Il
nostro autobus a Campeche, davanti alla Hotel López, con il nostro
autista Víctor Villalobos in attesa di caricare i nostri bagagli per la
partenza.
Alle 8, bloccando come al solito
il traffico della Calle 12, carichiamo velocemente i bagagli sul bus ed
alle 8.20 Víctor mette in moto.
La strada costeggia per ampi tratti il golfo del Messico fino a Champotón,
dove ci fermiamo per fare rifornimento di gasolio e poi deviamo verso
l'interno fino ad Escárcega.
Ad Escárcega non c'è praticamente nulla: un incrocio, una stazione di
servizio, quattro case, alcuni baracchini lungo la strada ed un albergo,
probabilmente per camionisti con dotazione di "signorine"
gentili. Tuttavia mi fermo per prenotare le camere per noi per quando
ripasseremo di qui provenienti da San Cristobál diretti verso Quintana
Roo.
La sosta è solo di un quarto d'ora e poi siamo di nuovo in viaggio: alle
13 attraversiamo il ponte sul Rio Usumacinta. Poco prima delle 14 siamo
già a Palenque: all'Hotel Maya, data l'ora, le camere non non sono ancora
pronte, ma facciamo sistemare almeno Umberto con la febbre e Raffaella:
anche lei oggi con la febbre a 39.
L'autobus in un primo momento sembra non aver voglia di ripartire, ma alla
fine, scesi tutti a spingerlo, si rimette in moto e Víctor ci porta
all'ingresso dell'area archeologica di Palenque.
La
piramide con il Tempio delle Iscrizioni: in primo piano, un po'
sulla sinistra, "el palacio" del quale si vede la torre.
Mentre visiteremo le rovine,
l'autista porterà l'autobus da un meccanico: potrebbe essere un problema
del motorino di avviamento oppure del blocco della chiave. E' con una certa eccitazione che ripercorro, dopo tredici anni, la strada
che porta verso le rovine. So già che, in fondo a destra, preceduta da
altri edifici tra cui il Tempio del Teschio (Templo de la Calavera),
rivedrò la piramide del Tempio delle Iscrizioni.
A differenza di Uxmal,
noi non conosciamo come i Maya chiamassero originariamente questa loro
città. Qui vicino, a tredici chilometri di distanza, sorgeva il villaggio
di Santo Domingo del Palenque, fondato nel 1564 dal padre missionario
domenicano Pedro Laurencio. Il villaggio era protetto da una palizzata e quando vennero scoperte le rovine vennero chiamate Palenque
dai primi esploratori.
Quando arrivo ai piedi della scalinata mi guardo attorno. Riconosco la
stessa vegetazione verde, le stesse colline che formano una scenografia
sempre bella e piacevole con piani di diverse altezze: la piattaforma
artificiale del Palazzo, la collina davanti alla quale emerge la piramide
del Tempio delle Iscrizioni, una collina più alta che è già un primo
contrafforte della Sierra de Chiapas, segnata dalla presenza dei Templi
della Croce, del Sole e della Croce Fogliata mentre a sinistra c'è un
piano più basso che viene quasi sbarrato in fondo dall'altro terrapieno
del Gruppo Nord.
Il
sito archeologico di Palenque.
Tutto attorno c'è la foresta sempreverde percorsa dal Rio Otolum, un
piccolo affluente del Rio Usumacinta che avevamo attraversato su un ponte
neppure due ore fa.
I Maya erano intervenuti sul Rio Otolum, dividendolo in due rami, dei
quali uno era stato canalizzato in una galleria coperta da volte a mensola
che attraversava il centro cerimoniale, tra il Palazzo ed il Tempio della
Croce.
Quello che è cambiato, nel mio ricordo della visita che feci tredici anni
fa, è l'affluenza dei visitatori: ne ricordavo molto meno ma, si sa, il
turismo si diffonde sempre più e chissà come saranno queste località
fra altri tredici anni!
Il
cunicolo all'interno della piramide del Tempio delle Iscrizioni di
Palenque.
Naturalmente la nostra visita
inizia proprio dalla piramide del Tempio delle Iscrizioni, uno dei
maggiori edifici di Palenque.
Saliamo i gradoni della piramide e giungiamo sulla piattaforma sulla quale
è costruito il Tempio delle Iscrizioni.
La
piramide del Tempio delle Iscrizioni a Palenque.
Da qui abbiamo una vista totale sulle rovine ed apprezziamo anche il
paesaggio complessivo con questa specie di anfiteatro di verde costellato
dal grigio degli edifici maya. Gli ambienti all'interno del tempio sono relativamente spaziosi, in
confronto ad altri che abbiamo visto nell'architettura maya. Infatti a
Palenque i costruttori sono riusciti a realizzare degli spazi più ariosi,
da un lato alleggerendo all'interno il muro che divide la galleria
anteriore da quella posteriore, dall'altro non facendo gravare il peso
della "cresta" dell'edificio sul muro posteriore (che in questo
modo risultava di grande spessore, massiccio e senza aperture), bensì
costruirono le "creste" degli edifici al centro del tetto,
traforandole per dare leggerezza e facendo scaricare il loro peso sul muro
divisorio interno delle due gallerie.
Entriamo nel tempio attraverso una delle cinque ampie porte: il secondo
vano del tempio conserva una parete fittamente scolpita con 620 glifi che
raccontano la storia del luogo. Si tratta di una delle più lunghe
iscrizioni maya che sia pervenuta a noi, assieme a quella della
Scala dei Geroglifici
di Copán, in Honduras.
Proprio per questa lunga sequenza di glifi, dai quali veniamo a sapere che
il tempio venne edificato nel 692 d. Cr., il tempio venne chiamato
"delle iscrizioni".
Ma l'unicità di questo tempio proviene da un altro fatto. Proprio qui,
dove ci troviamo ora all'interno del tempio, l'archeologo messicano
Alberto Ruz Lhullier nel 1949 scoprì un cunicolo occultato da una grossa
lastra di pietra. La lastra venne rimossa lasciando intravedere delle
scale che scendevano all'interno della piramide; tuttavia tutto era stato
ostruito da macerie. Ci vollero quasi tre anni di tempo per rimuovere
tutte le rovine e liberare le scale ed i corridoi, giungendo così
ad un muro interno con un deposito di offerte e, dietro, la sepoltura di
cinque uomini ed una donna, a guardia di un altro sepolcro e compagni nel
viaggio nell'aldilà di un altro personaggio. Infatti rimovendo una grossa
lastra trapezoidale Alberto Ruz scoprì una cripta segreta nel cuore della
piramide.
Il
sarcofago di Pacal all'interno della cripta nella piramide del Tempio
delle Iscrizioni.
In generale, nelle culture
mesoamericane, la piramide è solo il basamento fatto per innalzare il
livello del tempio. Nel caso di Palenque ci troviamo di fronte ad un
edificio costruito intenzionalmente per occultare la tomba di un
personaggio, la cui importanza è stata capitale nella storia della città
(oggi sappiamo che si tratta di Pacal). Oppure il luogo di questa
sepoltura, di un personaggio tanto importante, è stato ritenuto tanto
sacro da dovervi costruire sopra un tempio che lo inglobasse.
A differenza di alcune sepolture che sono state introdotte posteriormente
all'interno di altri edifici precolombiani, questa è una tomba che è
stata progettata per restare nascosta sotto l'enorme costruzione della
piramide del Tempio delle Iscrizioni.
Scendiamo dunque anche noi per le scale che ci portano nel luogo più
segreto della piramide.
Si scende diritti per il cunicolo coperto da una successione di volte a
mensola, fino a raggiungere un corto corridoio, praticamente con le
funzioni di pianerottolo, dove si aprono due gallerie di ventilazione che
prendono l'aria da un piccolo patio nascosto all'esterno. Dentro comunque
l'aria è molto calda e piena di umidità.
Da questo pianerottolo le scale continuano nella direzione opposta, fino a
giungere ad un livello più basso della base esterna della piramide: siamo
in pratica sottoterra, con tutto il corpo della piramide sopra di noi.
Ci affacciamo finalmente sulla cripta nascosta, che misura sette metri di
lunghezza, 3,75 di larghezza massima ed è alta sette metri.
Qui torno a vedere, dopo 13 anni, il grande sarcofago ricavato da un unico
blocco di pietra e coperto dalla grande lapide scolpita di 3,80 metri di
lunghezza, 2,20 di larghezza e di 23 centimetri di spessore.
La
cripta all'interno della piramide del Tempio delle Iscrizioni
che contiene il grande sepolcro di Pacal, fotografata 13 anni
fa nel 1980.
Così
si presenta oggi la cripta ed il sepolcro con la lastra
tombale di Pacal.
Quando venne sollevato il coperchio, del peso di circa 8 tonnellate, si
scoprirono i resti dell'importante personaggio che vi era adagiato (ormai
unanimemente ritenuto Pacal), il cui scheletro era ricoperto di gioielli
di giada, perle, ostriche perlifere ed oggetti simbolici.
Sulla lastra vennero rinvenute due piccole teste modellate in stucco,
alcuni vasi e monili.
I muri della cripta sono decorati con i rilievi in stucco di nove
personaggi, che forse rappresentano i Bolontikú, ovvero i Nove
Signori della Notte della mitologia maya.
Si resta sempre stupefatti di fronte ad una tale opera, tenuto conto dei
limitati mezzi tecnici a disposizione dei costruttori, che ignoravano la
metallurgia e dovevano fare i conti anche con l'enorme pressione
esercitata sulla cripta dalla massa della piramide.
Non ne sono certo, ma rispetto a tredici anni fa, ho l'impressione che la pietra tombale sia stata
alzata di una decina di centimetri, forse per permettere ai visitatori di
osservare il sarcofago sottostante; ma forse è solo una conseguenza del
tempo trascorso che ha affievolito il mio ricordo. L'illuminazione è sempre radente, per
mettere in risalto i dettagli del bassorilievo.
Sappiamo che su questo sarcofago, anni addietro, si sono scatenati i
fanta-scrittori, come Erich von Daniken, attribuendo origini
extraterrestri al povero Pacal che, nella pietra tombale, sarebbe
raffigurato come un astronauta: non so se ci siano ancora nostalgici di
queste fiabe, ma la conoscenza della mitologia maya e l'evidenza dei fatti
non può che tenerci con i piedi sulla nostra cara, vecchia, Terra!
Il
Tempio del Sole con la sua bella "cresta" traforata.
Ripercorriamo in senso inverso le scale da dove eravamo scesi e finalmente
possiamo ricevere una boccata d'ossigeno, dopo il caldo soffocante che
abbiamo patito là sotto, appena riemersi sulla sommità della piramide.
Da qui ridiscendiamo per portarci alla visita di un gruppo di templi
abbastanza vicini tra loro, cominciando dal Tempio della Croce.
E' un bel tempio, sormontato da una leggera "cresta" traforata,
della quale si ignora il significato. Come già detto, a Palenque le "creste"
sugli edifici (non solo religiosi, ma anche civili, come dimostrano delle
tracce visibili sul Palazzo) non erano collocate in corrispondenza del muro
posteriore, ma al centro del tetto, dove c'era il muro interno di sostegno
che divideva i due corridoi.
Il Tempio della Croce a
Palenque.
A Palenque troviamo un'altra caratteristica: a differenza di molte località
maya nelle quali c'è stata un'abbondanza di produzione di stele, qui i
fatti importanti sono ricordati da grandi lapidi messe a rivestimento dei
muri di alcune stanza, come ad esempio la Lapide degli Schiavi che ho
fotografato nel mio precedente viaggio
nel piccolo museo annesso all'area archeologica.
Anche il Tempio della Croce (Templo de la Cruz), come gli altri
vicini, aveva questi bassorilievi ed è proprio una di queste lastre a dare
il nome all'edificio, che era stato chiamato nel 1840 dall'esploratore John
Lloyd Stephens semplicemente "Casa n. 2". Il motivo ornamentale
della lastra era una croce posata sopra due ossa mandibolari: sopra era
raffigurato un quetzal, l'uccello sacro dei Maya, ed a fianco due
personaggi. Questa lastra, che diede il nome de la Cruz al tempio in
cui era collocata, all'epoca diede origine a dispute accese da parte di
coloro che avevano interpretato la "croce" in senso cristiano:
sarebbe stata la prova che popoli cristiani erano vissuti in America prima dell'arrivo di
Cristoforo Colombo! Ma questi non avevano visto che la "croce" dei
Maya non era quella dei cristiani: era solo un albero stilizzato, con i
simboli della morte (le ossa) e del sole (il quetzal) quadripartito secondo
le quattro parti dell'universo (o i quattro punti cardinali).
Meglio conservato è il vicino Tempio del Sole che deve il suo nome ad una
lastra verticale, ritrovata al suo interno, che rappresentava due figure che
offrivano doni al dio Sole, dalle sembianze di una faccia dalla quale
sporgeva una lingua a forma di serpente.
Il
Tempio della Croce Fogliata di Palenque.
Figure
in bassorilievo nella corte Est de "el Palacio" di Palenque.
Dopo aver visto all'esterno anche
il Tempio della Croce Fogliata (Templo de la Cruz Foliada),
ridiscendiamo dalla collina passando accanto ad altre rovine minori che
non sappiamo interpretare e ci portiamo al Palazzo (el Palacio), un
complesso intricato di edifici costruiti in epoche diverse sopra una
piattaforma artificiale per salire la quale c'è un'ampia gradinata.
Qui gli edifici sono disposti in modo da ottenere quattro corti interne e
sopra di tutto si eleva di una quindicina di metri la torre di tre piani a
sezione quadrata, unico esempio di questo tipo nell'architettura maya.
"El
Palacio" di Palenque con la sua caratteristica torre a
base quadrata.
La sua funzione probabilmente era duplice: poteva servire da torre
d'avvistamento, in quanto da qui si domina la pianura verso nord, con un
angolo di osservazione molto ampio; ma poteva essere usata anche come
osservatorio astronomico.
Tra le curiosità c'è da segnalare che esistono dei gradini di pietra che
collegano il primo piano della torre al secondo e quest'ultimo al terzo,
ma mancano quelli per salire al primo piano.
Un'altra particolarità de el Palacio è quella che in tre delle
facciate esterne esistono delle gallerie che, costruite in epoche diverse,
finiscono con il formare come una galleria unica, continua, attorno
all'edificio: in questo modo si poteva circolare e, stando al coperto,
raggiungere ciascuna delle quattro corti interne.
Queste gallerie, o corridoi, hanno la tipica volta a mensola
dell'architettura maya.
Molti sono i particolari architettonici che meritano di essere osservati:
un arco di accesso ad uno degli edifici de el Palacio a forma
trilobata, l'iscrizione sul basamento di un'altra costruzione che copre la
parte centrale della scala o i personaggi scolpiti su lastroni di pietra
della corte Est, una piccola finestra a forma di "T" messa in
risalto da motivi a stucco che conservano ancora in parte i colori
originali.
Durante
la passeggiata nella foresta, costeggiando il Rio Otolum, incontriamo
delle rovine vicino al sentiero.
A Palenque i bassorilievi in stucco sono stati usati abbondantemente: li
abbiamo visti sul Tempio delle Iscrizioni, nei templi della Croce e del Sole
e qui, nel Palazzo, sui muri che sostengono il tetto dei corridoi che
circondano il gruppo dove si succedono varie scene di carattere liturgico,
circondate da arabeschi con eleganti motivi floreali alternati da mascheroni
e teste di divinità.
Segnalo una piccola curiosità: quando qui giunse nella primavera del 1840
l'esploratore John Lloyd Stephens, questi scoprì sulle pareti de el
Palacio le "firme" di alcuni precedenti visitatori. C'era
quella del conte Waldeck, ormai scolorita, con accanto il disegno di una
donna e sotto la data «1832», quella del capitano John Herbert Caddy e di
Patrick Walker, che vi erano arrivati pochi mesi prima, e di Noah O. Platt,
un mercante di New York alla ricerca di legname.
La nostra visita prosegue, senza lasciare "firme", spingendosi
verso nord: qui ci sono alcune costruzioni minori, il Tempio del Conte e, su
un differente terrapieno artificiale, i tre tempietti che costituiscono il
Gruppo Nord.
Il
Tempio del Conte di Palenque, così chiamato a ricordo dello
stravagante conte Jean-Frédéric Maximilien conte de Waldeck.
Il Tempio del Conte è stato così battezzato in onore di un personaggio
stravagante, un certo Kean-Frédéric Maximilien conte de Waldeck
(1766-1875) che si era addirittura costruito una capanna tra le rovine di
Palenque, dove visse per due anni tra il 1831 ed il 1833 per studiarle e
cercare di interpretare la scrittura maya.
Arriviamo al piccolo museo del sito. Il sentiero prosegue oltre in leggera
discesa: decidiamo assieme di fare questa piccola passeggiata nella foresta
circostante.
Si passa il Rio Otolum attraversando un ponte e si cammina per la
foresta incontrando delle rovine sparse, mentre riecheggiano le urla delle
scimmie.
Il fiume si allarga ed in fondo vediamo una piccola cascata: ci avventuriamo
sul fiume per le rituali foto. Questo luogo è conosciuto come il Bagno
della Regina.
Una
cascatella formata dal Rio Otolum nella foresta nei pressi delle
rovine di Palenque; questo luogo è chiamato il Bagno della
Regina.
Il sentiero prosegue ed inaspettatamente ci troviamo sulla strada asfaltata,
quella che porta all'ingresso principale del sito! Certo che se uno sapesse
in anticipo questa possibilità, potrebbe tranquillamente entrare da qui
senza pagare il biglietto, visto che poi all'interno dell'area non c'è
alcun controllo.
L'ultimo tratto della nostra passeggiata, che complessivamente è durata
un'ora, si svolge sull'asfalto e così torniamo al parcheggio dove c'è Víctor
ad attenderci con il bus, un po' perplesso nel vederci arrivare da un'altra
direzione.
Poco dopo le cinque siamo in albergo: Raffaella ed Umberto, i nostri
ammalati, hanno sempre un po' di febbre ma si sentono decisamente meglio.
Noi prendiamo possesso delle nostre camere ed io telefono a San Cristobál
de las Casas per prenotare l'albergo per domani sera.
Poi si esce tutti, si passeggia per il centro di Palenque e ci si ritrova
proprio allo Zócalo al Restaurante Maya, tipico luogo di ritrovo per
i viaggiatori che qui si incontrano per scambiarsi impressioni e consigli di
viaggi: cena eccellente!