La
Piramide della Tomba del Gran Sacerdote a Chichén Itzá.
Imbocchiamo il sentiero che ci
porta verso la parte meridionale delle rovine: da qui in poi troveremo,
con qualche eccezione, la vecchia Chichén Itzá, quella preesistente
all'ultima "invasione" tolteca.
Incontriamo la piramide della Tomba del Gran Sacerdote che si presenta
come un ammasso di rovine: infatti questa non è stata restaurata, ma
comunque è stata esplorata scoprendo in questo modo una grotta sulla
quale venne costruita in stile Puuc con elementi toltechi questa piramide.
Nella grotta venne trovata una sepoltura che si credette appartenesse ad
un importante sacerdote, da cui il nome che venne dato a queste rovine.
Salendo, con attenzione, sui resti della piramide si può scorgere sulla
sua sommità il cunicolo attraverso il quale gli archeologi hanno
esplorato il suo interno scoprendo i resti umani. Per questo motivo il
luogo è anche chiamato ossario.
Sulla
sommità della Piramide della Tomba del Gran Sacerdote si apre
un cunicolo che conduce alla tomba.
La
zona meridionale del sito archeologico di Chichén Itzá è anche
quella più antica: a sinistra spicca la torretta de "el
Caracol", sul fondo verso destra il Palazzo delle Monache .
Vicino c'è una
costruzione detta Casa Colorada, così chiamata dai conquistadores
per via della pittura rossa con cui era dipinto l'interno.
Entro anche io e cerco di vedere i resti di questa pittura aiutandomi con
la torcia elettrica, ma ci vuole molta fantasia per scorgere del rosso; si
vede soprattutto del verde, dovuto a umidità, muffe ed a infiltrazioni
d'acqua. Riesco a vedere anche dei glifi incisi su un architrave, ma
rinuncio a distinguere il rosso.
In questa zona, dove ci sono anche i modesti resti di uno sferisterio, ci
sono le rovine del Tempio del Cervo che deve il suo nome ad un affresco
molto deteriorato di questo animale ancora visibile sul lato posteriore
fino agli anni Venti del XX secolo. Si può salire anche su questo cumulo
di rovine maya e da qui avere una panoramica sulla zona meridionale di Chichén
Itzá.
In questa zona si trovano rovine di altri complessi in stile Puuc
con qualche elemento di ispirazione tolteca.
Giungiamo così davanti ad un altro monumento-simbolo di Chichén Itzá: el
Caracol.
Sappiamo che il suo nome ("caracol" significa chiocciola)
richiama la scala a chiocciola attraverso la quale si può salire ai piani
superiori.
La pianta de "el
Caracol":
al centro è indicata la scala a chiocciola che consente di salirvi:
le linee rosse "A", "B", "C" e
"D" indicano alcuni
allineamenti astronomici.
Si tratta di un osservatorio
astronomico. Oggi vediamo il risultato di quelle che sono state successive fasi di ricostruzioni e
rimaneggiamenti avvenuti in periodo tolteco.
L'edificio presenta una pianta circolare, una forma assolutamente estranea
all'architettura maya classica, se si esclude una torre cilindrica
scoperta nell'area del Rio Bec ancora soggetta a studi, ma presente in
questa epoca nell'altopiano messicano.
Il "Caracol"
di Chichén Itzá era un vero e proprio osservatorio
astronomico.
Questo edificio conserva tutte le caratteristiche costruttive
dell'abilità maya, come le pietre perfettamente lavorate ed incastrate
tra loro, l'uso della volta a mensola, gli elementi decorativi delle
cornici ed i mascheroni di Chac. Ma non mancano gli apporti toltechi:
serpenti piumati, teste di guerrieri toltechi, le sculture decorative che
in origine coronavano l'osservatorio.
Il
corridoio circolare all'interno de "el Caracol".
La
torretta d'osservazione del "Caracol" da dove venivano fatte le osservazioni
astronomiche.
All'interno ci sono due corridoi circolari concentrici attorno ad un corpo
centrale entro il quale gira la scala a chiocciola
Attraverso la scala si raggiunge una stanza, parzialmente distrutta, che
doveva essere il cuore dell'osservatorio: le finestre che ancora esistono
sono allineate su traguardi astronomici significativi.
Il
corridoio circolare all'interno de "el Caracol".
Il
Palazzo (o Casa) delle Monache (in spagnolo "Edificio de las Monjas")
a Chichén Itzá.
Continuiamo ad avanzare verso Sud; guardandoci alle spalle vediamo che
la grande spianata della piramide di Kukulkán si sta animando di turisti:
sono quelli arrivati con i voli da Cancún. Finora siamo stati pressoché
soli ed indisturbati a visitare le rovine ed abbiamo messo un buon spazio
tra noi e loro.
Mentre siamo diretti al Palazzo delle Monache penso che possiamo restare tranquilli: la maggior parte di quei turisti si
fermerà a el Caracol; saranno pochi quelli che proseguiranno.
Gli edifici in mezzo ai quali ci troviamo sono quelli più antichi di
questa zona e pertanto non sono stati toccati dalla successiva influenza
tolteca: sono in stile maya classico, Puuc e Chenes.
Il Palazzo (o Casa) delle Monache (Edificio de las Monjas)
naturalmente non ha mai ospitato alcuna suora: il gran numero di stanze e
celle al suo interno ha indotto i conquistadores ad assimilarlo ad
un convento.
D'altra parte ci sono veramente tantissime stanze, tanto è vero che
alcune di queste furono occupate nel 1889 dall'esploratore inglese Alfred
Percival Maudslay (1850 - 1931) che vi si sistemò durante la sua
esplorazione del sito: esiste una sua famosa fotografia che lo ritrae in
una di queste stanze, dalla caratteristica volta a mensola, mentre seduto
ad un tavolino sta scrivendo degli appunti.
L'esploratore
inglese Alfred
Percival Maudslay fotografato all'interno del Palazzo delle Monache dove
aveva sistemato il proprio quartier generale.
L'edificio
più antico nascosto dentro il Palazzo delle Monache: venne scoperto
per errore.
Il
Palazzo (o Casa) delle Monache (in spagnolo "Edificio de las Monjas")
a Chichén Itzá.
Oggi si ritiene generalmente che questo edificio fosse una sorta di corte
del sovrano di Chichén Itzá.
Una carica di dinamite troppo potente fece fare un'altra scoperta.
Si stava disboscando la foresta per liberare le rovine dall'invasione di
piante e radici aiutandosi anche con piccole cariche di esplosivo. Fu mal
calcolata la potenza di una carica di dinamite che così, oltre ad abbattere
gli alberi, danneggiò il Palazzo delle Monache facendone crollare
parte dell'angolo occidentale. Si venne a scoprire in questo modo che
l'edificio visibile ne nascondeva un altro al suo interno: si trattava di un
edificio preesistente più antico che fu poi conglobato nel successivo
attuale palazzo.
La ferita inferta dalla dinamite è ancora visibile, come è visibile
l'edificio più vecchio sottostante liberato dall'esplosivo. Basta sapere
dove andare a guardare.
Una
immagine d'assieme del "Templo de los Tableros" di Chichén Itzá.
Sul lato opposto, quello orientale del palazzo delle Monache, troviamo una
serie di costruzioni in stile Puuc e Chenes.
Un gioiellino è rappresentato dalla piccola costruzione detta Iglesia
dove non solo la decorazione presenta mascheroni di Chac con figure zoomorfe
stilizzate di serpenti, armadilli e tartarughe, ma si innalza poggiata sulla
facciata una "cresta", la cosiddetta "cresta volada".
La
facciata (purtroppo in ombra) della "Iglesia" di Chichén
Itzá.
Girando attorno incontriamo ancora il Templo de los Tableros e, quasi
immerso nella foresta, lo Akab-Dzib: è un complesso composto da
diciotto stanze. Deve il suo nome ad una iscrizione incisa sopra una porta
che a tutt'oggi non è stata decifrata: Akab-Dzib significa infatti
"scrittura oscura". Viene ritenuta la più antica costruzione di Chichén
Itzá. Alcuni ambienti risalirebbero al secondo secolo della nostra era.
Volendo visitarli, ci sarebbero dei resti della vecchia Chichén Itzá (Chichén Viejo)
ad una mezz'ora di strada da percorrere a piedi, ma sarebbe consigliabile,
per non correre il rischio di perdersi, disporre di una guida. Inoltre la
nostra visita si è già protratta per oltre tre ore.
Rientriamo dunque in albergo a recuperare i bagagli che avevamo lasciato in
deposito e prendiamo la strada verso Mérida.
Un
porticato costruito sopra una tomba del cimitero di Hoctún con Gesù
e due angeli.
Il viaggio durerebbe solo un'ora e mezza, ma così saremmo con esagerato
anticipo all'aeroporto per il volo su Città del Messico. Quindi lo
compiamo con estrema tranquillità, senza fretta, ed infatti subito a
Piste ci fermiamo per mangiare, fare qualche acquisto di artigianato,
tequila, souvenir, magliette, tappetini...
A Libre Union ci fermiamo ancora: proprio a fianco della strada c'è un
piccolo cenote che sembra abbastanza profondo. Come ho
già detto i cenotes sono un fenomeno geologico molto frequente
nello Yucatán, e questo lo testimonia.
Il
piccolo cenote di Libre Union, vicino alla strada che porta a
Mérida.
Qualcuno scopre in un negozio di alimentari nei pressi del cenote un miele
artigianale molto buono, così tutto il gruppo si mette in fila per
acquistare questo miele!
A Hoctún ci fermiamo nuovamente. Infatti la strada passa a fianco del
cimitero di questo paese e, attirati dalla stranezza e dai colori delle
tombe, chiediamo a Víctor di fermarsi.
Le
bizzarre tombe del cimitero di Hoctún.
Il
motivo più ricorrente per le tombe del cimitero di Hoctún è
la piramide di Kukulkán.
Nel
cimitero di Hoctún c'è anche una tomba con sopra un porticato
con orologio.
Passeggiando per il cimitero di Hoctún vediamo le tombe dalle forme più
bizzarre: più comuni sono le tombe con sopra la riproduzione della
piramide di Kukulkán, a volte con l'aggiunta sulla sommità di un
angioletto addolorato in preghiera, ma c'è anche la tomba a forma di
palazzo municipale, con l'orologio pubblico, quella con la riproduzione di
una casa in stile alpino, o quella con un portico, per non parlare della
tomba sovrastata dalla Torre Latinoamericana, il grattacielo di Città del
Messico! Insomma, tombe un po' strane e comunque sempre colorate con tinte
vivaci.
Una
tomba fatta a forma di casetta.
Tra
tutte le tombe del cimitero di Hoctún spicca quella a
forma della Torre Latinoamericana, il grattacielo di Città
del Messico.
Poco prima delle quattro siamo all'aeroporto di Mérida. Ci salutiamo con Víctor
Villalobos che è stato un ottimo autista, riservato, disponibile,
puntuale e preciso, da consigliare veramente a tutti.
Il volo MX 300 della Mexicana in un'ora e mezza ci porta a Città del
Messico. All'aeroporto prendiamo 4 taxi, che prenoto anche per domani per
fare il percorso inverso, che ci portano all'Hotel Avenida, lo stesso dove
eravamo stati all'inizio di questo viaggio, che avevo prenotato prima di
lasciare Città del messico dieci giorni fa.
Prenoto anche la camera per Raffaella ed Antonella per quando ritorneranno
dal loro prolungamento sulle spiagge dei Caraibi e prenoto una camera
anche per me, per quando tornerò dal mio prolungamento a Guadalajara. I
taxi per domani sono già fissati e con una telefonata prenoto per noi il
ristorante
Sanborn's, che avevamo già frequentato più volte, trovandoci sempre
benissimo.
Concludiamo così questo bellissimo viaggio con uno stupendo gruppo di
compagni con una lussuosa cena da Sanborn's.
La cronaca delle ultime ore del giorno dopo è la cronaca dei saluti.
Sveglia alle sei ed alle sette i quattro taxi che avevo prenotato sono
puntuali al nostro albergo. In quaranta minuti siamo all'aeroporto.
Un compagno del gruppo si fermerà poi a New York, io avrò il volo per
Guadalajara alle 9.10, le ragazze di Rovigo, Antonella e Raffaella, sono
ancora sul mare dei Caraibi e rientreranno posticipate di una settimana, i
rimanenti hanno il volo per l'Italia.
Al check-in ci separiamo: loro lo fanno per New York, io lo ho su
Guadalajara.
Prima che loro entrino nell'area dei voli internazionali (il mio è un
volo nazionale) ci scambiamo gli ultimi saluti ed abbracci. Ci siamo già
dati appuntamento per un incontro di fine viaggio sulla riviera romagnola.
Lasciati così i miei compagni di viaggio nell'area dei voli
internazionali dell'aeroporto di Città del Messico, mi dirigo nella zona
dei voli nazionali per imbarcarmi sul volo delle 9.10 della Mexicana per
Guadalajara. Là incontrerò Gemma, sua sorella Anna alla quale due giorni
fa è nato il suo secondo figlio, quando io ero a Chichén Itzá, e la
famiglia di lei.