Ripartiamo ed in venti minuti
siamo a San Cristóbal de las Casas.
E' difficile perdersi a San Cristóbal: le sue strade sono tutte parallele
e si incrociano tra loro ad angolo retto. Si assomigliano molto e se ci si
dimentica il nome di una strada basta contare quante cuadras
(isolati) si sono attraversati per ritrovare la propria posizione.
Trovandosi al centro dell'area tzotzil, a San Cristóbal fanno
riferimento i vari gruppi indigeni che arrivano qui con le loro mercanzie
ed i loro prodotti d'artigianato che vendono alla mattina lungo le strade:
in pratica è quasi un mercato giornaliero, si trova sempre qualcuno tutti i
giorni. Infatti domani mattina ci dedicheremo qualche ora.
Piacevole l'atmosfera della Plaza 31 de Marzo, la piazza principale
chiamata naturalmente Zócalo, con i suoi alberi: è racchiusa da bei
palazzi del periodo coloniale, dal Palacio Municipal e dalla
Cattedrale ricostruita alla fine del XVII secolo.
Le finestre delle case spesso hanno dei balconi, protetti da ferri
battuti.
San Cristóbal de las Casas deve il suo nome a Bartolomé de las Casas
(1484 - 1566) frate spagnolo domenicano che si era schierato dalla parte
degli indios mettendosi in contrasto con i conquistadores
dei quali aveva condannato le atrocità commesse nei confronti dei nativi.
Nominato vescovo del Chiapas nel 1545, fu anche il primo cristiano
consacrato nel nuovo mondo.
San Cristóbal de las Casas venne chiamata ufficialmente così solo a
partire dal 1943; in precedenza aveva ricevuto altri nomi: nel 1528 era
Villa Real de Chiapa, nel 1529 Villaviciosa de Chiapa, nel 1531
San Cristóbal de los Llanos, nel 1848 il nome cominciò ad assomigliare a
quello odierno e fu
San Cristóbal las Casas, ma poi nel 1934 fino al 1943 divenne Ciudad las
Casas. Ha avuto anche due nomi popolari, non ufficiali: Jovel e, per
distinguerla da Chiapa de los Indios (l'attuale Chiapa de Corzo), Chiapa
de los Españoles.
Intanto giunge l'ora della cena e per questa sera, nonostante qualcuno
volesse tornare al ristorante di ieri per gustare nuovamente gli
strepitosi anafre, scegliamo un altro locale, il Restaurante El
Faisán, proprio sullo Zócalo, per un'altra sontuosa cena
messicana.
La
pioggia non scoraggia gli indios a recarsi a San Cristóbal per
vendere le loro mercanzie.
Questa notte ha piovuto: capita
spesso negli Los Altos ed il tempo continua a mantenersi incerto e grigio.
Questo non ha impedito agli indios della regione ad accorrere ad
organizzare il loro mercato come fanno praticamente ogni giorno.
Alle otto di mattina ci sono già tutti lungo le strade di una vasta zona
centrale ad occupare tutti gli angoli disponibili, i giardini, i gradini
delle case, i sagrati delle chiese. Vendono di tutto, verdura, pannocchie,
fagioli, pomodori, succo d'agave ed altri strani liquori, pesci secchi,
attrezzi, machete, suppellettili, stoffe e sciarpe variopinte, cinturoni,
borse...
Merci
di ogni genere e soprattutto tanto colore al mercato di San
Cristóbal.
A vendere in genere sono le donne, che spesso devono portarsi anche i
figli, a volte piccoli o piccolissimi, che sono lasciati a terra a giocare
fra di loro, oppure c'è un fratellino o una sorellina più grande che si
prende cura dei più piccoli.
Ad ogni angolo ci sono scene che varrebbe la pena di fotografare, ma
bisogna essere cauti con le immagini: anche se vengono da Chamula, da
Zinacantán o da Ixtapa e non sono a casa loro, sono pur sempre quei fieri
tzotzil
che nei loro villaggi non vogliono essere fotografati.
Comunque, con prudenza e discrezione, riusciamo a scattare qualche
fotografia che ci resterà come ricordo di questa esperienza.
E' una festa di colori che ci ricorda che, poco lontano da qui, c'è il
Guatemala, dove i colori esplodono. E' una specie di assaggio di quello
che non vedremo in questo viaggio, centrato solo in Messico e soprattutto
nella penisola dello Yucatán.
I
bambini seguono i genitori (in genere le mamme) al mercato: i più
grandicelli badano ai piccolini.
Passate da poco le 11
siamo nuovamente nel nostro bus: in pratica si tratta di rifare la strada
per la quale siamo venuti. Ora comincia a piovere, una pioggia che diventa
fitta ed ininterrotta quando siamo vicini ad Agua Azul
e non possiamo fare a meno di pensare di aver potuto godere della bellezza
di quel posto l'altro ieri con un bel sole.
Le nuvole sono basse sulla selva ed a tratti ci entriamo e ci troviamo
come immersi nella nebbia.
Alle quattro del pomeriggio facciamo una pausa a Palenque per riposare
noi, l'autista ed anche il bus. Prendiamo qualcosa da mangiare e dopo
mezz'ora ripartiamo, sempre sotto la pioggia.
Alle sei e mezza di sera non piove più: è già buio e siamo diretti ad
Escárcega. Qui la nostra strada sembra disegnata con una stecca, tanto è
diritta con rarissime curve.
Finalmente alle 19.30 arriviamo e ci sistemiamo all'Hotel Maria Isabel che
avevo prenotato quando eravamo passati di qui provenienti da Campeche.
Da quello che vediamo ad Escárcega non c'è nulla: sorge ad un incrocio con
le strade che vanno a San Cristóbal (da dove veniamo noi) a Campeche (da
dove venivamo tre giorni fa) ed a Chetumal (verso dove siamo diretti,
anche se non la toccheremo). Di conseguenza c'è un distributore di
benzina, questo albergo per il riposo del viandante (nella hall ci sono
anche un paio di signorine in minigonna, forse per assicurare ogni comfort
nel riposo), un ristorantino, qualche baracchino lungo la strada che vende
bibite e caffè.
Dopo esserci sistemati, andiamo a cenare al vicino ristorantino
(Restaurante Cristy's) e dopo cena i due Andrea e Marco vanno alla ricerca
di una discoteca: pare incredibile, ma in questo luogo sperduto sono
riusciti veramente a trovarla, pochi minuti a piedi dietro
l'albergo!
L'indomani la giornata si presenta quasi serena, con un bel
cielo azzurro da cartolina con qualche rara nuvola dipinta di bianco.
La
struttura VIII di Becán caratterizzata dalle "torri"
laterali, tipiche dello stile del Rio Bec.
Il ristorante dell'albergo è ancora chiuso, così facciamo colazione alla
spicciolata, in uno dei vari baracchini lungo la strada.
Faccio
colazione in un baracchino lungo la strada a Escárcega:
ingenue pitture sulla parete di legno mostrano le
specialità gastronomiche: pollo arrosto, fagioli,
frappè, hamburger e frutta.
Si
caricano i bagagli davanti all'Hotel Maria Isabel di Escárcega.
Tutti pronti, alle 8.30 si parte.
Il gruppo non vuole perdere l'occasione per visitare tutto quello che è
possibile vedere e così quando alle 10.30 passiamo accanto al sito
archeologico di Becán ci fermiamo per una visita.
Tra
le rovine di Becán c'è anche lo sferisterio per il gioco della
pelota.
Siamo gli unici visitatori ed il luogo è molto interessante: ci troviamo
nella zona dello Yucatán conosciuta come del Rio Bec che ha prodotto
durante il periodo classico tardo, che va dal VII al X secolo d. Cr., un
proprio caratteristico stile architettonico. Gli altri, ricordo, sono il
Chenes ed il Puuc (di quest'ultimo rappresentative sono le località di
Uxmal e
Chichén Itzá).
La caratteristica più evidente dello stile del Rio Bec è il frequente uso
di grosse torri di muratura che hanno una certa somiglianza con le piramidi-templi del Petén, lontane circa 120-160 chilometri.
Queste torri sono generalmente doppie e sono innalzate ai due lati della
facciata principale dell'edificio.
Un bell'esempio lo troviamo proprio qui a Becán (il cui nome significa
"sentiero del serpente"), località poco nota e poco frequentata,
ma di grande interesse e bellezza.
Dalla
sommità di una struttura vediamo la foresta che circonda Becán:
qualche tempio riesce a superare l'altezza degli alberi.
Si trova su un'area relativamente vasta, immersa nella foresta, con una
serie di piramidi, di piazze, di edifici: c'è anche un gioco della pelota
ben conservato.
Altro motivo di interesse è il fatto che Becán sia completamente chiuso da
un sistema difensivo composto da un fossato asciutto che lo circonda, munito
di alti terrazzamenti e mura per proteggerlo in caso di conflitti con altre
popolazioni tribali.
L'edificio principale, del quale ignoriamo il nome perché non ne abbiamo
trovato notizia sulle guide (ma tornati a casa abbiamo scoperto essere
denominato "Struttura VIII") è abbastanza per conservato e
mantiene ai due lati le tipiche torri dello stile del Rio Bec, le quali
invece sono alquanto collassate.
Un'altra
interessante struttura di Becán della quale purtroppo non
abbiamo notizie: proprio perché ignorato dalla maggior parte
delle guide, a Becán eravamo gli unici visitatori.
Ci prendiamo tutto il tempo necessario per la visita, passeggiando per i
sentieri che portano tra le rovine nella foresta. Saliamo anche su alcuni di
questi monumenti che superano l'altezza degli alberi, godendo dello
spettacolo dei resti che sovrastano le chiome.
Qui a Becán e nei dintorni, nella foresta, gli archeologi hanno trovato
canali sotterranei di adduzione delle acque al centro cerimoniale. Sono
stati scoperti, proprio in queste condotte, alcuni utensili di sicura
provenienza da Teotihuacán,
arrivati sin qui con i commerci che erano stati sempre molto attivi.
Un
gigantesco mascherone fortemente stilizzato emerge dalla parete di una delle torri dell'edificio
principale di Xpuhil.
Dopo quasi un'ora di visita ci rimettiamo in marcia, ma veramente per
poco: fatti appena sette o otto chilometri, abbiamo la possibilità di
visitare un altro luogo archeologico, Xpuhil, la cui esplorazione e
restauro (molto parziale, finora sono stati scavati solo tre edifici) sono iniziati attorno al 1967.
Qui l'edificio principale ha ancora le torri dello stile del Rio Bec, ma
non sono due, poste ai lati, bensì tre: c'è una terza torre in posizione
centrale e disassata rispetto alle altre due.
L'edificio
principale di Xpuhil: oltre alle due torri laterali ne ha una
terza centrale.
Le torri hanno gli spigoli arrotondati, sono provviste di finte scalinate
sopra le quali sono posti degli enormi mascheroni.
Le tre torri sono raccordate tra loro da un basso edificio con la facciata
principale divisa in tre parti: il fregio superiore di ognuna di queste
tre parti è leggermente inclinato e sporgente e mostra un mascherone
visto frontalmente, mentre nella parte inferiore troviamo, come motivo
decorativo, delle fasce verticali di bassorilievi, frequente nella zona
del Rio Bec.
Altro elemento originale della zona sono le finte colonne incassate agli
angoli che sporgono dai due corpi di fabbrica avanzati sulla fronte; il
tutto a somiglianza con le capanne in legno e rami che una volta erano le
abitazioni popolari dei Maya e in parte lo sono ancora oggi dei poveri
contadini della regione.
Sono
forse rappresentazione del dio Sole i tre mascheroni sulla
facciata della piramide delle Maschere a Kohunlich.
Anche
un improbabile esploratore nella foresta attorno a Xpuhil ha la
possibilità di trovare qualche reperto archeologico che, se non
fosse onesto, potrebbe facilmente far sparire.
Concludiamo la nostra visita con una breve perlustrazione lungo i sentieri
che si addentrano nella foresta attorno. Anche qui troviamo resti di edifici
diroccati e non sarebbe difficile, per qualche malintenzionato, portarsi a
casa qualche frammento di decorazione maya in stile del Rio Bec.
La
strada verso Chetumal è quasi un unico interminabile
rettilineo, interrotto ogni tanto da qualche rara curva.
Riprendiamo la strada: il paesaggio è abbastanza monotono e piatto ed anche
la strada non è che sia tra le più varie, visto che si tratta di un
infinito rettilineo.
Poco prima delle 13 siamo a Kohunlich, dove le rovine si trovano in un parco
abbastanza vasto con una lussureggiante vegetazione sotto la quale, ne
possiamo vedere molti, sono nascosti oltre duecento monticelli: scavando là
sotto ci sono sicuramente scoperte da fare, ma anche qui gli scavi finora
hanno interessato una minima zona di un complesso di 21 ettari.
Kohunlich appartiene al primo periodo classico, tra il 250 ed il 600 d. Cr.
Impressionante è un albero che è cresciuto penetrando con le radici in un
muro.
Percorriamo quella che doveva essere la grande piazza, chiusa in fondo dalla
piramide della Maschere, dedicata al dio Sole, che ha sulla facciata tre
grandi mascheroni scolpiti, di tre metri d'altezza ciascuno, rappresentanti
probabilmente la divinità.
Le maschere risentono di una influenza olmeca.
Dopo quest'ultima sosta archeologica siamo ormai diretti verso l'oceano.