La
vecchia basilica dedicata alla Nuestra Señora
de Guadalupe che mostra ancora i segni del terremoto del 1985.
L'immagine
prodigiosa della Vergine nella chiesa moderna della Nuestra Señora
de Guadalupe.
Non è ancora molto tardi, il sole
è ancora alto, così approfittando del fatto che ci passiamo non molto
lontano, ci facciamo portare da Carlos Palmas alle basiliche di Nuestra Señora
de Guadalupe.
I santuari vennero eretti per ricordare le prodigiose apparizioni della
Madonna ad un giovane indio, Juan Diego, nel XVI secolo.
Esistono diverse versioni di questi avvenimenti, non tutte concordanti:
seppure per lo più siano ricordate quattro apparizioni della Madonna, in
alcuni di questi racconti queste diventano cinque e quasi tutti
differiscono per qualche particolare in più o in meno: evidentemente nei
secoli ciascuno ha cercato di colmare alcune lacune nel racconto,
aggiungendo qualcosa secondo il proprio gusto o la propria fantasia.
Comunque, a grandi linee, tradizionalmente si racconta che, sulla collina
del Tepeyac, vicino a Città del Messico, Juan Diego, un povero indio,
vide la mattina del 9 dicembre 1531 una signora che si manifestò come
essere la Madonna; questa gli chiese di far erigere una chiesa in suo
onore in quel luogo.
Juan Diego si sarebbe recato dal vescovo Juan de Zummáraga a riferire
quanto gli era accaduto di vedere e di udire sul colle, ma il vescovo non
gli credette.
Ripassando per la collina, Juan Diego incontrò una seconda volta la
Madonna e le riferì dell'incontro con il vescovo: la signora gli ordinò
di tornare il giorno seguente dal vescovo, cosa che Juan Diego puntualmente
fece. Il vescovo tuttavia gli chiese un segno, una prova, per poter
credere al racconto.
Tornato sulla collina, la signora gli promise un segno per l'indomani.
Purtroppo, a causa di uno zio gravemente ammalato, Juan Diego non poté
recarsi all'incontro.
Il 12 dicembre Juan Diego dovette uscire per cercare un sacerdote che
confessasse lo zio ormai morente. Per strada gli apparì ancora una volta
la Madonna che lo rassicurò sulle condizioni di salute dello zio: è già
guarito, gli disse. Quindi gli ordinò di salire sulla collina per raccogliere dei
fiori, nonostante che quel giorno, secondo il calendario giuliano in uso
al tempo, coincidesse con il solstizio d'inverno. Juan Diego tuttavia
trovò una fioritura di fiori di Castiglia, sbocciati fuori stagione: era il
segno da portare al vescovo Juan de Zummáraga.
Juan Diego li avvolse nel proprio mantello.
Di fronte al vescovo e ad altre persone, Juan Diego aprì il mantello per
presentare quei fiori prodigiosi ed all'istante i presenti videro impressa
sulla mantellina l'immagine della Madonna.
Nella chiesa che venne eretta fu collocato il mantello recante l'immagine
prodigiosa.
Oggi le basiliche di Nuestra Señora
de Guadalupe sono due: c'è la vecchia chiesa coloniale, ormai chiusa
anche perché è stata ulteriormente danneggiata dal terremoto del
settembre 1985, e c'è la nuova chiesa completata nel 1976, progettata
dall'architetto messicano Pedro Ramírez Vásquez per sostituirsi alla
precedente, vecchia ed ormai diventata troppo piccola per contenere il
grande afflusso di pellegrini che vengono a pregare davanti all'immagine
miracolosa impressa sul telo, soprattutto nei giorni precedenti il 12
dicembre, anniversario dell'evento miracoloso. Ma in qualsiasi giorno
dell'anno, anche oggi, possiamo vedere numerosi pellegrini in arrivo e
spesso si osservano gesti che derivano da culti pagani preispanici che si
mescolano con quelli tradizionali del culto cattolico.
La
nuova chiesa di Nuestra Señora
de Guadalupe completata nel 1976, opera dell'architetto messicano Pedro Ramírez Vásquez.
Poi, in mezz'ora, Carlos ci
conduce al nostro albergo. Per la cena prenoto da Sanborn's in Avenida Francisco Madero, che possiamo
raggiungere dal nostro albergo in pochi minuti a piedi.
Il ristorante si trova all'interno della Casa de los Azulejos e
precisamente in quello che era il patio interno, oggi coperto, con una
fontana al centro.
La Casa de los Azulejos è un edificio del tardo XVI secolo
appartenuto al Conte della valle di Orizaba, che ne fece un gioiellino
ricoperto da maioliche blu (azulejos) che compongono dei disegni
ispirati allo stile moresco spagnolo e nord africano. Nel patio, dove
ceniamo tutti assieme, non possiamo non ammirare le pitture murali con
paesaggi e creature mitiche dipinte nel 1926 dall'artista messicano José
Clemente Orozco (1883-1949), uno dei maggiori artisti messicani, artefice
con Diego Rivera e Davide Alfaro Siqueiros del movimento murale del XX
secolo.
Dopo cena raggiungiamo la vicina Torre Latinoamericana, considerata il grattacielo
più alto del mondo, non tanto per i suoi 177 metri d'altezza, ma per il
fatto che si trova a 2.309 metri sul livello del mare! Mare che è
rappresentato al trentasettesimo piano da un acquario, anche questo il
più alto del mondo, nel quale vivono specie acquatiche degli oceani
Pacifico ed Atlantico.
Città
del Messico vista dalla Torre Latinoamericana.
La Torre Latinoamericana, costruita con criteri antisismici per resistere
a terremoti fino all'ottavo grado della scala Mercalli, è effettivamente
l'unico grattacielo ad avere realmente resistito a terremoti fino al sesto
grado.
Noi vi saliamo con l'ascensore fino al quarantaduesimo piano, da dove
riviviamo quello spettacolo di un mare sterminato di luci che avevamo
visto dall'aereo al nostro arrivo. Ed in lontananza, in continuazione,
vediamo sul cielo buio l'avvicendarsi delle luci degli aerei in atterraggio
all'aeroporto di Città del Messico.
Il
palazzo di
Hernán Cortés a Cuernavaca.
Il giorno dopo, lunedì,
inappuntabile Carlos Palmas ci viene a prelevare alle 8 con il bus per
l'escursione di oggi. Restiamo anzi stupiti per la sua puntualità, a
dispetto di una certa fama di non tenere in grande conto gli orari che
hanno le genti messicane e latinoamericane in genere.
In poco più di un'ora arriviamo a Cuernavaca, meta quasi d'obbligo per
tanti turisti.
In periodo preispanico si chiamava Cuauhnáhuac (il luogo al margine della
foresta) ed era abitata dagli indos Tlahuica.
Hernán Cortés vi arrivò nel 1521 e la ribattezzò, appunto, Cuernavaca
costruendovi la Catedral de la Assunción, una delle più antiche
del Messico, che si arricchì successivamente di cappelle, edifici ed un
chiostro interno in stile barocco messicano.
A fianco della Plaza de la Constitución, l'antico Zócalo,
c'è il palazzo che Cortés fece costruire tra il 1522 ed il 1532 per la
sua seconda moglie sopra le rovine di una piccola piramide indiana: si
tratta di un palazzo-fortezza in stile medioevale.
Anche dopo la partenza di Cortés per la Spagna nel 1540, il palazzo
restò ancora di proprietà della famiglia. Nel XVIII secolo cominciò ad
essere usato come prigione e Porfirio Díaz lo usò come sede del suo
governo. Attualmente il palazzo accoglie il Museo di Cuauhnáhuac che
però oggi, essendo lunedì, è chiuso; così non possiamo vedere neppure
i murales che Diego Rivera (1886-1957) dipinse negli anni Venti
mostrando gli orrori delle antiche superstizioni, della schiavitù sotto
gli spagnoli, le lotte per la libertà ed i benefici della democrazia.
Uno
scorcio del centro di Cuernavaca.
Passeggiamo per le vie di Cuernavaca, tra le costruzioni coloniali e le
piccole abitazioni: l'impressione che ne ricaviamo è quella di una
cittadina molto vivibile e così dovettero pensare in molti se venne
scelta, anche per il suo clima, come dimora da ricchi e potenti. Qui vi
risiedeva Hernán Cortés, come marchese di Oaxaca, vi si rifugiava
l'imperatore Massimiliano I d'Austria con le sue amanti indiane,
probabilmente anche la stessa nobiltà azteca aveva scelto questo luogo
come rifugio.
Archeologi
al lavoro a Xochicalco, alla base di un un gruppo di rovine.
Dopo circa un'ora e mezza (abbiamo
anche mangiato un gelato in piazza) risaliamo sul nostro autobus diretti
alla vicina Xochicalco.
L'autista Carlos Palmas sbaglia strada: se ne accorge al casello
dell'autostrada dove prende informazioni per la direzione. Compie
disinvoltamente un'inversione a "U", praticamente bloccandola
senza troppi problemi e percorre contromano la rampa d'ingresso per
uscirne!
A parte il contrattempo arriviamo a Xochicalco ("il luogo della casa
dei fiori") alle 12.30.
Subito oltre l'ingresso nell'area archeologica vediamo al lavoro un gruppo
di archeologi che sta compiendo una campagna di scavi e di ricerche alla
base di un gruppo di rovine.
Xochicalco possiede veramente delle caratteristiche particolari, in quanto
rappresenta, in un'epoca storica buia per le antiche culture messicane,
quasi un punto d'incontro e di sintesi tra diverse civiltà.
Nell'architettura di Xochicalco troviamo apporti maya, zapotechi,
teotihuacani e totonachi. Infatti dopo la fine di Teotihuácan, la regione
non aveva più un centro-capitale di riferimento: abbandonata a se stessa
subì una fase di imbarbarimento.
Le
rovine di Xochicalco sono poste a diversi livelli ai margini
dell'altopiano centrale del Messico.
Tuttavia resistevano alcune cittadelle, quelle meglio protette e
fortificate. Xochicalco si trova quasi sul bordo, a sud dell'altopiano
centrale del Messico, in una posizione apparentemente defilata, a 1.500
metri d'altezza, dove il clima era più caldo.
Questa regione venne così descritta dal cronista Diego Durán: «Questa è
certamente una delle più belle terre del mondo e, se non fosse per il
grande calore, sarebbe un nuovo paradiso terrestre...».
Ma proprio in questa regione c'era una grande ricchezza di cotone e passava
la via commerciale che univa l'altopiano messicano al Rio Balsas; oltre al
cotone, per questa via passavano i commerci del cacao, delle pietre verdi,
delle penne d'uccello, dell'ossidiana.
Se prima era Teotihuácan a detenere il monopolio ed il controllo di questi
commerci, ora che Teotihuácan non c'era più, Xochicalco potè espandersi e
dominare e controllare questa via commerciale, grazie anche alla sua
posizione strategica, posta a 130 metri di altezza sulla regione
circostante.
Proprio grazie alle relazioni commerciali, Xochicalco attinse ad altre
culture, distanti anche migliaia di chilometri: più che assomigliare alla
vicina Teotihuácan, è più prossima alla cultura dei Maya di Copán e
degli Zapotechi di Monte Albán. Inoltre, quasi a dimostrare un momento di
collegamento con gli emergenti Toltechi di Tula, il gioco della pelota di
Xochicalco servì da modello alla costruzione di quello di Tula.
La
base della piramide del tempio del Serpente Piumato a Xochicalco
mostra, tra le spire del serpente, i sacerdoti astronomi che qui si
riunirono attorno al 650 d. Cr.
Ma anche alcuni bassorilievi che
si trovano su delle costruzioni di Xochicalco, che mostrano serpenti,
personaggi e glifi, come pure i glifi incisi su numerose steli, mostrano
origini nahua, maya e zapoteche. Quindi Xochicalco, grazie anche ai
suoi commerci, fu sempre aperto ai contributi ed agli influssi esterni e,
nel momento della sua massima importanza, fu anche un centro che fece
sentire la propria influenza nel mondo maya.
La prova ci è data dal fatto che i suoi monumenti erano dedicati
principalmente a delle correzioni al calendario: verso il 650 d. Cr. si
riunì a Xoxhicalco una sorta di congresso di sacerdoti-astronomi, alcuni
dei quali probabilmente provenienti dalla lontana Copán
(oggi in Honduras), con lo scopo di adottare un nuovo e più preciso
calendario.
Qui, sul basamento di quel gioiello di architettura e di scultura che è
il tempio di Quetzalcoatl, tra le spire dei serpenti piumati che lo
adornano, sono raffigurati proprio i sacerdoti-astronomi che parteciparono
a quella riunione astronomica.
Gli studiosi ritengono molto probabile che l'edificio di Quetzalcoatl (a
Xochicalco chiamato sempre del "Serpente Piumato") sia stato
costruito al termine di uno dei cicli di 52 anni che è necessario perché
un giorno del calendario kaab ritorni a coincidere con il
corrispondente giorno del calendario tzolkin, allo scopo di
ricordare la cerimonia del fuego nuevo (Fuoco Nuovo) con la quale
si celebrava l'inizio di un nuovo ciclo di vita per l'universo.
A seguito della correzione astronomica, le vecchie date incise non erano
più considerate utili: quelle incise sugli edifici maggiori (ad esempio
sulla facciata principale del tempio del Serpente Piumato) vennero
corrette con nuove incisioni sul glifo, mentre per quelle segnate sulle
steli venne usato un altro metodo: la stele veniva dipinta di rosso, il
colore della morte, e dopo essere state fatte a pezzi, cioè
"uccise" ritualmente per evitare influenze nefaste, venivano
sotterrate. Così sono state ritrovate dagli archeologi.
La
piazza della stele dei due glifi con il tempio a Xochicalco.
Xochicalco lascia delle impressioni contraddittorie tra di noi. Alcuni sono
rimasti delusi dalla visita, ma sono coloro che, dopo essere entrati, si sono
fermati superficialmente solo alle prime rovine.
Bisogna camminarci e girare di più: io con gli altri in un'ora ho girato
bene tra le rovine, anche quelle più lontane, cercando di coglierne gli
aspetti più interessanti. Essendo divisa fra vari livelli, non ci si deve
fermare all'ingresso: ad un livello superiore c'è il tempio del Serpente
Piumato con il tempio della stele, più in basso c'è un livello con la
piattaforma della stele dei due glifi e più in basso ancora c'è lo
sferisterio del gioco della pelota in ottime condizioni che presenta
ancora gli anelli (marcadores) attraverso i quali doveva passare la
palla di caucciù.
Tutto il complesso si trova inoltre in una bella posizione panoramica.
Fermandosi quasi all'ingresso senza camminare più in là è logico restare
delusi dalle prime "quattro pietre" che si incontrano.
Quando cerchiamo di ripartire l'autobus, parcheggiato in salita, non riesce
a superare la pendenza carico del nostro peso. Così Carlos Palmas ci fa
scendere e l'autobus, alleggerito, riesce a muoversi. Vi rimontiamo un
centinaio di metri più in là, dove la strada è tornata più pianeggiante.