il dramma dei Sikh del 1947.
La giornata di oggi è stata particolarmente intensa: stamattina eravamo
ancora a Lahore ed abbiamo avuto anche l'attraversamento a piedi della terra
di nessuno tra i confini di Pakistan ed India.
Rientriamo verso il Maghdoot Hotel, non senza esserci fermati per una cena con
tante salsette a base di yogurt in un ristorantino, condotto da alcuni Sikh.
In albergo poi raduno collettivo con tutti in un'unica camera!
Il giorno dopo ci alziamo con comodo: dobbiamo essere in aeroporto prima di
mezzogiorno, così possiamo farci un giro per le strade di Amritsar dove è
costante la presenza dei Sikh, riconoscibili dai loro appariscenti turbanti.
In meno di mezz'ora poi raggiungiamo l'aeroporto che dista una quindicina di
chilometri dal centro della città.
Partiamo in ritardo con il volo IC423 alle 14.05 e atterriamo a Srinagar dopo
mezz'ora esatta.