Ci troviamo a Chichén Itzá, in
una mattina tranquilla, quando ancora non c'è la ressa dei visitatori,
nella grande spianata sulla quale si eleva isolato "el Castillo",
nome dato dagli Spagnoli in quanto sulla sommità di questa piramide
Francisco de Montejo nel 1533 aveva posto il proprio quartier generale (e
forse anche un cannone). Ma in realtà già all'epoca si chiamava
piramide, o tempio, di Kukulkán, come riferisce anche Diego de Landa
nella sua "Relación de las Cosas de Yucatán".
La piramide presenta degli elementi prettamente toltechi, o dell'altopiano
centrale del Messico, come le teste di serpente ai piedi della scalinata
principale, le colonne serpentiformi, il "talud", o piano
inclinato che rinforza la parte inferiore delle pareti del tempio, le
decorazioni in pietra che coronano il tetto sostituendo le
"creste" maya.
La
piramide di Kukulkán, detta anche "el Castillo",
che vediamo a Chichén Itzá è la seconda piramide costruita:
la prima si trova al suo interno.
Il
giaguaro dagli occhi di giada nascosto all'interno della piramide di
Kukulkán altro non è che un trono zoomorfo.
C'è tuttavia, in generale, una delicatezza ed una finezza sconosciute
alla cultura tolteca, come gli angoli arrotondati e certe linee molto
ammorbidite. Una caratteristica particolare è data dalle
quattro scalinate, una per ogni lato della piramide.
Questa è la piramide oggi, ma ricordiamoci che si tratta della seconda
piramide costruita, inglobandone al suo interno una più antica, sempre
del periodo maya-tolteco. Si può raggiungerne la sommità attraverso una
galleria.
Si entra pochi alla volta, data la limitatezza dello spazio: all'interno
si fa veramente la sauna per un caldo umido soffocante che toglie il
respiro (e fa crescere delle muffe verdastre sulle pareti interne del
cunicolo).
Questa piramide interna venne scoperta solo nel 1937 ed ora siamo nella
sala del trono: davanti a noi c'è il giaguaro dagli occhi di giada, un
trono zoomorfo che mostra un giaguaro dipinto di rosso, di stile più maya
che tolteco, le cui macchie sono riprodotte con degli intarsi di giada e
madreperla. Anche la doppia stanza, la volta ed il fregio del tempio
nascosto sono tipicamente maya.
Una
parte delle rovine di
Chichén Itzá viste dall'alto della piramide di Kukulkán, verso la zona
del Tempio dei Guerrieri e del Gruppo delle Mille Colonne.
Saliamo i gradini di una delle
quattro scalinate della piramide. Ci siamo dimenticati di contarli, ma i
gradini sono 91; 91 per le quattro scalinate dà un totale di 364 gradini,
ai quali dobbiamo aggiungere quello che sta all'ingresso del tempio posto
sulla sommità, quindi abbiamo complessivamente 365 gradini, quanti sono i
giorni di un anno.
La
nostra salita sulla piramide di Kukulkán di Chichén Itzá.
Questi ed altri riferimenti astronomici sono rinvenibili a Chichén Itzá,
e sono sicuramente riferimenti maya e non toltechi.
Dall'alto della piramide abbiamo una completa visione di tutta l'area.
Scesi ci dirigiamo verso il tempio dei Guerrieri con a fianco il Gruppo
delle Mille Colonne: quest'ultimo venne costruito in più fasi.
Naturalmente ci ricorda le colonne che stanno ai piedi del Tempio di
Tlahuizcalpantecuhtli nell'area del Palacio Quemado a Tula,
ma qui gli spazi sono stati trattati con maggiore abilità.
C'è una
sorprendente elasticità nel delimitare gli spazi, nel giocare con le
pareti divisorie, nel fare da ponte, e contemporaneamente separare, le due
piazze.
Le
colonne serpentiformi all'ingresso del Tempio dei Guerrieri di Chichén Itzá
Ben altra cosa di Tula, tutto sommato grezza e primitiva: a Chichén Itzá
le colonne sono finemente decorate con motivi che restano toltechi. Qui
l'idea originaria tolteca dell'area con le colonne addossata all'edificio è
mantenuta ma nella realizzazione si è trasfigurata assumendo dei toni di
raffinata eleganza.
La
piattaforma del Gruppo delle Mille Colonne.
Così come è cambiata la copertura: a Tula i Toltechi poggiavano sui
pilastri e sulle colonne gli architravi e sopra di questi un tetto di
legno e paglia; a Chichén Itzá i Maya, sposata l'impostazione tolteca,
la raffinarono: gli architravi sulle colonne sorreggono la volta maya. In
questo modo la volta non è più vincolata dallo spessore dei muri, non si
resta più legati agli ambienti interni stretti e sacrificati, ma
finalmente si riesce a realizzare una sala ipostila.
Il
Chacmol del tempio dei Guerrieri di Chichén Itzá.
Salendo la gradinata che porta al Tempio dei Guerrieri incontriamo la
figura tolteca del Chacmol, mentre sulle pareti esterne della facciata
troviamo tanto elementi locali della tradizione maya, nelle decorazioni e
nei mascheroni di Chac rappresentato con il lungo naso proboscidato
rivolto all'insù, quanto apporti toltechi, quando vediamo bassorilievi
con aquile e giaguari che divorano cuori umani.
L'interno del Tempio dei Guerrieri non è più visitabile, a differenza di
tredici anni
fa. La botola dalla quale si accede attraverso delle scale all'interno del
tempio, dove oltre a bassorilievi e colonne (e mi pare di ricordare anche
delle pitture murali) si potrebbe ammirare la tecnica costruttiva delle
volte, è chiusa con un lucchetto. Probabilmente è interdetta alla visita
per il gran numero di visitatori che con la loro sudorazione corporea e
conseguente umidità minaccerebbero di deteriorare l'interno.
Passiamo accanto alla Piattaforma di Venere: dietro ci sono degli operai
che stanno estirpando una bassa vegetazione che infesta resti di rovine.
Vediamo anche una scultura che rappresenta una testa del Serpente Piumato
isolata, in mezzo ai rovi.
Stiamo percorrendo un sache, una strada rialzata sacra, che porta
verso il cenote dei sacrifici. I cenote frequenti nello Yucatán: si tratta
di grotte di
origine carsica sulle quali il terreno è collassato aprendo così delle
voragini, anche molto profonde. Ce ne sono anche davanti alla costa, sotto
la superficie del mare, ad esempio davanti al Belize.
Il
cenote dei sacrifici di Chichén Itzá ha un diametro di una sessantina
di metri.
Per gli antichi abitatori dello Yucatán i cenote rappresentavano dei
veri e propri pozzi, delle cisterne naturali d'acqua. Non dimentichiamo che
lo stesso nome di Chichén Itzá significa, appunto, "vicino ai pozzi
degli Itzá": infatti qui c'è anche un secondo cenote, quello
di Xtoloc, chiamato anche cenote civile per distinguerlo da questo
che aveva invece una funzione religiosa.
In questo cenote avvenivano dei sacrifici umani, che si sono
protratti ben oltre l'arrivo degli spagnoli: ce ne parla il frate Diego de
Landa nella sua "Relación de las Cosas de Yucatan": «...tenían
la costumbre de arrojar hombres vivos a este pozo como sacrificio a los
dioses, y creían que no morían a pesar de que no los volvían a ver jamás.
También arrojaban muchas otras cosas, como piedras preciosas y objectos de
valor.»
Il pozzo è largo una sessantina di metri e l'acqua, verdina perché
ristagnante, sta ad una ventina di metri sotto di noi ed è profonda tra i 6
ed i 12 metri. Naturalmente si riempie di più dopo le piogge.
Il cenote è stato più volte ispezionato, dall'inizio del XX secolo
in poi: vi sono stati ritrovati resti di scheletri (anche di un bambino
della presumibile età di diciotto mesi) ed una certa quantità di oggetti
d'oro, pietre preziose, giade, ceramiche, pezzi di metallo, frammenti di
tessuti. Pur appartenendo per la maggior parte alla tarda epoca
post-classica, non sono tutti toltechi: ci sono oggetti maya, ma anche altri
provenienti da lontano, come dalla zona di Panamá.
Il
Gioco della Pelota (sferisterio) di Chichén Itzá.
Ripercorriamo il viale verso la
spianata principale di Chichén Itzá e ci portiamo verso lo sferisterio,
passando accanto alla piattaforma di Venere e quella dei Giaguari e delle
Aquile. L'apparato decorativo è di ispirazione tolteca ed anche la loro
struttura ricorda quella di un'altra piattaforma a Tula, al centro della
piazza principale.
Vicino c'è il Tzompantli, con l'interminabile sequenza di crani
umani impalati che ci ricorda la sua funzione in relazione ai sacrifici
umani.
Un
particolare del basamento dello "Tzompantli"di Chichén Itzá,
con l'ossessiva rappresentazione dei teschi umani.
Giungiamo finalmente allo sferisterio, lungo 168 metri, il più grande, il
più bello e probabilmente anche il più restaurato tra i cinquecento
sferisteri conosciuti finora in Mesoamerica.
Complessivamente sei sono gli sferisteri di Chichén Itzá, ma questo era
il più importante.
Da un lato sorge il Tempio dei Giaguari, nel quale dominano elementi
trattati con grande abilità: le terrazze degli spettatori sono bordate da
un lungo ed interminabile Serpente Piumato che proietta la sua testa al di
là del muro.
Vista
laterale sul Tempio dei Giaguari di Chichén Itzá.
Le
colonne serpentiformi del Tempio dei Giaguari, che si affaccia
sullo sferisterio di Chichén Itzá, sorreggono l'architrave
dell'ingresso.
Le colonne serpentiformi del tempio dei Giaguari presentano le fauci aperte
e la coda a sonagli e sorreggono l'architrave della porta d'ingresso. Un
altro serpente circonda la base del tempio e le teste del rettile, agli
angoli, si lanciano nel vuoto.
Sulle
pareti dello sferisterio c'è la rappresentazione dell'esito cruento
di questi incontri rituali: il vincitore, a sinistra, con il coltello
taglia la testa allo sconfitto. Fiotti di sangue spruzzano dalla testa
e dal corpo decapitato trasformandosi in serpenti: su un disco il
Dio della Morte sembra sogghignare soddisfatto.
Uno
degli anelli dello sferisterio di Chichén Itzá.
Alle pareti dello sferisterio sono infissi gli anelli, decorati con un
intreccio di serpenti. Alla loro base un bassorilievo descrive il sacrificio
alla fine di un incontro rituale di gioco della pelota: alla
presenza delle due squadre, abbigliate di tutto punto, comprese le
protezioni proprie del gioco rituale, uno degli atleti, reggendo ancora il
coltello, sostiene la testa della vittima decapitata dal cui collo spruzzi
di sangue si trasformano in serpenti ed in una pianta con fiori. Sopra un
disco è raffigurata la maschera del Dio della Morte che sembra ghignare,
mentre dalla sua bocca escono eleganti volute a simboleggiare la parola.
In questo modo l'apparato sanguinario rituale dei Toltechi si mischia con
l'arte più colta ed elevata dei Maya nella nuova città di Chichén Itzá.
Alle 9.15 sentiamo il rumore di un aereo che sta atterrando nel vicino
aeroporto di Chichén Itzá: addio pace e tranquillità! Sta portando i
turisti dalle spiagge di Cancún a visitare, con un mordi e fuggi, questo
luogo spettacolare.
Imbocchiamo così il sentiero che ci porta verso la parte meridionale
delle rovine.
Da qui in poi troviamo la vecchia Chichén Itzá, quella preesistente
all'ultima "invasione" tolteca.