Comincia
l'attesa paziente per entrare nella grotta.
Il lingham (fallo) è un
elemento distintivo, e molto venerato, del dio Shiva: lo ritroviamo presso
numerosissimi templi induisti in tutto il subcontinente indiano, spesso
accompagnato dallo yoni (il sesso femminile) che fa riferimento alla
sua compagna, Parvati.
Ad Amarnath, nei mesi estivi, si verifica un curioso fenomeno, favorito dal
microclima della grotta: per l'irradiazione solare, la neve ed il ghiaccio
che sovrastano la grotta si sciolgono. Parte di quest'acqua infiltrandosi
attraversa la roccia e gocciola dal soffitto; tuttavia la temperatura
all'interno della grotta si mantiene costantemente su valori inferiori allo
zero, l'acqua ghiaccia e forma così una stalagmite di ghiaccio.
Pellegrina
con in mano una stampa che rappresenta il "lingham" di
ghiaccio all'interno della grotta di Amarnath.
Questa stalagmite viene venerata come il fallo di Shiva che, a seconda delle
annate, per le variazioni climatiche, può essere più o meno grande.
La credenza induista è che assuma il maggiore ingrossamento in occasione
della luna piena del mese di shrawan, tra luglio e agosto.
A dire il vero ci sarebbero almeno altre due stalagmiti di ghiaccio, di
dimensioni minori, formatesi nello stesso modo, nelle quali i fedeli riconoscono le fattezze di Parvati e
del figlio Ganesha.
Passo dopo passo, siamo quasi arrivati all'ultimo tratto transennato che
regola il flusso dei pellegrini.
Oltre le transenne, in una posizione privilegiata, vediamo degli asceti in
meditazione, in piedi oppure accosciati. Qualcuno vende cartoline ricordo,
fiori, incensi e forse, a giudicare dall'odore, anche hashish.
Abbiamo percorso circa quindici chilometri a piedi, superando qualche passo
e scendendo nella vallata. Ora dovremo essere a circa 3.900 metri di altezza
quando, finalmente, anche noi siamo di fronte al lingham di ghiaccio.
L'ultimo
tratto all'interno della grotta per raggiungere il sacro "lingham".
La
grande apertura della grotta con il percorso dei pellegrini
transennato nell'ultimo tratto.
Siamo scalzi (siamo in un luogo sacro) con i piedi sulla roccia bagnata
a causa del continuo gocciolio dall'alto del ghiaccio che si scioglie sotto
il sole d'agosto.
La stalagmite di ghiaccio, dalla quale siamo lontani pochi metri a causa
della transenna che limita l'avvicinamento, è ricoperta di fiori, petali,
immagini devozionali; davanti sono poste ciotole di riso, pezzi di stoffa,
lumini, dolci, ghirlande di fiori.
Sono omaggi di fede portati dai pellegrini che degli inservienti collocano
nello spazio che ci è precluso.
Un fedele, forse un monaco o un religioso, ci segna sulla fronte con il kumkum
(una pastella ocra/arancione) il segno tilak, in corrispondenza del
sesto chakra, e ci fa inginocchiare. Un altro asperge i pellegrini
d'incenso.
Solo per poco però, perché alle nostre spalle la folla preme. Tutti
desiderano quel momento in cui vedono da vicino il sacro lingham di
ghiaccio; forse vorrebbero anche toccarlo, ma non si può.
Il
sacro "lingham" di Shiva nella grotta di Amarnath.
Dall'interno
della grotta di Amarnath.
Sempre seguendo il percorso transennato, scendiamo ed in alcune cavità
più piccole all'interno della grotta ci sono dei santoni seminudi in
meditazione: restano così immobili per l'intera giornata e possono parlare
solo dopo che il sole è tramontato.
Al
rientro dall'Amarnath yatra veniamo festeggiati all'arrivo dai
volontari del posto di assistenza.
Ora dobbiamo compiere il percorso all'inverso, e non è un percorso in
discesa, ma anche questo è un alternarsi di discese e di salite che
massacrano le gambe, come era stato per l'andata.
Incrociamo i pellegrini che devono ancora arrivare: noi abbiamo un
punto in più rispetto a loro, siamo già stati alla sacra grotta e per
questo siamo visti come persone degne di particolari segni di riverenza e ci
salutano con espressioni che in inglese potrebbero significare «God is
with you». Alcuni addirittura si inchinano davanti a noi fino a
toccarci i piedi che hanno calcato il suolo della grotta.
Altrettanto avviene ai posti di ristoro dove i volontari fanno a gara per rifocillarci
di biscotti e tè caldo.
Sono le sette e mezza della sera quando, finalmente, raggiungiamo il campo di partenza di
Baltal dove sono ad attenderci i nostri autisti.
Ci abbandoniamo come dei pesi morti sui sedili ed alle otto, quasi
sedici ore dopo averlo lasciato, arriviamo al nostro campeggio di Sonamarg.
Il tempo di mangiare qualcosa di energetico e piombiamo tutti nei nostri
sacchi a pelo.
Per l'indomani non c'è un orario per il risveglio. Si resta stesi quanto si
vuole, poi alla chetichella ci si alza e si cominciano a raccontare e
commentare gli episodi e le sensazioni della giornata di ieri.
La
vallata di tipo alpino che vedrà la nostra passeggiata a cavallo.
Questo è un giorno di riposo, ma
neppure troppo: infatti dopo le nove contrattiamo il noleggio di alcuni
cavallini, con relativi accompagnatori, per una breve passeggiata equestre
nella valle del ghiacciaio Thajiwas: il nome dovrebbe significare "neve
profonda".
La stazione di partenza non è troppo lontana dal nostro campeggio: ogni
cavallino è accompagnato da un horseman che lo guida camminandoci
davanti o a fianco. Noi saliamo in groppa, il cavallino docile cammina da
solo su un percorso che probabilmente conosce a memoria: noi non dobbiamo
fare proprio nulla.
La giornata è bella, soleggiata, con un'aria calda al sole ma allo stesso
tempo frizzantina: in definitiva siamo pur sempre tra i 2.700 ed i 2.800
metri di altitudine.
La nostra passeggiata equestre comincia tra prati verdi sul fondo di una
lunga vallata fiancheggiata da boschi di conifere: sembra di essere in un
paesaggio alpino. Agli indiani piacciono molto questi paesaggi, ai quali
-pur belli- noi siamo abbastanza abituati con le nostre Alpi.
Un
ruscello attraversa la valle.
Un
guado a cavallo.
Cavalchiamo con tranquillità a fianco
di un torrentello che evidentemente raccoglie l'acqua dei ghiacciai.
Ad un certo punto dobbiamo anche superare al guado, sempre con i nostri
cavallini, il fiumiciattolo. In lontananza vediamo il ghiacciaio Thajiwas
che però non raggiungiamo.
Verso mezzogiorno siamo di ritorno e mangiamo qualcosa su dei tavoli in
stile pic-nic.
Un
pic-nic al rientro dalla passeggiata a cavallo.
Alle 13.30 siamo nuovamente in autobus diretti a Srinagar dove arriviamo
verso le quattro del pomeriggio.
Raggiungiamo Boulevard Road da dove trasbordiamo con le shikara sulla
"Morning Glory", la stessa houseboat che avevamo occupato
arrivando e dove abbiamo anche lasciato una parte dei bagagli non necessari
per il resto del nostro tour.
Ritorniamo
sulla nostra "houseboat", la "Morning Glory".
Non facciamo neppure a tempo di
prendere possesso delle nostre stanze, e già arrivano sotto il poggiolo
della barca i venditori di souvenirs: un vero e proprio assalto.
Facciamo capire al padrone dell'houseboat che siamo troppo stanchi
per affrontarli ed ora desideriamo solo riposare. Qualcuno si stende sulla
terrazza superiore a prendere l'ultimo sole poi, dopo la cena, piombiamo
tutti a letto. Un letto vero dopo nove giorni di tenda in giro per i
monasteri del Ladakh.
Ci svegliamo in una giornata di pioggia.
Dopo la colazione ci facciamo portare a terra con le shikara, coperti
dalle mantelline impermeabili. E' nostra intenzione, visto il tempo che non
favorisce certo le visite e le escursioni, di fare qualche spesa.
Abbiamo l'indirizzo di una fabbrica di tappeti che si trova nella parte
occidentale della città.
Ci andiamo a piedi, mentre nel frattempo la pioggia sembra aver smesso.
E' una camminata di un'oretta, fino a raggiungere il quartiere di Hawal,
dove si trova questa manifattura.
Dobbiamo attraversare uno spiazzo non asfaltato che la pioggia ha
trasformato in piscina. Nonostante i nostri tentativi di cercare di non
bagnarci i piedi, alla fine siamo costretti ad immergerli completamente
nell'acqua, compromettendo così anche i nostri scarponcini.
Mani
maschili al telaio.
Siamo accolti con ogni onore dai
titolari che, dapprima, ci fanno visitare la fabbrica con i telai,
illustrandoci alcuni tipi di lavorazioni e spiegandoci l'uso dei vari
utensili usati dagli operai che, per la maggioranza, sono uomini.
Sulla
carta tenuta in evidenza sul telaio, sono segnati i
"punti" che l'operaio deve rispettare per comporre la
giusta sequenza di nodi che andranno a formare il disegno voluto
sul tappeto.
Al termine del giro, siamo introdotti in una stanza dove è allestito su un
lato una specie di salottino dove ci fanno accomodare.
Subito ci viene servito del tè ed intanto alcuni inservienti esibiscono dei
tappeti, veramente belli, che dopo depongono a terra davanti a noi.
Il
mio tappeto, in misto cotone, lana e seta.
Un
altro attrezzo che serve per la lavorazione del tappeto.
I tappeti ci vengono
minuziosamente descritti nei dettagli; è un rituale lunghissimo, interrotto
dal riempimento delle nostre tazzine da tè.
Siamo costretti ad escludere i tappeti di grandi dimensioni, certamente i
più belli, ma che non saremmo in grado di trasportare con noi, anche se ci
viene assicurato che loro fanno spedizioni in tutto il mondo. Ripieghiamo
così su tappeti di dimensioni piccole o medie.
Facciamo le nostre scelte ed i nostri acquisti.
Giunge il momento di concretizzare l'acquisto: la contrattazione del prezzo
fa parte del rituale della compravendita, sempre accompagnato da tazze di
tè fumante.
Ora resta da compilare la fattura, o bolla di consegna, con la descrizione
puntuale del tappeto acquistato: costituisce una specie di certificato di
origine e di garanzia.
Uno dei titolari si fa portare il necessario per scrivere: arriva un ragazzo
con un vassoio su cui sono posti alcuni fogli di carta intestata, il
calamaio con l'inchiostro, la penna ed una specie di spargisale.
Ogni tappeto viene descritto su un foglio. Al termine dell'operazione, con
l'inchiostro ancora bagnato, viene cosparso di una sottile polvere
grigiastra con quello che ci sembrava essere stato uno spargisale: è il
loro modo di asciugare l'inchiostro. La polvere poi viene fatta scorrere sul
foglio e cadere nel vassoio.
L'operazione viene ripetuta per quattro volte, quanti sono stati i tappeti
che complessivamente abbiamo acquistato.
Alla fine per l'acquisto dei quattro tappeti abbiamo impiegato quattro ore!
Beppe
ed io in "shikara" con i nostri tappeti.
Non rientriamo nell'houseboat:
preferiamo noleggiare alcune shikara sulle rive del lago per farci un
giro panoramico. Ci sono molti agglomerati che si affacciano sul lago dove
la gente vive in simbiosi con l'acqua.
Percorrendo
alcuni rami del lago Dal.
I nostri barcaioli ci portano, attraversando alcuni rami del lago Dal, verso
un quartiere di pescatori hangis a nord della città che si trova vicino
alla moschea di Hazratbal, che infatti si può raggiungere anche in barca:
il nome è composto da due parole, hazrat, che in urdu significa
"rispetto", e bal che in kashmiro significa
"luogo": Hazratbal significa quindi luogo che desta rispetto, che
è rispettato.
E' considerato il santuario musulmano più sacro ed importante del Kashmir,
in quanto custodirebbe un capello (altri dicono un pelo della barba) del
profeta Maometto.
A portarlo in India sarebbe stato un discendente del profeta e
successivamente da un altro erede sarebbe stato acquistato nel 1682 da un
mercante, Noor-ul-Din. Dopo la morte di questi ed ulteriori complesse
peripezie, la reliquia con il corpo del mercante giunse nel 1700 a Srinagar,
custodita dalla figlia del ricco mercante che aveva sposato un membro della
facoltosa famiglia Banday di Srinagar.
Venne così costruito il santuario ed i membri della famiglia Banday ne sono
i custodi.
Una ventina d'anni fa, nel 1963, la sacra reliquia scomparve: ci furono
mobilitazioni popolari, venne costituito un comitato per ritrovare la
reliquia ed anche il primo ministro Jawaharial Nehru (1889-1964) lanciò un
appello per il ritrovamento che avvenne poi meno di due settimane dopo, il 4
gennaio 1964.
Vicino alla moschea si trova il più antico dei giardini moghul di Srinagar,
il Nasim Bagh, "il giardino della brezza notturna", voluto
dall'Imperatore Akbar il Grande (1542-1605) subito dopo la conquista del
Kasmir avvenuta nel 1586.
Da
Boulevard Road, di ritorno dal ristorante, vediamo le luci delle "houseboat"
che si rispecchiano sulle acque del lago Dal.
Non ci fermiamo per le visite anche
perché abbiamo programmato per domani, se il tempo ci assisterà, la visita
a due giardini moghul.
Ceniamo in città ed alla sera traghettiamo verso la nostra houseboat.
Nonostante sia buio, siamo costretti a subire l'assalto dei venditori di souvenir,
soprattutto papier mâché, che con le loro barchette arrivano sotto
la veranda e riescono a riempirla di scatoline ed altre cianfrusaglie.
La veranda della "houseboat"
invasa da scatoline in "papier mâché": quali
scegliere?
Naturalmente non ci sottraiamo agli
acquisti e la giornata termina così.
Anche l'indomani inizia con la pioggia che scende da un cielo grigio, ma non
c'è da disperare: siamo in una regione dove le nuvole passano veloci ed il
tempo può mutare più volte nella stessa giornata.
Ci facciamo portare in città con le shikara e gironzoliamo sparsi,
senza una meta precisa. In molti siamo a cambiare dollari in banca: ieri
abbiamo speso parecchie rupie in acquisti. Passiamo poi negli uffici della
compagnia di taxi per prenotare le macchine per domani mattina.
Nel pomeriggio, con il sole, ci rechiamo a visitare due giardini moghul
sulla sponda orientale del lago Dal.
Il
canale principale del Nishat Bagh, visto controluce con il lago Dal
sullo sfondo.
Con la conquista del Kashmir da parte
dei moghul, Srinagar divenne la residenza estiva degli imperatori con le
loro mogli che qui vollero le stesse comodità e lussi che godevano a Delhi
ed Agra.
Oltre ai palazzi, pensarono anche ai giardini; Akbar il Grande subito dopo
aver assoggetato il Kashmir, nel 1586, aveva fatto costruire qui il primo
giardino, il Nasim Bagh.
Ed è proprio pomeriggio quando ci dedichiamo alla visita di due dei
maggiori giardini moghul sul lago Dal.
Il Nishat Bagh, che incontriamo per primo, chiamato "il giardino del
piacere", è stato disegnato nel 1631 da Asif Khan, fratello maggiore
di Nur Jahn.
Era talmente bello che lo stesso imperatore Shah Jahan (1592-1666), al quale
dobbiamo capolavori di architettura quali il Taj Mahal (Agra), il Forte
Rosso e lo Jama Masjid (Delhi), i giardini Shalimar (Lahore), lo invidiava
moltissimo fino a giungere, non potendolo possedere, a far deviare il
rifornimento idrico per rovinarlo. Sarebbe stato l'agire di un suo servo
-secondo quanto si racconta- a salvare il giardino facendo cambiare idea
all'imperatore.
Il
canale principale del Nishat Bagh visto verso la montagna da cui
ha origine.
I giardini moghul sono basati sul concetto del charbagh, ovvero dei
"quattro giardini", che si fonda sull'idea del Corano del Paradiso
che premia il fedele, sulla tradizione del giardino come luogo di piacere,
sull'oasi che porta refrigerio e vita nell'aridità del deserto: hanno quindi
necessità che sia sempre presente l'acqua, fonte di vita.
Questo è il motivo per cui questi giardini sono caratterizzati da un canale
che scorre secondo l'asse principale, intersecato da altri che lo
incrociano: là dove le acque si incontrano avviene anche l'incontro
dell'uomo con Dio.
Tuttavia questa ideale architettura del giardino moghul si è dovuta
confrontare con la morfologia del suolo e con la presenza delle fonti
d'acqua: così non abbiamo una pianta quadrata, con i quattro assi che
seguono le diagonali di un quadrato perfetto, bensì una pianta che si
sviluppa in lunghezza con una sequenza di dodici terrazze dedicate ai segni
dello zodiaco, collegate tra loro da delle cascatelle.
Un
altro scorcio del Nishat Bagh verso il lago.
Fiori, filari di cipressi e cedri
dell'Himalaya abbelliscono tutto l'insieme che misura circa 550 metri per
340, dalla riva del lago dove c'è anche un ponticello fino alla collina
dove è costruita una falsa facciata.
E' veramente un luogo rilassante, un luogo delle delizie.
Un
visitatore del Nishat Bagh!
Scorcio
sui giardini Shalimar di Srinagar.
Ci spostiamo di 3 o 4 chilometri a
nord ed incontriamo un altro giardino moghul, il Shalimar Bagh,
probabilmente il più famoso di questa corona di giardini che circonda il
lago Dal.
Questo giardino si trova relativamente più lontano dalla riva del lago al
quale tuttavia è collegato da un canale ombreggiato da magnifici platani.
Venne fatto costruire dall'Imperatore Jahangir (1569-1627) nel 1619 per la
sua sposa Nur Jahan (1577-1645).
L'origine tuttavia è più antica: in questo luogo Praversena II, il mitico
fondatore della città di Srinagar, avrebbe fatto costruire nel II secolo d.
Cr. un edificio come propria residenza di svago che chiamò shalimar,
che in sanscrito significa "casa dell'amore".
Qui egli era solito trascorrere dei soggiorni; poi la costruzione cadde in
rovina e non ne rimase traccia se non nel nome del villaggio vicino che
continuò a chiamarsi Shalimar.
Un
altro scorcio sul Shalimar Bagh.
Fu in questo luogo che l'Imperatore
Jahangir ordinò di trasformare il posto in un giardino reale.
Successivamente ebbe ulteriori numerosi ampliamenti, trasformazioni e
modificazioni fino ad abbracciare un'area di 12 ettari e mezzo (con una
larghezza massima di circa 250 metri per 590 di lunghezza).
Oggi è un magnifico parco pubblico, meta delle famiglie indiane che
numerose vengono a visitarlo trascorrendovi delle mezze giornate tra
passeggiate, relax e pic-nic.
Anche per questo giardino, come per il Nishat Bagh, lo schema tradizionale
del charbagh è stato modificato per adattarlo alla morfologia del
terreno: in particolare è stato ricavato un canale principale che fa da
asse al giardino, lasciando scendere l'acqua da ridosso della collina
fino al lago.
Lungo questo canale sono disposte tre terrazze con cascatelle, fontane ed
alberi.
Le terrazze rispecchiano alcune funzioni che erano ospitate nel complesso:
la prima terrazza, la più esterna, indica la sala delle udienze pubbliche
ed aveva un piccolo trono in marmo.
La seconda terrazza designava il luogo delle udienze private, mentre
all'ingresso della terza terrazza ci sono due padiglioni che delimitano
l'area più privata della residenza imperiale dove c'erano i vari
appartamenti e l'harem.
In uno di questi padiglioni (quello chiamato Black Pavillon) è
inciso il famoso verso del poeta indiano Amir Khusrow (1253-1325): «Se
esiste un paradiso in terra, è questo, è questo, è questo!».
Osservando bene la parete di marmo nascosta dal salto d'acqua delle
cascatelle si possono notare delle nicchie: oggi vi sono collocati dei
fiori, ma in origine c'erano delle lampade ad olio che venivano accese al
tramonto con un effetto di riflessi e bagliori di luce sull'acqua che vi
scorreva davanti che doveva risultare molto suggestivo.
A questi giardini si ispirarono gli omonimi giardini
Shalimar di Lahore in
Pakistan (1641) e di Dehli (1653).
Indiani
in visita ai giardini Shalimar Bagh di Srinagar.
Un
ultimo scorcio sul Shalimar Bagh.
E' il tramonto quando torniamo in Boulevard
Road per traghettare nella nostra houseboat dove, arrivati,
subiamo il quotidiano assalto serale da parte dei venditori di souvenir.
Concludiamo l'ultima serata in Kashmir con una piccola festicciola che
abbiamo improvvisato per Francesco: oggi è il suo compleanno!
Alla mattina completiamo la preparazione dei bagagli e lasciamo l'houseboat:
in Boulevard Road, alle 10, puntuali arrivano i taxi che avevamo prenotato ieri
mattina ed in mezz'ora siamo in aeroporto.
Qui veniamo a sapere che c'è uno sciopero di due ore, sembra per l'arresto
di due persone, e quindi per il momento non si vola.
C'è un po' di confusione: non sappiamo se poi lo sciopero è rientrato o
meno, fatto è che dopo un po' siamo in fila per il check-in: il volo
428 di Indian Airlines previsto alle 13.00 decolla solo alle 15.40 ed
arriviamo a Delhi quando sono le 16.45. Non siamo preoccupati per il
ritardo, perché il nostro volo successivo è previsto per dopo le tre della
notte.
A Delhi ci facciamo portare in centro con dei taxi, dopo aver lasciato i
nostri bagagli in deposito all'aeroporto.
Ci regaliamo una cena eccezionale in uno dei ristoranti dello storico
Imperial Hotel prima di rientrare in aeroporto dove scopriamo di essere in
lista d'attesa, con l'ansia di sapere se riusciamo a partire oppure no.
Recuperati i bagagli, in un momento in cui c'è un attimo di calma al
bancone del check-in, presentiamo i biglietti di tutto il gruppo
cominciando allo stesso tempo a caricare i bagagli sulla bilancia della
pesatura. Gli addetti, di fronte al fatto compiuto, non reagiscono e li
accettano consegnandoci, una dopo l'altra, le carte di imbarco con gli
scontrini dei bagagli.
E' fatta!
Il Boeng 747 della Pan American del volo PA73 decolla alle 3.45 della notte con mezz'ora di
ritardo. A Karachi facciamo uno scalo tecnico di
un'ora e mezza ed alle 10.45, ore europea, atterriamo a Francoforte, nel
vecchio continente.
Qui il gruppo si separa per le varie destinazioni, chi Roma, chi Milano, chi
Torino o Genova: io ho il volo per Venezia AZ465 che parte con ritardo alle
16.22; atterro a Venezia poco meno di un'ora dopo.