Da Uxmal abbiamo la possibilità
di percorrere la via corta che conduce a Campeche. Ma non abbiamo
alcuna fretta di essere in albergo presto; oltretutto è già prenotato.
Quindi siamo tutti d'accordo di percorrere il camino real, come
viene chiamata la strada più lunga che ci porterà in una delle zone più
suggestive della civiltà maya con i suoi edifici più belli in puro stile
Puuc.
Dopo un quarto d'ora siamo già alla prima tappa che, in pratica, è
proprio sulla strada.
Si tratta di Kabáh, il cui ingresso è simbolicamente segnato da un
grande arco maya, isolato, privo di decorazioni, che si trovava
sull'antica strada sacra sopraelevata (saché) che collegava Kabáh
ad Uxmal.
Una
vista sulle rovine di Kabáh con il Tempio delle Colonne.
Sulla
facciata occidentale del Codz-Poop sono rappresentate due figure
umane con le braccia protese in avanti: forse l'immagine di sovrani.
Questo arco venne diligentemente disegnato nel 1842 dall'architetto
Frederick Catherwood, al seguito dell'esploratore newyorkese John Lloyd
Stephens, il quale lo paragonò ai «...solenni archi trionfali
romani».
Questa scoperta venne snobbata dagli archeologi per quasi un secolo,
definendola «...la sedicente scoperta...», ma solo perché non
riuscivano a trovarlo! Venne riscoperto solo nel 1941 e risulta
perfettamente identico al disegno che ne fece Catherwood!
Il complesso di Kabáh presenta un certo numero di resti, più o meno bene
conservati, come la Piramide delle Maschere, il Palazzo, il Tempio delle
Colonne, la Casa della Strega, tutte rovine che si possono visitare bene e
con calma, dal momento che sono praticamente ignorate dal turista. Questi
infatti, se percorre questa strada, al massimo si ferma un attimo ad
ammirare, magari dai finestrini dell'autobus, l'edificio più famoso di
Kabáh,
il Codz-Poop, costruito su un terrapieno artificiale, sormontato da una
"cresta" decorata con un motivo geometrico a greche.
La caratteristica più saliente di questo tempio è il fatto che l'intera facciata è
totalmente ricoperta dai mascheroni del dio Chac, con il caratteristico
naso a proboscide.
La
facciata settentrionale del Codz-Poop di Kabáh ricoperta
da 250 maschere stilizzate del dio Chac.
Le
maschere stilizzate del dio Chac su una facciata del Codz-Poop
(detto anche Tempio delle Maschere).
La decorazione totale della facciata sarebbe una caratteristica dello stile
Chenes, ma l'estrema stilizzazione del motivo lo fa unanimemente
considerare un'opera in stile Puuc.
Vi è un ripetersi all'infinito della maschera stilizzata di Chac, che ne
fa perdere il significato figurativo per farla assurgere ad elemento
decorativo astratto fine a se stesso.
Oggi le 250 maschere (c'è chi scrive 270, ma io sinceramente non ho
provato a contarle) hanno perso la parte terminale del naso (la parte
della "proboscide" incurvata all'insù), ma quando l'apparato
decorativo era in ordine doveva suscitare una forte emozione nei fedeli
che vi si avvicinavano.
In realtà è restata un'unica maschera di Chac con il naso intatto:
occupa una posizione marginale a destra, sulla fila in alto.
C'è anche chi ha fatto un conto: ogni maschera è composta da trenta
pezzi di pietra lavorata, assemblati assieme. Quindi in totale sono stati
scolpiti 7.500 pezzi senza l'uso dello scalpello di metallo ma ricorrendo,
al massimo, a qualche strumento di ossidiana.
Dopo Kabáh, in direzione di
Campeche, c'è una deviazione sulla sinistra. Lungo questa deviazione si
trovano altri siti interessanti, che siamo interessati a visitare in
considerazione che sono "quasi" sulla strada e che l'albergo di
questa sera è già prenotato, quindi non occorre arrivare presto per
accaparrarci le stanze.
Dal momento che per ritornare sulla strada principale dovremo ripercorrere
la deviazione, cominciamo a visitare il sito archeologico più lontano,
Labná; negli altri ci fermeremo ritornando.
L'architettura di Labná è tipica di quest'area d'influenza Puuc, però
manca di una unità stilistica. Gli edifici si aggiunsero gli uni sugli
altri nel processo di crescita della città.
Finora è stata ritrovata un'unica data (scolpita sul naso a proboscide
del dio Chac) che corrisponde all'869 d. Cr.
Anche qui la visita non è particolarmente impegnativa: Labná è famosa
soprattutto per il suo arco monumentale che metteva in comunicazione due
complessi di edifici.
Si tratta di una struttura più complessa dello spoglio arco che abbiamo
visto a Kabáh.
La decorazione, ad esempio, è diversa sulle due facciate: da un lato
delle greche risaltano in rilievo su un grande fondo di junquillos,
nell'altro lato la decorazione si fa più elaborata e complessa, forse a
voler sottolineare che quella era la facciata principale.
L'arco
di Labná: si possono scorgere tra le decorazioni due
raffigurazioni di capanne maya.
Un
tratto restaurato del "saché", la strada cerimoniale rialzata
che arrivava fino ad Uxmal.
La struttura è tripartita, ai lati ci sono due false porte che aumentano la
spettacolarità dell'arco centrale.
L'arco è quasi privo di decorazione, mentre i due corpi laterali presentano
sopra le false porte la riproduzione di due capanne maya (come abbiamo visto
anche ad Uxmal) che spiccano sullo sfondo. Su uno degli angoli si può
osservare una maschera di Chac ed una colonna incassata.
Alcune modanature intagliate a cornice delimitano gli spazi della
composizione mentre in alto è accennata una "cresta" traforata
che dona leggerezza all'edificio.
La prima immagine che fu vista dell'arco di Labná fu un disegno del 1842
ripreso dal vero dall'architetto Frederick Catherwood che accompagnava John
Lloyd Stephens nelle sue esplorazioni nello Yucatán: quando venne visto, la
gente, ma anche gli studiosi, non si sapeva capacitare che una tale opera
potesse essere stata fatta da dei "selvaggi" e qualcuno avanzò
persino l'ipotesi che potesse essere dell'antica Grecia, edificata da
qualche equipaggio di una qualche nave greca approdata fin là. D'altra
parte questi atteggiamenti non ci devono meravigliare molto, se l'arco di
Kabáh disegnato venne definito per quasi un secolo «...la
sedicente scoperta...».
Naturalmente Labná non è solo l'arco, anche se questi è l'edificio più
famoso: visitiamo infatti el Mirador, in cima ad una piramide. Più
che visitarlo, lo vediamo, in quanto non è raggiungibile non essendo
possibile salire sulla piramide semidistrutta.
El
Mirador, dove iniziava il "saché", la strada
cerimoniale che giungeva fino ad Uxmal.
Si tratta di un tempio che data la sua struttura deve essere sembrato ai
primi esploratori una torre di guardia (da cui il nome che gli
attribuirono di el Mirador).
Poi ci sono il palazzo, templi ed edifici minori, piattaforme, una sessantina
di chultunes, bacini d'acqua piovana per l'uso degli abitanti della
città e soprattutto il saché, la strada sacra cerimoniale
rialzata che qui unisce anche alcuni templi fra di loro.
Il
Palazzo di Sayil.
Ritornando lungo la deviazione che
avevamo percorso prima, ci fermiamo a Xlabpak (centro noto anche come Xlapak nelle
indicazioni stradali e nelle guide).
A Xlabpak, immerso nella foresta, arriviamo all'unico edificio abbastanza
rilevante che ci mostra sulla sinistra due mascheroni di Chac dal naso a
proboscide ed altri tre, sistemati ad angolo sulla destra. Sul frontone,
in posizione centrale, un motivo geometrico in rilievo evidenzia una
immagine di Chac fortemente stilizzata.
C'è anche un sentiero appena segnato che prosegue oltre: noi lo
percorriamo.
La vegetazione è fitta, non devono essere molti quelli che lo percorrono:
vediamo pietre disseminate tra le radici delle piante e poi giungiamo ad
una specie di collinetta, alta 7-8 metri, dalla quale emergono altri
blocchi di pietra con tracce di una decorazione per noi non decifrabile.
Da qui, l'impenetrabilità della foresta, ci costringe a ritornare sui
nostri passi.
Un
edificio nascosto nella foresta dello Yucatán nel sito di
Xlabpak (o Xlapak).
Si potrebbe dire: tutto qui?
Eppure anche questa visita è piaciuta molto a tutti. In primo luogo, come
prima a Kabáh ed a Labná, siamo soli nella vegetazione, senza la
presenza delle frotte di turisti che imperversano nei luoghi di maggiore
richiamo. Siamo soli nel silenzio (e paradossalmente tra i rumori) della
foresta.
Poi questo percorrere sentieri per giungere quasi inaspettatamente ad una
rovina maya ci fa un po' vivere l'avventura che devono aver vissuto i
primi esploratori che scoprirono questi luoghi centocinquant'anni fa. Ed
ancora possiamo vedere come la forza della natura sia riuscita a
cancellare, devastandoli, i segni posti dall'uomo: enormi radici che si
sono riappropriate dei propri spazi, incuneandosi tra le pietre fino a
sgretolarle, sconquassando mura ed edifici.
Una visita di grande suggestione.
Rientriamo nel nostro autobus ed in cinque minuti siamo a Sayil. Anche se
questi centri non avevano l'importanza o le dimensioni di Uxmal e di altri
che visiteremo nei prossimi giorni, il fatto che siano così concentrati e
vicini dimostra quanto doveva essere sviluppata e fiorente la civiltà che
vi ha dato origine.
A Sayil si ripete, con minime varianti, quello che ci è già successo a Kabáh,
Labná e Xlabpak: essendo gli unici visitatori, l'unico
guardiano-bigliettaio invece di farci pagare i biglietti per tutti, ci
stacca solo un paio di biglietti e tutti gli altri entrano nell'area
archeologica ad una cifra per noi simbolica, ma che diventa un piccolo
guadagno extra per il custode.
A Sayil restiamo più del tempo che avevamo previsto: infatti le rovine
sono tutte relativamente distanti le une dalle altre e per raggiungerle
bisogna percorrere dei sentieri tra la fitta vegetazione, rendendo molto
suggestiva la nostra "esplorazione".
Il primo luogo che visitiamo è naturalmente il palazzo, costruito attorno
al 730 d. Cr., che si eleva su un ampio spazio verde ben curato, l'unico
luogo di Sayil in ordine.
Il Palazzo è veramente una costruzione colossale (ricordiamoci sempre che i
costruttori ignoravano la metallurgia e che i loro strumenti erano
rudimentali ed al massimo di ossidiana). E' disposto su tre piani dove quelli
superiori sono arretrati rispetto ai sottostanti. Il primo piano è in gran
parte distrutto e sepolto sotto le rovine. Il terzo piano, che dovrebbe
essere il tempio principale, presenta delle pareti lisce sulle quali si
aprono delle aperture (non potendoci salire, non abbiamo capito se si tratti
di porte o di finestre).
Il secondo piano è quello più elaborato: è una sequenza di aperture
singole e di aperture larghe che vengono tripartite da delle colonne fornite
di un capitello quadrangolare. La parete tra le varie aperture presenta il
motivo a junquillos con ataduras, cioè la trasposizione in pietra
delle pareti in legno dei primitivi edifici maya, anche abitazioni,
costruiti in legno: si tratta dell'immagine di tronchi rinforzati da
legature che li tengono uniti tra loro. Qui tutto è stato raffigurato nella
pietra.
Un
dettaglio del grande Palazzo di Sayil.
La decorazione a junquillos è presente anche sull'apparato
decorativo della fascia superiore del secondo piano, interrotto da un
mascherone centrale del dio Chac, rappresentato con i denti particolarmente
sporgenti e ripreso anche come decorazione d'angolo, e da una coppia di
serpenti fantastici che si fronteggiano.
Un grande scalone esterno centrale consente di raggiungere i vari piani
dell'edificio che, all'interno, contiene una cinquantina di stanze.
Anche questa città era dotata di chultunes, cioè di cisterne per la
raccolta e la conservazione dell'acqua piovana. Vicino al palazzo è
possibile vederne una che, si dice, può contenere trentamila litri d'acqua.
Ma noi non ci fermiamo solamente al Palacio, che resta indubbiamente
il più importante edificio di Sayil, e percorrendo i vari viottoli andiamo
a cercare altre rovine, più o meno nascoste nella macchia della
vegetazione, delle quali non sappiamo il nome (infatti le guide di viaggio
sono più generose e dettagliate di informazioni relativamente ai complessi
archeologici maggiori, ignorando questi siti turisticamente "minori").
A
Sayil una "cresta" sovrasta quello che resta di questo
tempio detto "el Mirador".
Ci colpisce un edificio immerso nella vegetazione (un tempio?) in quanto
rappresenta in forma quasi perfetta la trasposizione litica
dell'architettura lignea del posto. Le pareti (in pietra) mostrano una serie
di tronchi piantati nel suolo e legati tra loro (junquillos con ataduras)
con il tetto formato da altri giunchi: potrebbe essere, ma è solo una mia
supposizione, che in origine l'edificio fosse stato realizzato
esclusivamente in legno e che poi, deteriorandosi questo materiale naturale,
sia stato ricostruito in pietra a somiglianza del precedente edificio in
legno.
A
Sayil un edificio nella foresta riproduce fedelmente in pietra
quella che doveva essere una costruzione maya in legno.
Fatto sta che grazie anche a questi reperti possiamo avere un'idea di quella
che era una "normale" costruzione maya.
Proseguendo per il sentiero giungiamo fino a el Mirador, un tempio
che è sormontato da una superba "cresta" sul tetto conservatasi
in discrete condizioni.
Poco oltre arriviamo ad una stele che rappresenta, a bassorilievo, una
divinità dotata di un ragguardevole fallo, con grande invidia, per ragioni
opposte, da parte di tutto il gruppo.
Una
stele nei pressi di Sayil: se non fosse per la primitiva copertura di
protezione, parrebbe abbandonata nella foresta.
Ci siamo attardati nella visita di Sayil e raggiungiamo in ritardo il
nostro autobus al parcheggio all'ingresso, con il paziente autista Víctor
Villalobos che ci attende.
Sono almeno due le ore di macchina che ci aspettano per arrivare a
Campeche. Dopo un centinaio di chilometri c'è una deviazione che ci
consentirebbe di arrivare ad Ezná che rappresenta una sorta di annello di
congiunzione tra gli stili Chenes e Puuc, ma il sole è ormai basso e un
po' tutti, anche perché un po' stanchi per l'intensa giornata, decidono
di proseguire diritti. C'è da aggiungere che Umberto continua a non stare
tanto bene e praticamente è sempre rimasto in autobus, saltando le nostre
visite. C'è anche da aggiungere che neppure Raffaella sta benissimo.
Verso le 18.30 arriviamo nel centro di Campeche all'Hotel López, che
avevo prenotato per telefono da Mérida. Ci sono dei problemi di
parcheggio (che l'hotel non ha) perché la strada è stretta e cerchiamo
di essere i più veloci possibile nello scaricare i bagagli dal bus, in
quanto blocchiamo il traffico che a quest'ora è abbastanza sostenuto.
Víctor troverà dove parcheggiare l'autobus per la notte ed intanto lo
invitiamo con noi per la cena di stasera.
L'Hotel López è situato in una costruzione di tipo coloniale, dimostra
una certa decadenza anche nell'arredo: tuttavia è pulito e si respira
un'atmosfera di un certo fascino.
Io approfitto subito del telefono per prenotare per domani l'Hotel Maya a
Palenque e poi, lasciato Umberto a letto, (continua ad avere la febbre e si
è autoprescritto della Novalgina) passeggiando arriviamo tutti assieme al
centro di Campeche, di fronte al mare del golfo del Messico e ci sistemiamo
in uno dei migliori ristoranti della città. il Restaurante Miramar (tra le calles
8 e 61) famoso per le sue specialità di pesce che gustiamo durante una
sontuosa cena.
Prima di rientrare in albergo facciamo una passeggiata digestiva sul
lungomare e lungo i Baluartes.