Alte
valli: alte valli racchiuse in un unico viaggio che ci porta fino alle
pendici del Karakoram e dell'Himalaya, attraversando parte del Pakistan e
dell'India.
Siamo in territori a volte contesi ("disputed territory"), dove
i confini non sono quelli politici ma quelli tracciati da provvisorie
"ceasefire line".
Siamo in una zona decisamente "calda". Qui, nel raggio di un
centinaio di chilometri, si incontrano i confini di Pakistan, Afghanistan,
Unione Sovietica (¹), Cina (²) e India.
I due punti focali del nostro viaggio sono rappresentati dalla valle degli
Hunza e dalla strada Srinagar-Leh che, in India, unisce il Kashmir
settentrionale al Ladakh, chiamato dai viaggiatori occidentali anche il
"piccolo Tibet" per la presenza di numerosi centri religiosi
buddhisti abitati da monaci tibetani.
______________ (¹)
Al tempo di questo viaggio esisteva ancora l'Unione Sovietica; oggi (2016)
quel
confine appartiene al Tadzjkistan. (²) Al tempo di questo viaggio la Cina era chiusa ai visitatori
occidentali.
Viaggio effettuato nel luglio-agosto 1983
L'appuntamento con i miei compagni di
viaggio è alle 16 davanti al banco della Egypt Air di Fiumicino. Arriviamo
tutti in anticipo, chi con un volo da Genova, chi da Torino, chi da Milano.
Io arrivo alle 14 con un DC9 dell'Alitalia, volo A2079 da Venezia.
Abbiamo tutto il tempo per scambiarci le prime battute e fare una prima
conoscenza mentre compiamo le operazioni di check-in ed imbarco
bagagli sul volo 790 della Egypt Air per il Cairo.
Il Boeing parte con quasi mezz'ora di ritardo, ritardo che però recupera
durante il volo di due ore e mezzo.
L'atterraggio al Cairo non è dei migliori, quasi a confermare la fama dei
piloti egiziani: l'aeroplano tocca più volte il suolo, quasi saltellando;
quando giunge a fine pista e deve invertire la direzione per portarsi al terminal
aeroportuale, ha ancora una velocità relativamente sostenuta e compie la
curva in stile "pilota di Formula 1" spingendo verso destra tutti i
passeggeri.
Sono quasi le 11 di sera, tenendo conto di un'ora di differenza di fuso
orario tra Egitto ed Italia.
Abbiamo tutto il tempo per fare il successivo check-in sul volo Egypt
Air 876 per Karachi delle 2.15 di notte e ce ne resta ancora per gironzolare
tra i negozi del duty free dell'aeroporto.
Il nostro Boeing 707 parte con mezz'ora di ritardo; dopo tre ore e un quarto
di volo si atterra a Sharjah negli Emirati Arabi Uniti per uno scalo tecnico
di un'ora; quindi si riparte per Karachi.
La
mia agendina con gli appunti di viaggio.
Voliamo verso oriente e durante il volo vediamo il sole sorgere di fronte a
noi.
Si fa giorno e dopo 2 ore e 45 minuti dallo scalo di Sharjah atterriamo a
Karachi quando sono le 11, ora locale.
Karachi non è ancora la nostra meta finale. Ci attende un ultimo volo
interno operato dalla Pakistan Air. Ci imbarchiamo così su un DC10 per il
volo PK308 che in un'ora e mezza ci fa arrivare a Rawalpindi. Mentre
qualcuno del gruppo si mette alla ricerca di qualche carrello sgangherato
per accatastarvi i nostri bagagli, ci portiamo nella zona doganale.
Abituati all'aria condizionata dell'aereo, ci troviamo immediatamente
immersi in quella calda, umida e soffocante dell'aeroporto, appena mossa
dalle grandi pale dei ventilatori posizionati un po' dappertutto nei saloni.
Recuperiamo i bagagli e con questi espletiamo
le formalità dell'immigrazione e quelle doganali mentre il sudore, a
rivoli, ci inzuppa le magliette.
Appena fuori dall'area doganale siamo assaliti da una folla di gente che ci
propone taxi, alberghi, di farci da guida, di cambiare dollari...
Noi invece dobbiamo verificare, per prima cosa, che ci siano le camere al
National City Hotel che avevo tentato di prenotare via fax dall'Italia: mi
confermano che hanno le camere per noi.
Qualcuno va a cambiare un po' di dollari per le prime spese di oggi: in
genere all'aeroporto il cambio è sempre più sfavorevole, quindi è meglio
cambiare solo il minimo per le prime necessità.
Con
i bagagli nel piazzale dell'aeroporto di Rawalpindi alla ricerca di
qualche mezzo di trasporto.
Ci si può dedicare con più calma a
cercare il mezzo migliore per raggiungere l'albergo. Dopo una lunga infinita
contrattazione scegliamo due pulmini Ford nei quali possiamo entrare tutti
con i nostri bagagli.
Sulla
strada per raggiungere il nostro hotel dall'aeroporto.
Raggiungiamo il National City Hotel quando è già buio.
Dopo mezz'ora ci si ritrova per andare alla ricerca di un ristorantino per
la cena. Più tardi, nonostante la stanchezza per il lungo viaggio, c'è
ancora la voglia di fare una passeggiata tra i baracchini illuminati. Uno
propone spremute espresse d'arancio fatte al momento. Per attirare
l'attenzione ci sono due grossi blocchi di ghiaccio luminosi scavati
all'interno che contengono un certo numero di arance oltre alle lampadine
per illuminarli. Quelle per la spremuta però provengono da una cassetta;
alle nostre rimostranze (volevamo una spremuta fresca) ci propongono di
aggiungere dei pezzi di ghiaccio nei bicchieri, ma preferiamo di no, per non
correre rischi con l'acqua di cui è fatto il ghiaccio della quale non conosciamo la
provenienza.
Al momento di pagare, il padrone del baracchino mette le nostre banconote
sulla superficie fredda dei blocchi di ghiaccio (alla faccia dell'igiene!) e queste, per effetto della
condensa ghiacciata, restano incollate: è un modo per attirare l'attenzione
sul fatto che lui guadagna perché ha clienti e quindi le sue spremute
d'arancia sono le più buone!
Alla fine si rientra tutti in albergo e ci accomodiamo nel salottino del bar
che è situato in un seminterrato vicino alla cucina.
Di lato, un televisore acceso trasmette una specie di telenovela con
personaggi indiani che cantano caramellose canzoni.
Qui avevamo dato appuntamento ad un tale che all'aeroporto ci aveva detto di
poterci noleggiare un pullman per compiere l'intero nostro giro in Pakistan.
Arriva con l'autista e, dopo aver concordato il prezzo, cominciamo a
discutere nei dettagli l'itinerario. La nostra intenzione era quella di
salire fino a Chilas attraverso la Kaghan Valley e superando poi i 4173
metri del Babusar Pass compiendo poi il ritorno lungo la valle dell'Indo.
Un
palo dell'illuminazione pubblica a Rawalpindi: un caos di fili
elettrici!
Ma l'autista non sembra troppo convinto: pare che la strada del Babusar Pass
non sia percorribile; ci sarebbe un fiume in piena che avrebbe fatto
crollare un ponte.
Non sappiamo se è vero o se si tratta di una storiella per evitare una
strada che sicuramente è molto impegnativa ma che ci avrebbe fatto
assaporare dei panorami mozzafiato, giungendo fino a ridosso del Nanga
Parbat.
Non avendo la possibilità di replicare, decidiamo di compiere il viaggio di
andata per la valle dell'Indo; poi a Chilas avremo sempre la possibilità di
capire quale sia la reale situazione per l'altra via, quella del Babusar
Pass e della Kaghan Valley.
L'appuntamento con l'autobus ed il nostro autista è per l'indomani a
mezzogiorno: infatti nella mattinata dovremo andare all'ambasciata indiana
per i nostri visti d'ingresso.
Continuiamo a discutere delle cose che ci sono da fare domani e, mentre ci
dissetiamo con qualche bibita, vediamo entrare il nostro uomo del baracchino
delle arance: evidentemente ha terminato la sua giornata. Porta sulle spalle
i due blocchi di ghiaccio ed entra nelle cucine.
Non osiamo pensare a che cosa servirà quel ghiaccio (al quale erano state
appiccicate le banconote)! Certo è che siamo contenti di aver ordinato da bere
«no ice»!
Verso le 11 di sera ci ritiriamo nelle nostre camere: domani mattina ci
aspetta la nostra prima giornata pakistana.
Così la mattina dopo, di buon'ora, siamo già a camminare per il traffico caotico
di Rawalpindi: macchine, camion, motociclette che si fanno spazio a colpi di
clackson, gente che urla tra una moltitudine di carretti di ogni tipo.
Muoversi
nel caos del traffico di Rawalpindi.
Rawalpindi si trova nella pianura di Pothwar e le sue origini risalgono
probabilmente all'età della pietra: a quell'epoca vengono datati alcuni reperti
archeologici che dimostrerebbero che qui esisteva un importante
insediamento: già prima del Mille a. Cr. dovevano esistere un nucleo
buddhista ed uno vedico.
Qui lasciarono le loro tracce i tanti invasori che si succedettero: gli
ariani, i persiani, i greci, i parti e gli unni.
In epoca storica il centro era conosciuto come Fatehpur Baori.
Nel 1008 il primo invasore musulmano, Mahmud di Ghazni (971-1030),
conquistando questa parte del paese consegnò la città a Kai Gohar, capo
del clan dei Gakhar. Tuttavia la città, trovandosi sulla strada delle
invasioni, non riuscì mai a prosperare e restò abbandonata.
Venne ripresa, e restaurata, da un altro capo dei Gakhar, Jhanda Khan, che
la chiamò Rawalpindi, cioè villaggio dei Rawal, dal nome di una tribù
nomade che si era insediata qui vicino.
Durante il periodo Moghul, i Gakhar mantennero la loro sovranità fino al
1765 quando il loro ultimo sovrano, Muqarrab Khan, venne sconfitto dai Sikh
di Sardar Milka Singh.
I Sikh favorirono da subito gli scambi commerciali.
Il 14 marzo 1849 l'esercito Sikh di Chatar Sing (m. 1855) e di suo figlio
Sher Sing (m. 1858) depose le armi proprio a Rawalpindi dopo la battaglia di
Gujrat.
Dopo l'invasione britannica, per la sua posizione strategica, gli inglesi vi
stabilirono un presidio militare ed a seguito della costruzione della linea
ferroviaria (1° gennaio 1886) divenne la più grande guarnigione militare
britannica nel sud asiatico.
Dopo che il Pakistan ebbe raggiunto l'indipendenza nel 1959, il presidente
Ayoub Khan (1907-1974) spostò provvisoriamente la capitale del paese da
Karachi a Rawalpindi fino al 1967, nel periodo durante il quale nel
frattempo veniva costruita la nuova capitale del Pakistan, Islamabad.
Il
Raja Bazaar nella città vecchia di Rawalpindi.
Questo
ragazzo al mercato propone zampe e teste di capretti.
Nella città vecchia una serie di
stradine straordinariamente colorate ed animate ospita il Raja Bazaar, dove
tutti mettono in mostra le loro mercanzie. Il mercato è diviso per settori.
Nelle varie viuzze che compongono il bazaar sono raggruppati gli
stessi mestieri o i negozi specializzati nella stessa specie merceologica:
c'è la zona dei tessitori e delle stoffe, i mercanti di tappeti, i macellai
dove vediamo esposte le teste e le zampe dei capretti, le granaglie, gli
ortolani con le verdure e gli ortaggi, i calderai e gli orafi che battono
sottili lamine d'argento o di metallo dorato facendo loro prendere la forma
di orecchini, anelli o collane, negozi di oreficeria e di bigiotteria.
Scena
al Raja Bazaar, quasi una sceneggiata!
Al
bazaar delle gioie.
E poi mobili per la casa, utensili,
farmacisti dottori e dentisti, strumenti musicali, scarpe, abiti da sposa,
coltelli.
In strada, davanti alle locande, anche i tipici charpoy, i
caratteristici letti bassi con la rete fatta di corde intrecciate.
Prima di cercare un autobus che ci porti ad Islamabad, ci rechiamo in banca
per cambiare un bel po' di soldi.
Infatti abbiamo saputo che, a parte Abbotabad, nei luoghi che incontreremo
nel nostro viaggio non sarà possibile trovare una banca che applichi un
cambio regolare ed a pagare in dollari, dove vengono accettati, non è
conveniente. Quindi dobbiamo fare i nostri conti per cercare di capire
quanto ancora avremo da spendere: le rupie pakistane che acquistiamo adesso
dovranno bastarci almeno per una settimana, fino a quando ritorneremo a
Rawalpindi.
Finalmente sulla Muree Road saliamo su un autobus di linea per raggiungere
la capitale, Islamabad.
I
biglietti dell'autobus.
Saliamo sull'autobus dalla porta posteriore, come siamo abituati nelle
nostre città italiane. All'interno l'autobus è nettamente diviso in due
parti con una pesante inferriata.
Ed allora capiamo...
La parte anteriore dell'autobus è destinata agli uomini, quella posteriore
alle donne. E noi siamo saliti dalla parte sbagliata! E per giunta in
promiscuità con le nostre compagne di viaggio!
Continuiamo il nostro breve viaggio sotto gli occhi di disapprovazione di
tutti.
Il centro di Islamabad dista meno di venti chilometri da Rawalpindi: è
praticamente alle sue porte.
Il
visto dell'Ambasciata indiana ad Islamabad.
La capitale del Pakistan è una città moderna, costruita attorno ai primi
anni Sessanta del XX secolo, a seguito della decisione presa nel 1959 dal
presidente pakistano Ayoub Khan di costruire la nuova capitale al posto di
Karachi, inadatta a questo ruolo anche per la sua posizione periferica.
All'epoca venne nominata una commissione con il compito di individuare la
posizione ideale: lontana dalle frontiere e in prossimità di una città che
potesse essere la capitale provvisoria. La scelta cadde sulla pianura di
Potwar e fu così che Rawalpindi divenne la capitale del Pakistan per una
decina d'anni.
I contadini che vivevano nella zona furono obbligati ad abbandonare la loro
terra. Nonostante le tecniche di costruzione medioevali, la nuova città,
alla quale venne dato il nome di Islamabad (cioè "Città
dell'Islam"), crebbe in fretta.
Nel progettare i nuovi edifici governativi, gli architetti si cimentarono in
ricerche stilistiche avanzate. Molti furono gli stranieri, tra i quali è da
ricordare Edward Durell Stone (1902-1978) per aver saputo adattare il
proprio stile al carattere locale.
Nel progettare i palazzi amministrativi e governativi gli architetti
poterono esercitare il proprio talento. L'Hotel Shahrazad va ricordato per
le grandi vetrate dagli angoli arrotondati che decorano la facciata; un
altro esempio ben riuscito è il palazzo del Governo mentre gli edifici del
Segretariato, progettato dall'architetto Giò Ponti (1891-1979), con le
linee verticali rigide, sono di gusto occidentale.
Ma ad Islamabad noi non siamo venuti per ammirare le architetture, ma solo
per ottenere il visto per l'India che ci servirà fra un paio di settimane,
allorché lasceremo il Pakistan.
All'Ambasciata indiana, nel quartiere diplomatico della città, sono molto
rapidi: noi compiliamo un modulo con i nostri estremi che consegniamo
assieme ai passaporti ed in mezz'ora li abbiamo di ritorno con un grande
timbro verde che è il visto turistico valido per un mese.
Non possiamo trattenerci molto ad Islamabad: abbiamo solo il tempo per
mangiare qualcosa perché a mezzogiorno dovrebbe esserci il nostro bus ad
aspettarci presso il nostro albergo per iniziare il viaggio verso nord.
Questa volta, nell'autobus di linea, saliamo dalla parte giusta!
Mucche
cercano refrigerio nell'acqua di un fiume.
Mentre ricompattiamo i bagagli al
National City Hotel, arriva il nostro corrispondente con l'autista e...
il bus.
Un bus incredibile! più che ad un autobus, assomiglia ad un capolavoro di
cesello, ad un kitsch che ricorda certe automobiline delle giostre,
ma ancora più ricco di orripilanti decorazioni a sbalzo.
Il
nostro autobus che ci accompagnerà nel nostro viaggio in
Pakistan.
La prima cosa che ci viene da pensare è che in caso di un banale
tamponamento, piuttosto che un carrozziere, ci deve lavorare un artista
cesellatore!
Al di là dell'aspetto comunque appare abbastanza comodo, con i posti a
sedere non proprio grandi, ma neppure troppo minuscoli.
Con un passamano carichiamo i bagagli e alle due del pomeriggio partiamo
sotto il sole alto.
E' una giornata molto calda.
Appena lasciato il traffico, il disordine e la polvere di Rawalpindi, ci
immettiamo in una strada non meno trafficata: è la National Highway N-5 che
con 1.756 chilometri unisce la città portuale di Karachi con Hyderabad,
Sukkur, Multan, Lahore, Rawalpindi, Attock, Peshawar, superando infine il
Khiber Pass ed entrando in Afghanistan.
Noi ne percorriamo solo un brevissimo tratto. Appena fuori Rawalpindi c'è
un piccolo fiume del quale non siamo riusciti a sapere il nome. L'acqua è
torbida e quasi melmosa; tuttavia questo non scoraggia un gruppo di mucche a
cercarvi refrigerio.
Poi, quasi subito dopo, lasciamo la N-5 per deviare sulla destra diretti a
nord.