Le alte valli

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Le "houseboat" a Srinagar, schierate di fronte al Boulevard Road. 
 
Dopo mezz'ora esatta di volo atterriamo a Srinagar. Recuperati i bagagli, ci facciamo condurre a Srinagar con un vecchio e malandato autobus trovato nella zona dei taxi dell'aeroporto.
Questa città gode di un clima temperato, al riparo dei monsoni, attraversata dal fiume Jhelum, un affluente dell'Indo, si estende su un lago, tra innumerevoli canali e giardini galleggianti di loti che richiamano i chinampa aztechi di Xochimilco.
Per la sua posizione felice è sempre stata prescelta come luogo di residenza, durante la stagione dei monsoni, degli imperatori moghul e delle loro famiglie che qui vi costruirono splendidi giardini nel loro tipico stile.
Anche nell'Ottocento venne particolarmente apprezzata dagli europei, gli inglesi in particolare, che vi volevano trascorrere i periodi di vacanza. Avrebbero anche costruito volentieri delle ville per sé, ma il Maharaja Ranbir Singh (1830-1885) non permetteva l'acquisto di terreni da parte degli stranieri. Persino il mistico Vivekananda (1863-1902) che aveva chiesto di poter acquistare un terreno per costruirvi il proprio ashram ricevette un diniego.
Così nacque la tradizione delle houseboat, case galleggianti costruite su barche da affittare agli stranieri e, oggi, ai turisti.
Una di queste case galleggianti sarà anche la nostra base durante la permanenza nella regione, al nostro arrivo e più tardi quando torneremo dalla nostra escursione in Ladakh.
Una alla volta le "shikara" ci portano alla "Morning Glory", la nostra "hoeseboat". 
  
Le houseboat sono schierate sul lago, dove esso forma un braccio d'acqua che assomiglia ad un largo canale, sul lato opposto al Boulevard Road, dove scarichiamo i bagagli dall'autobus.
C'è l'imbarazzo della scelta: siamo circondati da intermediari, proprietari di houseboat e da barcaioli che si offrono di portarci a quella che conoscono.
Alla fine optiamo per una, la "Morning Glory", che può accogliere l'intero gruppo, sulla quale avevamo delle note positive da chi era già stato.
Effettuiamo il nostro trasbordo, compresi i bagagli, con delle shikara, delle piccole imbarcazioni con una leggera copertura che sono condotte da un solo barcaiolo che rema stando a poppa.
 
L'interno della nostra "houseboat": il salottino della "Morning Glory".
 
Interno della "Morning Glory", la nostra "houseboat": la zona pranzo.
Sono ormai le quattro del pomeriggio quando, completato il trasferimento a bordo, siamo finalmente nella nostra houseboat.
Esternamente le houseboat dispongono di un ampio poggiolo coperto che si affaccia sul lago, di fronte al Boulevard. Sopra il tetto c'è una terrazza, parzialmente coperta da una tenda, con sedie a sdraio per chi vuole prendere il sole.
All'interno ci sono cucina, un salotto con televisore, le camere private con i servizi. Il tutto in legno con eleganti intagli.
 
Dalla terrazza dell'"houseboat" abbiamo la vista su Boulevard Road.
 
   I proprietari dell'houseboat ci raccontano come nacque l'idea di questa soluzione per ospitare gli europei che, nella seconda metà dell'Ottocento, volevano soggiornare a Srinagar dove, come detto, non potevano acquistare una casa.
Pare che un commerciante, un certo Pandit Naraindas, avesse un negozio in città: un fabbricato di legno, come allora si usava, che andò a fuoco in un incendio, avvenimento non raro in una città dove gran parte delle abitazioni era in legno.
Non potendosi permettere di costruire un nuovo negozio, portò tutta la sua mercanzia in una barca che ormeggiò a riva continuando con successo i suoi commerci. La casa attirò l'attenzione di un europeo che acquistò la barca per trasformarla in abitazione.
Naraindas fece costruire una barca attrezzata a casa galleggiante e riuscì a venderla senza difficoltà (pare si chiamasse "Princess Kashmir").
Si trasformò così in costruttore di houseboat e fino al 1948 lui con la sua famiglia costruirono e gestirono circa 300 di queste barche-abitazione.
Che la storia sia vera o leggendaria, questo non lo sappiamo: così ci è stata raccontata.
Trascorriamo il resto del pomeriggio e la sera a bordo, riposandoci un po': domani mattina avremo la sveglia prestissimo per essere prima dell'alba al mercato galleggiante che si svolge tutti i giorni sul lago Dal. Prenotiamo già da subito le shikara che ci verranno a prendere sotto l'houseboat domani mattina.
 
Una "shikara" sul lago Dal.
 
Il mercato galleggiante sul lago Dal.
Questa mattina sveglia alle quattro e cerchiamo di prepararci in fretta.
E' ancora notte quando alle 4 e mezza arrivano le shikara che avevamo prenotato ieri sera: a turno scendiamo dalla houseboat scendendo per una scaletta di legno. E' tutto silenzio: si sente solo lo sciabordare dell'acqua mossa dal tipico remo dalla forma di un fiore di loto. Non c'è il rumore di un motore, ma solo quello dell'acqua.
Usciamo da quella specie di insenatura che forma il lago Dal dove sono le houseboat.
Lentamente l'orizzonte si apre sotto il cielo ancora notturno, ma che promette lo schiarire con l'arrivo dell'alba emettendo dei chiarori bluastri.
Con meraviglia scopriamo che il lago è trafficatissimo, ma non si tratta di turisti: ci sono bambini che sulle shikara sono accompagnati ogni giorno per andare a scuola, ci sono gli uomini che si recano al lavoro, ci sono le barche che si avvicinano all'area del mercato per fare acquisti. Il lago non è un deserto specchio d'acqua, è abitato nelle sue isole, nei canali che lo attraversano.
Troppo buio per fare foto, peccato!
Una flotta di barche, forse un centinaio, cariche di verdure, ortaggi, fiori, è presa d'assalto da quelle dei compratori. Le barche si toccano, si spingono, altre cercano di farsi largo nell'ingorgo, come potrebbe avvenire tra le persone a piedi che si accalcano in un nostro mercatino rionale.
E' un mercato all'ingrosso, ci spiega il barcaiolo del nostro shikara: i produttori o grossisti vendono le loro merci, per lo più prodotte sulle isole del lago molto fertili, a venditori al dettaglio. Ci sono anche le barche dei turisti, forse una decina oltre alle nostre, e così i venditori hanno qualcosa anche per noi, piccole quantità di frutta, o spuntini, o mazzetti di fiori.
Al mercato sul lago Dal si vendono anche mazzetti di fiori!
La vendita e l'acquisto avviene da una barca all'altra: le barche si accostano e la merce passa di mano.
E come in tutti i mercati del mondo i venditori urlano per attirare l'attenzione dei clienti magnificando le qualità dei loro prodotti.
Non possiamo non notare che quasi tutte le persone che animano il mercato sono uomini!
 
Il mercato galleggiante sul lago Dal.
 
Le prime luci del sole irrompono sul lago e rompono la notte. Ora si può tentare di fare qualche fotografia, ma l'agitazione e il numero delle barche sono già diminuiti: dura poco questo mercato, un paio d'ore al massimo.
Con il sole lo specchio d'acqua del lago diventa abbagliante. Il nostro giro continua e noi ci addentriamo per i canali del lago, tra isolette non solo coltivate, ma anche abitate: case di legno con giardinetti che si affacciano sull'acqua e sotto le case, invece di automobili, barche!
Esplorando i canali scopriamo scene e personaggi che non potevamo immaginare di vedere.
Di ritorno sbarchiamo in Boulevard Road e da qui compiamo una tranquilla passeggiata per Srinagar.
Il nome della città proviene dall'unione di due parole: Sri, un altro nome della dea Lakshmi, e nagar, che significa città.
Si fa risalire la sua fondazione, secondo alcuni, al Re Pandava Ashok (da non confondere con l'imperatore Maurya), secondo altri invece proprio dall'Imperatore Ashoka (304-232 a. Cr.), su un luogo oggi occupato dal villaggio Pandrethan, a 5 chilometri a nord dell'attuale Srinagar.
In attesa dell'autobus che tarda ad arrivare.
Ai tempi dell'Imperatore Ashoka faceva parte dell'impero Maurya. Fu Ashoka ad introdurre il buddhismo nella valle del Kashmir e le regioni attorno alla città divennero centro del buddhismo.
Nel I secolo la regione era sotto il controllo della dinastia Kusha, che rafforzò la tradizione buddhista. Caduta sotto gli Unni Eftaliti, una tribù dell'Asia centrale, attorno al 960 divenne capitale del Kashmir. Il predominio buddhista durò fino al XIV secolo quando tutta la valle passò sotto il controllo di vari governanti musulmani.
Con la disgregazione dell'Impero Moghul, a seguito della morte di Aurangzeb (1707), vi furono delle infiltrazioni di tribù Pashtun e per alcuni decenni Srinagar fu assoggettata all'impero fondato da Ahmad Shah Durrani (1722-1773). Il Maharaja del Punjab Ranjit Singh (1780-1839) annesse il Kashmir, Srinagar compresa. A seguito di un trattato con gli inglesi, nel 1846 la regione, fino al 1947, fece parte di uno dei numerosi stati principeschi indiani.
Con l'indipendenza dell'India e del Pakistan, ci furono momenti travagliati per la popolazione, con i territori che furono contesi, oltre da queste due nazioni, anche dalla Cina. Alcuni confini sono oggi de facto, altri addirittura non definiti.
Non abbiamo una meta precisa: solo passeggiare mentre alcuni di noi si soffermano nei negozi di souvenir dove primeggiano i lavori di paper-mâché con decorazioni ispirate a motivi moghul.
Ma è solo un assaggio della città che visiteremo al nostro ritorno dal Ladakh. Vista la levataccia mattutina per andare al mercato galleggiante e la strada che ci aspetta domani, rientriamo presto nella nostra houseboat.
La mattina dopo sveglia e colazione di buon'ora. Ieri sera avevamo già selezionato le cose da portare via da quelle che possiamo lasciare nell'houseboat fino al nostro ritorno: solito trasbordo sulla shikara e prima delle 8 siamo sul Boulevard Road in attesa dell'autobus che si fa attendere.
  Arriva in ritardo con due autisti: ci sembra più malandato di quello che dall'aeroporto ci aveva portato fin qua appena l'altro ieri. Speriamo!
Sono le 8.45 quando partiamo.
La giornata è bella, splende il sole. Prendiamo la direzione di Gandarbal, verso nord, e appena fuori Srinagar costeggiamo per un attimo il lago Anchar. Attraversiamo un territorio di tipo quasi alpino, con pascoli verdi.
 
Attorno alla strada, prati e boschi.
 
  L'attuale strada tra Srinagar e Leh è una costruzione piuttosto recente. Nel XVII e XVIII secolo sembra che fosse appena un sentiero, impraticabile per i cavalli. Era utilizzata dai portatori dello Yarkand e tibetani che trasportavano le merci a spalla: si trattava per lo più di lana pashmina per l'industria dello scialle kashmir.
Attorno al XIX secolo il percorso venne migliorato in modo da farci passare carovane di cavalli pony.
Negli anni Cinquanta del Novecento erano aumentate le tensioni in Ladakh: la Cina di nascosto costruiva un'enorme strada militare di 1.200 chilometri da Xinjiang al Tibet occidentale. Questa strada venne scoperta dagli indiani nel 1957: la situazione politica precipitava e culminò nella guerra sino-indiana del 1962. In quell'occasione la strada sul versante cinese fu un'importante fonte di approvvigionamento per l'Esercito Popolare di Liberazione che ne era enormemente avvantaggiato. Questo diede lo spunto al governo indiano di costruire una strada per la mobilitazione ed il rifornimento delle proprie truppe schierate al confine con la Cina. La costruzione iniziò a partire da Srinagar nel 1962 e dopo due anni era già completata fino a Kargil.
La vallata continua a essere verde.
Queste sono le origini di questa strada non asfaltata di 434 chilometri che noi stiamo per percorrere per raggiungere Leh.
La strada continua a mantenere la sua importanza militare ed i civili, per percorrerla, devono assoggettarsi a delle restrizioni. Ad esempio, nel caso di mobilitazioni di truppe, queste hanno la precedenza.
Ormai usciti dalla valle di Srinagar, la strada devia verso est seguendo il corso del fiume Sindh, che ogni tanto abbandoniamo per poi ritrovarlo dopo qualche chilometro.
Passate di poco le dieci, arriviamo a Kangan per una sosta di meno di mezz'ora, fatta più che altro per gli autisti che acquistano qualcosa al mercato.
Continua il panorama di tipo alpino con molto verde e dopo circa un'ora e mezza, passato mezzogiorno, giungiamo a Sonamarg, un luogo noto per le escursioni ed i facili trekking che si possono fare nei dintorni. Infatti è attrezzata con numerosi alberghetti e ristorantini.
La sosta è giusto di mezz'ora, tanto per comperare qualcosa da mangiare per poi proseguire il viaggio alle 13.
Da quando siamo partiti questa mattina, in poco più di quattro ore, abbiamo percorso solo 84 chilometri.
Si comincia a salire di quota ed il paesaggio muta rapidamente diventando sempre più desertico e brullo.
Dopo meno di una ventina di chilometri troviamo un posto di guardia: siamo vicini a Baltal, una specie di campo base per i pellegrini che vogliono raggiungere la sacra grotta di Amarnath: ma questo al momento non ci interessa, anche se tra noi ci abbiamo già fatto uno speranzoso pensierino.
Ci interessa di più quello che c'è sulla strada: da qui comincia la salita del Zoji La, il primo passo da affrontare nel nostro viaggio (oltre 3.500 metri d'altezza) e c'è una sbarra perché, date le condizioni e le difficoltà del percorso, si sale a senso unico alternato: l'accesso da ciascuna parte è regolato ogni due ore.
 
Si comincia a salire verso il passo Zoji La (3.529 metri).
 
  La barra è alzata, si può passare, ma i militari del check-point ci dicono che troveremo una colonna militare che procede nella nostra stessa direzione e saremo costretti ad accodarci.
Infatti, solo dopo pochi chilometri, vediamo un lunghissimo convoglio militare dell'esercito indiano, composto da vecchi camion, che risale lentamente la strada che, con dei tornanti, porta alla sommità del passo.
Non abbiamo altra scelta se non quella di stare dietro le camionette che indicano il "fine colonna".
La lentezza è veramente impressionante: sicuramente saremo più rapidi proseguendo a piedi!
Sono più di duecento camion: il nostro autista ci dice che in genere queste colonne sono formate da almeno 220-250 mezzi. Vorrei fare qualche foto dal finestrino dell'autobus, ma l'autista me lo impedisce: sono mezzi militari in manovra e si potrebbero passare guai a fotografarli!
Il significato del nome Zoji La non è chiaro: la significa passo, c'è chi dice che significhi "passo dei quattro demoni", "passo delle betulle" perché chi proviene in senso opposto al nostro incontra i boschi del Kashmir, "passo delle donne"; il gesuita Ippolito Desideri (1684-1733) lo chiama «Kantel», altri "passo (nel senso di passaggio) di Shiva".
Noi intanto siamo qui, finalmente arrivati sul punto più alto del passo a 3.529 metri, segnalato da un grappolo di bandiere di preghiera piantate su un piccolo tumulo di sassi, segno del passaggio di buddhisti in un territorio che, seppure siamo ai margini, è ancora ufficialmente musulmano.
Per questo passo che si apre verso la grande catena himalajana transitava anche l'antica pista carovaniera che collegava il Kashmir al Ladakh ed al Tibet.
Anche la discesa è altrettanto lenta: quando la colonna finalmente affronta una deviazione lasciandoci libera la strada, è quasi notte. Noi contavamo di arrivare a Kargil, il luogo dove praticamente tutti fanno tappa prima di arrivare a Leh, ma dovrebbe mancare ancora un'ottantina di chilometri.
Così alle otto e mezza, spersi nella notte fonda, ci fermiamo su uno spiazzo dove montiamo le tende nel buio, aiutandoci con le nostre torce elettriche.
Lussuosa cena a base di scatolette!
Da questa mattina abbiamo percorso solo circa 150 chilometri!
Sveglia alle sei! Smontiamo velocemente le tende per essere pronti alla ripartenza, invece sono gli autisti a non essere pronti!
Comunque alle sette e venti si riparte e dopo un'ora e mezza siamo a Kargil. Si tratta di una grossa cittadina sorta su un importante crocevia di strade carovaniere che portavano nel territorio degli hunza, nel Tibet e nello Zanskar.
Si trova alla confluenza di due fiumi, il Drass ed il Suru, ad una ventina di chilometri dall'Indo.
La popolazione è in prevalenza ancora musulmana. Dovrebbe anche esserci, ma noi non ne vediamo traccia, una piccola comunità di cristiani protestanti, appartenente ai Fratelli Moraviani, fondata a fine Ottocento.
Oggi è soprattutto un posto-tappa, a circa metà strada per chi viaggia da Srinagar a Leh, prima di affrontare il percorso più ad alta quota: infatti ci sono numerosi alberghetti, negozi ed un mercato dove ci si può rifornire.
Noi ci fermiamo una quarantina di minuti, anche per fare la colazione che avevamo saltato questa mattina, e ripartiamo alle nove e mezza.
Le montagne a destra ed a sinistra della valle percorsa dal fiume Wakha si innalzano con le cime che giungono fino a 5.200-5.400 metri, mentre la vallata si restringe. Tutto è brullo e desertico.
 
Il panorama si fa sempre più brullo.
 
La roccia di Mulbekh su cui è scolpita la figura di Buddha.
 
Ci sono solo piccole macchie di verde attorno al corso del fiume e in qualche raro terrazzamento che riceve l'acqua chissà da dove.
Ance la strada non asfaltata compie continue curve. Alle undici e venti, dopo appena 40 chilometri, arriviamo all'antico villaggio di Mulbekh, poche case lungo la strada.
Siamo a 3.300 metri, ma non ci fermiamo, perché un chilometro più avanti, fatta una curva, scorgiamo a destra della strada uno sperone di roccia che si eleva diritto.
Sopra vi è scolpita una imponente figura di Buddha Maitreya (il Buddha dei Tempi Futuri) in piedi che domina la strada che segue ancora il percorso dell'antica carovaniera.
 
Il Buddha Maitreya scolpito sulla roccia di Mulbekh.
 
E' alta circa sette metri e, dai fori ed altri segni presenti sulla roccia, si intuisce che in origine vi fosse stato costruito qualcosa attorno, forse un semplice riparo o forse anche un edificio più importante.
Il cippo che segna il punto di massima altezza del passo.
   
Non possiamo agevolmente vederlo nella sua interezza perché è parzialmente coperto da vegetazione e da un piccolo anonimo tempio costruito nel 1975.
L'opera era attribuita ai primi secoli dopo Cristo, all'epoca dell'impero Kusana; ora si è orientati a datarla attorno al VII secolo, forse anche VI secolo d. Cr.
Sulla roccia, nelle vicinanze, si trovano due antiche iscrizioni scritte con l'alfabeto Kharoshthi. La prima è un editto del Re Lde, che governò il Ladakh occidentale nel XV secolo.
La popolazione allora sacrificava più volte all'anno una capra strappandole il cuore davanti all'altare: «Oh Lama [Tsongkapa (1378-1441) - N. d. A.] prendi nota di ciò! Il Re della fede Grags-pa-bum-ide avendo visto i frutti delle opere nella vita futura, ordina agli uomini di Mulbe [Mulbekh - N. d. A.] di abolire, prima di tutto, i sacrifici viventi e saluta il Lama. I sacrifici viventi sono aboliti.»
Gli abitanti di Mulbekh evidentemente non gradirono l'editto reale, e così a fianco, sulla stessa roccia, troviamo la scritta: «Cosa dovrebbe dire la divinità, se la capra si fosse nascosta?»
Ci intratteniamo in questo luogo anche per mangiare qualcosa al sacco e poco prima dell'una ripartiamo: ci attendono due valichi importanti.
Una continua salita ci porta sul colle Namika, dove arriviamo senza fiato: l'omonimo passo, il Namika La, ci porta fino a 3.737 metri di altezza.
 
La salita del Namika La (3.737 metri).
 
Efficacemente il suo nome significa "pilastro del Cielo". Ed infatti, con qualche isolata nube di un bianco abbagliante attorno a noi, ci sembra di toccare il cielo.
Abbiamo impiegato poco più di un'ora per giungere fin qui percorrendo appena 14 chilometri!
Sulla vetta c'è un cippo ed alcuni massi trattengono a stento delle bandiere di preghiera sferzate da un vento molto forte.
     
Rocce emergenti dopo il Namika La.
 
Panorama con le montagne.
   
Dopo aver scavalcato il passo, la discesa è quasi un'illusione: di ben poco si scende mentre siamo circondati da un paesaggio desertico dal quale di tanto in tanto emergono delle rocce erose dal vento.
Dopo una quindicina di chilometri, che potremo definire di altopiano, la strada riprende a salire verso il Fotu La.
Ogni tanto isolata in lontananza si vede qualche bassa costruzione: dal numero di antenne rizzate sul tetto non è difficile ipotizzare che si tratti di postazioni militari.
Adesso la strada si inerpica sulla montagna incontrando alcuni tornanti mentre il panorama attorno appare come lunare.
 
Quasi delle rocce lunari.
 
Accanto al cippo che indica il Fotu La come il punto più alto della strada Srinagar-Leh.
  
Dapprima i tornanti sono ben distanziati, anche un paio di chilometri l'uno dall'altro, poi la sequenza si fa più fitta e la salita più dura: il motore del nostro scassato autobus sembra gemere di dolore!
Non ho contato i tornanti, ma saranno stati una decina, affacciati sul vuoto: la strada è stretta e dal finestrino laterale sembra di librarsi nel vuoto se gli scossoni non ci facessero rendere conto che siamo su una strada.
Sono momenti di tensione sull'autobus, tutti preoccupati a controllare i bordi della strada di questo viaggio interminabile.
 
Un piccolo "chorten" devozionale con bandiere di preghiera in cima al Fotu La. 
 
Il panorama sulle montagne del Ladakh dalla cima del Fotu La.
  
In cima al passo ci fermiamo: è d'obbligo una foto ricordo sul punto più alto della strada Srinagar-Leh, 4.108 metri.
Abbiamo la sensazione reale di essere in cima al mondo!
Anche qui è stato costruito un piccolo chorten sovrastato da bandiere di preghiera.
Abbiamo percorso 35 chilometri dalla cima del Namika La ed abbiamo impiegato tre ore e un quarto, senza soste, per arrivare fin qui: meno di 12 chilometri all'ora di media!
Dopo una breve sosta sotto un cielo azzurro intenso ed abbagliante, riprendiamo la strada in discesa.
Durante la discesa dal Fotu La.
 
Lamayuru come ci appare all'improvviso dopo una curva della strada.
 
La discesa non è meno emozionante della salita: prima era il motore che andava al massimo per superare affannosamente il pendio, ora sono i freni ad essere usati per rallentare la corsa.
La strada è sempre stretta, non asfaltata, ed il precipizio a meno di mezzo metro dalle ruote, soprattutto nelle curve. Anche su questo versante infatti ci sono tornanti.
Sono le sei di sera quando, fatta una curva che girava attorno ad una parete di roccia, si presenta all'improvviso il monastero di Lamayuru, in una posizione spettacolare, incredibilmente su uno sperone che sembra elevarsi dal fondo della valle.
Ma è tardi. C'è una specie di campeggio collettivo con tende già montate, probabili forniture militari.
Nonostante la stanchezza accumulata in questa giornata, preferiamo montare le nostre tende. Un bel sonno e domani visita al monastero.
Alla mattina si ripresenta lo spettacolo di Lamayuru, un grappolo di edifici abbarbicati sulla roccia.
Siamo a 3.444 metri d'altezza.
 
La fondazione si perde nella notte dei tempi: è interessante la storia mitica di questo monastero: ai tempi di Buddha Shakyamuni, su quest'area esisteva un lago, abitato dai Naga (serpenti sacri). Quando il venerabile Arhat Madhyantika, inviato dall'Imperatore Ashoka nel Regno di Gandhara, passò vicino al lago, volle fermarsi per fare offerte d'acqua con grani di orzo ai Naga.
Accidentalmente, con il suo bastone, ruppe il terreno facendo fuoriuscire tutta l'acqua del lago, prosciugando gran parte della vallata. Profetizzò che in quel luogo sarebbero fioriti gli insegnamenti dei sutra e dei tantra unificati.
Più tardi giunse in questi posti il monaco Naropa (circa 1016-1100, ma le datazioni sono controverse) che si ritirò abitando in una grotta per meditare.
Questa grotta esiste ancora e fa parte integrante del monastero di Lamayuru: si apre sul muro di destra del Du-khang.
Il monaco Rinchen Zang Po (958-1055), che sarebbe diventato uno dei più importanti traduttori di testi sacri sanscriti in tibetano, aveva ricevuto dal Re del Ladakh l'incarico di costruire 108 gompa. Il 108 è un numero simbolico, magico, per il buddhismo (come anche per altre religioni) al quale si attribuiscono significati differenti. Uno di questi gompa si trova proprio a Lamayuru: si tratterebbe del Seng-ge-Sgang, la parte più antica del complesso posta sull'estremità meridionale della rocca ancora oggi ben visibile.
 
Il "gompa" Seng-ge-Sgang, il più antico di Lamayuru.
Seng-ge-Sgang, il "gompa" più antico di Lamayuru, databile 1038, che si vuole costruito da Rinchen Zang Po.
 
Effettivamente questo gompa, come molti altri in Ladakh e nelle regioni circostanti, è databile 1038, all'epoca di Rinchen Zang Po.
Il gompa originario consisteva di cinque edifici, dei quali uno è discretamente conservato, mentre degli altri quattro, agli angoli, sono visibili solo dei resti.
Nel corso del XVI secolo giunsero in Ladakh, su invito di Re Tashi Tamgyal, il saggio Denma Kunga Drakpa. Il re gli aveva assegnato un piccolo palazzo a Lamayuru, di sua proprietà. Quando il saggio visitò la grotta di Naropa, vide che dei grani d'orzo erano germogliati nella forma di svastica (gYung-drung) e considerò il fatto di buon auspicio: fondò un monastero che chiamò gYung-drung. La svastica era un simbolo comune a molte religioni: oltre a quella buddhista c'è anche la religione bon, il cui nome per esteso è gYung-drung-bon. Questi elementi, assieme ad alcune osservazioni su particolari dei dipinti, suggerirono a August Hermann Francke (1870-1930) di formulare l'ipotesi che questo in origine fosse un monastero Bompo. Tuttavia pare dimostrata l'inconsistenza di questa ipotesi.
Il re del Ladakh ed il principe di Balti avevano in grande considerazione la sacralità del luogo e stabilirono che anche il più crudele dei criminali sarebbe potuto sfuggire alla condanna se, prima della sentenza, si fosse recato personalmente a gYung-drung. Per questo motivo questo monastero era detto anche Tharpaling (la terra della libertà).
gYung-drug, o Tharpaling, è comunemente conosciuto come Lamayuru.
"Chorten" nell'area più antica del complesso di Lamayuru.
Questa consuetudine di essere terra franca per i criminali venne sempre rispettata, non solo dai signori del Ladakh e di Balti, ma anche dai governanti del Kashmir.
Tanto era il prestigio che aveva assunto Lamayuru, che divenne un territorio neutrale che ospitò più volte incontri pacificatori tra parti avverse. Godeva di esenzione fiscale e di un'autonomia superiore a quella di qualsiasi altro monastero in Ladakh e contava 4/500 monaci, molti dei quali si spargevano nella regione per aprire nuovi monasteri.
Nel 1834, durante l'invasione di Zorowan Singh, generale del re dello Jammu Gulab Singh, molti monaci furono massacrati e pochi riuscirono a fuggire nelle montagne.
Allora il santuario principale fu usato come stalla per i cavalli, porte e finestre come legna per ardere; gli antichi manoscritti furono strappati e bruciati, gli oggetti di valore trafugati. Pare che rimase una sola statua di una certa importanza con qualche suppellettile.
Quando tutto finì, tornarono i monaci dalle montagne: ne erano restati sei!
 
Un pellegrino fa roteare i tamburi di preghiera del Seng-ge-Sgang.
 
Riprendere l'attività spirituale fu difficile: mancavano di tutto, persino delle ciotole. Acquistarono una campana senza manico per le loro cerimonie nel villaggio.
Fu così che gli abitanti di Lamayuru inviarono dei loro rappresentanti per informare dell'accaduto Kyabje Bakula Rangdol Nyma Rimpoche, che si trovava nella regione, e gli chiesero aiuto. Il Rimpoche rimase molto colpito dal fatto che dei semplici laici fossero così interessati alla ricostruzione del monastero. Così fece un'importante donazione per il progetto di ricostruzione e presto arrivarono altri aiuti: in due anni il monastero venne ricostruito.
Successivamente diversi choje (maestri) si presero cura del monastero e nel 1904 fu ricostruito completamente l'attuale edificio di cinque piani.
Oggi sono circa 150 i monaci che abitano a Lamayuru ed i più anziani hanno studiato nei monasteri tibetani prima dell'invasione cinese del Tibet.
L'aspetto d'assieme del complesso di Lamayuru ci appare come un dedalo di percorsi, tra chorten in rovina, edifici antichi ma discretamente conservati, costruzioni relativamente nuove e qualcosa di assolutamente nuovo: tutto, il vecchio e il nuovo, è costruito in mattoni in questo labirinto nel quale ci perdiamo volentieri, scoprendo scorci o scene inaspettati come il pellegrino che cammina davanti ai vecchi tamburi di preghiera o i bambini-monaci (6-7 anni di età) seduti su dei banchi di scuola all'aperto o per terra sotto una tettoia di legno, davanti a testi dalla scrittura che sembra tibetana.
C'è il passato, il presente ed il futuro.
  
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Pagina aggiornata il 23 ottobre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo