Uno
strano scorcio a Taxco con una casa che finisce quasi a punta.
In quasi un'ora e mezza arriviamo
a Taxco.
Prima dell'arrivo degli spagnoli il suo nome era Tetelcingo (cioè
"piccola collina") e gli era stato dato dagli Aztechi.
Oggi la fortuna di Taxco è costituita dalla sua fama di città
dell'argento, che la ha resa prospera soprattutto nel turismo. Infatti ha mantenuto
tutte le caratteristiche di una cittadina spagnola coloniale, con le sue
casette bianche arrampicate su un dedalo di viuzze che salgono e scendono
dando luogo a scorci simpatici e così suggestivi che di più non possono
essere.
In qualche modo è anche una città terribilmente fasulla, fatta solo per
piacere ed accontentare il turista.
La fama dell'artigianato dell'argento viene da lontano nel tempo. Gli
spagnoli erano arrivati fin qui nel 1529 per cercare lo stagno ed
effettivamente ne trovarono delle piccole quantità. Ma nel 1534 trovarono
anche dei giacimenti d'argento.
Fu allora che chiamarono questa zona Taxco e cominciarono a sfruttare il
prezioso minerale.
Tuttavia la vena d'argento si esaurì ben presto e non ne vennero trovate
altre.
Questo almeno fino a quando, nel XVIII secolo, non giunse un tale don
José de la Borda, che era partito dalla Spagna nel 1716.
A questo punto la storia diventa leggenda: don José nel 1743 stava
cavalcando a Taxco quando, accidentalmente, il suo cavallo inciampò,
smuovendo dei sassi che misero alla luce dell'argento. Si trattava di una
delle vene d'argento più ricche della zona mai scoperte.
La
Cattedrale di Santa Prisca a Taxco, fatta costruire da don José de
la Borda sul luogo dove scoprì la vena d'argento che fece la sua
fortuna.
In questo modo don José de la
Borda fece una fortuna e costruì palazzi, giardini (come il Jardín
Borda di Cuernavaca). Ma soprattutto fece costruire a Taxco la
Cattedrale di Santa Prisca, sul luogo esatto su cui il proprio cavallo
inciampò, permettendogli di arricchirsi a dismisura.
Lo stile della chiesa di Santa Prisca, adornato di inutili fronzoli, è
talmente orribile da poter apparire, per assurdo, bello!
La scoperta di don José fece accorrere minatori ed avventurieri da ogni
parte per sfruttare le nuove scoperte di vene d'argento, che presto si
esauriranno.
Così l'argento cadde nel dimenticatoio, fino a quando nel 1932 un
professore americano, William Spratling, arrivato a Taxco non pensò di
aprire un piccolo laboratorio d'argento.
Il laboratorio si ingrandì, aumentò il numero degli occupati, molti dei
quali più tardi aprirono proprie botteghe dell'argento.
Ormai le botteghe che vendono argento sono oltre duecento ed attirano
migliaia di visitatori.
Anche noi siamo tra quelli e, passeggiando per le vie del paese, visitata
la Cattedrale di Santa Prisca e la chiesa della Chavarrieta, inevitabilmente
passiamo tra le botteghe dell'argento.
Le soste del gruppo sono continue, di vetrina in vetrina: i prezzi possono
sembrare convenienti, ma è bene ricordare che si tratta quasi sempre di
una lega con una percentuale d'argento di gran lunga inferiore a quella
alla quale siamo abituati in Italia.
Finalmente dopo tre ore ripartiamo da Taxco: anche troppe! Personalmente
avrei preferito starmene di più a Xochicalco
piuttosto che a Taxco, ma stando in gruppo bisogna sapere accontentare un po'
i gusti e le aspettative di tutti.
Il ritorno verso Città del
Messico dura tre ore; una volta arrivati in molti ci ritroviamo a cenare
da Samborn's, alla Casa de los Azulejos: anche se non avevamo
prenotato, ci trovano ugualmente posto e ceniamo sontuosamente. Altri
invece, con in testa i due Andrea e Marco, sangue romagnolo, hanno scelto di cercare un
locale nella Zona Rosa, il quartiere elegante delle boutiques e dei caffè
europei, alla ricerca di qualche discoteca.
Il giorno dopo lascio la mattina libera per il gruppo: infatti ho alcune
cose da fare, a cominciare dalla riconferma dei voli presso la Delta al
Paseo de la Reforma 381.
Oltre a chi lo aveva programmato già dall'inizio,a ltri compagni di
viaggio hanno deciso di chiedere delle variazioni di itinerario o
spostamenti delle date di partenza sul piano dei voli standard; così mi
ritrovo con il dover mettere a posto con la Delta sei differenti piani dei
voli: ci sono i ritorni su Milano o su Roma e c'è chi fa dei
prolungamenti nel soggiorno ripartendo da Mérida, o da Città del
Messico, o da New York. Comunque alla fine riesco ad accontentare tutti.
Passo anche alla Viajes Americanos, l'agenzia che ci ha procurato
l'autobus per le escursioni da Città del Messico a Teotihuacán, Tula,
Cuernevaca, Xochicalco e Taxco, per vedere se ci fa un prezzo conveniente
per il transfert di questo pomeriggio dall'albergo all'aeroporto. Ma, come
sospettavo, il Gerente General Armando Garcia mi dice che per
quanto basso possa tenere il prezzo, per quel tipo di servizio non può
essere competitivo con la compagnia di taxi dell'aeroporto, quella che ci
ha fornito i microbus al nostro arrivo in Città del Messico. Quindi ci
consiglia di contattarli telefonicamente per farci venire a prendere in
albergo con un colectivo.
Ora, sistemato finalmente tutto, dedico un po' di tempo anche per me e mi
faccio portare da un taxi a el Zócalo che devo ancora visitare.
La Plaza de la Constitución si trova nel luogo dove anticamente si
trovava la piazza principale di Tenochtitlán.
La leggenda racconta che gli Aztechi, nella loro migrazione verso sud,
avrebbero ricevuto dal loro dio Huitzilopochtli una profezia: un giorno
avrebbero visto un'aquila appollaiata su di un cactus con un serpente nel
becco.
Questa visione si sarebbe materializzata su un isolotto del lago di Texcoco: qui si fermarono e fondarono la loro capitale
México-Tenochtitlán. I due nomi deriverebbero il primo dall'altro nome
con cui era anche chiamato il dio Huitzilopochtli, ossia Mextil, il
secondo dal nome del sacerdote che aveva guidato gli Aztechi nella loro
migrazione, cioè Tenoch. Alcuni tuttavia attribuiscono il nome a quello
del cactus (tenuch) sul quale stava l'aquila.
Gli Aztechi si stabilirono anche sulle altre isole presenti nel lago di
Texcoco, come Tlatelolco, un po' più a nord. Costruirono degli argini sul
lago che erano anche delle vere e proprie strade di collegamento, delle
quali resta ancora qualche traccia nel tracciato delle strade dell'odierna
Città del Messico: ad esempio Tlacopán, che univa Tenochitlan alla
terraferma verso ovest, coincide oggi con calle Tacuba.
La
più antica mappa conosciuta di Città del Messico, attribuita ad Hernán
Cortés.
Quando arrivò Hernán Cortés,
questi mantenne alla città lo stesso reticolato urbanistico azteco,
sovrapponendovi gli edifici simbolo dei nuovi padroni.
In questo modo il centro della città rimase la piazza principale della
vecchia Tenochtitlán, sulla quale si affacciavano i templi aztechi ed i
due palazzi di Moctezuma (o Montezuma). Ma sul luogo dove sorgevano i
templi, Cortés fece costruire la chiesa cattedrale della nuova religione
che aveva portato mentre pose la propria residenza dove c'erano le casas
nuevas dell'imperatore azteco. Le pietre degli antichi edifici aztechi
distrutti servirono per pavimentare la piazza.
I simboli del potere del vincitore si sovrapponevano a quelli dei vinti,
cancellandoli.
Mi trovo dunque nel cuore di quella che era la capitale dell'impero azteco,
la Plaza Mayor: nei secoli la piazza venne chiamata in vari modi, Plaza
de Armas, Plaza Real e nel 1812 Plaza de la Constitución.
Nel 1843 cominciò ad essere chiamata popolarmente el Zócalo per
via di un certo sopraelevamento che era stato fatto per divenire solo la
base di un esagerato monumento. E' una delle piazze più grandi del mondo.
La
mappa di Città del Messico incisa da Benedetto Bordone (Padova
1450-1530/1) e pubblicata dopo la sua morte nel 1534 nel suo
"Isolario": inutile osservare come sia sorprendente la
somiglianza con quella attribuita a Hernán Cortés mostrata sopra.
I
resti archeologici del Templo Mayor di Tenochitlán nei pressi della
cattedrale di Città del Messico.
Qui vicino, tra Avenida Argentina e Calle Guatemala, nella notte del 23
febbraio 1978, alcuni operai dell'azienda elettrica facendo degli scavi
scoprirono una pietra di otto tonnellate di peso ricoperta da bassorilievi.
Un
momento degli scavi del Templo Mayor, subito dopo la scoperta
casuale di alcuni resti nel 1978.
Da quel momento cominciarono gli scavi in prossimità della Cattedrale,
portando alla luce le strutture di quello che poteva essere il Templo
Mayor di Tenochitlán. Mi incammino proprio verso là, passeggiando su
delle passerelle che attraversano l'area degli scavi ancora in corso.
La
Cattedrale di Città del Messico ed el Sagrario, ancora in parte
transennati dopo il terremoto del 19 settembre 1985.
Ci sarebbe anche la possibilità
di andare a vedere anche i resti della piramide di Tlatelolco, in Plaza de
las Tres Culturas, qualche chilometro più a nord, ma non avendo tempo a
sufficienza, preferisco piuttosto restare nella zona de el Zócalo.
Praticamente tutto un lato della Plaza de la Constitución è occupato dal
complesso formato dalla Cattedrale metropolitana e da el Sagrario.
A distanza di oltre sette anni dal terribile terremoto che sconquassò
Città del Messico il 19 settembre 1985, sono ancora ampiamente visibili i
danni subiti dalle strutture.
Sono attivi dei cantieri edili per il restauro degli edifici; tubi
"Innocenti" circondano le colonne di alcuni portali d'ingresso e
proteggono alcuni muri che ancora presentano inclinazioni e crepe.
L'interno
della Cattedrale di Città del Messico è ancora
abbondantemente protetto da imponenti strutture formate da tubi
"Innocenti", a seguito del terremoto del 1985.
Uno
dei grandi murales che Diego Rivera ha dipinto nel Palacio Nacionál
di Città del Messico: questo, tra i più famosi, è intitolato
"La grande Tenochitlán".
Ma la situazione è ancora più evidente entrando nella Cattedrale, ancora
parzialmente non accessibile: qui i tubi "Innocenti" sono veramente dappertutto,
quasi siano l'unico sostegno delle colonne e delle volte. Si ha quasi
l'impressione di una Cattedrale fatta di tubi.
Mi sposto quindi sull'altro lato, dove c'è il Palacio Nacionál costruito
sulle rovine dei palazzi di Moctezuma. In realtà sulle rovine dei palazzi
di Moctezuma erano stati costruiti degli edifici come residenza privata di
Hernán Cortés, che poi passarono alla sua famiglia. Furono quindi
acquistati dal Re di Spagna che li destinò al Viceré.
L'attuale palazzo venne edificato nello stesso luogo tra la fine del XVII
secolo ed i primi anni del secolo XVIII.
A partire dal 1929 venne chiamato ad eseguire dei dipinti murali nel Palacio Nacionál
il più famoso dei pittori messicani del Novecento, Diego Rivera
(1886-1957). Questi dipinse tutta l'epopea del Messico: un'opera colossale
che lo impiegò per venticinque anni, restando tuttavia incompiuta.
Si comincia con la storia degli Aztechi, la nascita e lo splendore della
loro capitale Tenochitlán, la conquista spagnola, il periodo coloniale, il
XVIII secolo e la rivoluzione del 1910.
Tra murales di Rivera, in "La grande Tenochitlán"
del 1945 è raffigurata sullo sfondo la città azteca sul lago di Texcoco,
con i suoi templi, circondata dalle montagne e dai vulcani, mentre la
popolazione operosa è impegnata in varie attività (c'è anche un
sacrificio umano); su tutto vigila l'imperatore.
L'interno
dell'ufficio postale principale di Città del Messico.
Ripassando di fianco alla Cattedrale, scorgo della gente in attesa all'ombra
della chiesa che si offre per lavoro: seduti per terra o in piedi,
appoggiati ad un ringhiera, mostrano dei cartelli che indicano il lavoro che
sanno fare: chi si offre come elettricista, chi per saldare a piombo,
manovale, meccanico, dipintore, muratore, ecc.
Ovviamente non faccio fotografie.
Mi fermo in Calle Tacuba dove c'è l'omonimo "Café de Tacuba": un
ristorante molto simpatico, con soffitto a volte a crociera e maioliche alle
pareti.
Dopo aver pranzato con molta soddisfazione, mi resta ancora un'ora per
portarmi nella zona dell'Alameda e poi alla Torre Latinoamericana per fare
alcune foto di giorno: infatti ci eravamo passati di notte.
Qui c'è anche l'ufficio postale principale, dove entro per acquistare i
francobolli che userò prossimamente per spedire qualche cartolina:
l'ufficio postale è molto bello ed elegante, con marmi policromi, alte
colonne, tavoli in stile di grandi dimensioni con il ripiano di marmo per il
pubblico e gli sportelli per il pubblico protetti da inferriate di ferro e
ghisa.
Mentre attendo il mio turno allo sportello, noto una targhetta che indica il
costruttore delle inferriate e delle colonnine in ghisa dell'arredo: «Fonderia
del Pignone / Firenze - Italia».
Fa sempre piacere trovare un piccolo pezzo d'Italia all'estero!
La
targhetta del costruttore dell'arredamento in metallo e ghisa
dell'ufficio postale di Città del Messico.
Rientro quindi in albergo e trovo già una parte dei miei compagni di
viaggio, altri arriveranno poco dopo, che preparano i bagagli. Io intanto
telefono alla compagnia dei trasporti dell'aeroporto e prenoto il
transfert per tutti: ci verranno a prendere alle 17.
Arrivano addirittura in anticipo con un autobus nuovo di zecca tutto per
noi, carichiamo i bagagli ed in mezz'ora siamo già all'aeroporto dove
facciamo subito il check-in. Abbiamo tutto il tempo per girare tra i
negozi dell'aeroporto.
Al decollo ci rendiamo conto della cappa di polveri e smog che avvolge
Città del Messico: mentre siamo in fase di prendere quota, vediamo Città
del Messico sotto di noi e sopra un cielo limpido. Tra la città e l'azzurro
del cielo attraversiamo con l'aereo una fascia opaca: sono le polveri che
gravano su questa megalopoli inquinata.
Il volo 605 della Mexicana impiega un'ora ed un quarto per arrivare a
Mérida.
Al
momento del decollo, l'aereo "perfora" la cappa di
inquinamento che avvolge Città del Messico: sopra la coltre di
inquinamento il cielo è limpido.