E'
stato un viaggio di ripiego.
L'idea originaria era quella di raggiungere Kathmandu via terra: "KK"
era chiamato dai viaggiatori quel percorso, da Kabul a Kathmandu, una
tappa dell'«Hippy Trail» che partiva da Londra per spingersi alla
capitale del Nepal e magari anche più in là, nel Sud-Est asiatico e qualcuno arrivava anche in Australia.
Mi sarei accontentato, anche per motivi di ferie dal lavoro, di
raggiungere Kabul in aereo e da qui, via terra, dopo aver visitato Bamyan,
i laghetti color cobalto di Band-i-Amir ed essermi diretto a Nord
per Mazar Sharif e Balkh, una delle città più antiche al mondo, scendere
in Pakistan attraverso il Kyber Pass, e poi ancora Peshawar, i resti
archeologici di Taxila, la vecchia capitale Rawalpindi e la nuova
Islamabad, Lahore ed in India Chandigar, Delhi, Amber, Jaipur, Agra,
Jhansi, Khajuraho, Allahabad, Benares entrando in Nepal e finalmente
Kathmandu.
Ma l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel dicembre 1979 cambiò il
panorama geopolitico di quella parte del mondo e non sarebbe stato
possibile realizzare quell'itinerario.
Ecco dunque che nasce questa facile alternativa: il Nepal con la valle di
Kathmandu abbinato ad una visita a Sri Lanka ed una settimana di relax
alle Maldive.
Un viaggio interessante, intenso, anche senza il sapore dell'«Hippy Trail».
Viaggio effettuato nel dicembre 1980 - gennaio 1981
Il nostro viaggio inizia a
Francoforte, dove eravamo arrivati la sera prima, con il volo 002 della
Pan American, in ritardo di due ore.
Decolliamo solo alle 14.30 su un Boeing 747 e dopo otto ore di volo
atterriamo a Nuova Delhi quando sono le tre (ora locale) del giorno dopo,
per via del gioco dei fusi orari: siamo a più quattro ore e mezza
rispetto all'Italia.
Assonnati recuperiamo i nostri bagagli ed andiamo al banco della Royal
Nepal Airlines dove non risultiamo nella lista dei passeggeri.
Ci mettiamo quindi in lista d'attesa mentre intanto cerchiamo di
convincere le addette al chek-in sul fatto che dobbiamo risultare
prenotati su quel volo, mostrando i nostri biglietti aerei: ma nei loro
telex non c'è traccia del nostro gruppo.
Anche altri viaggiatori che sopraggiungono dopo di noi non risultano confermati
sul volo: tutti quindi nella lista d'attesa che si allunga.
Alla
fine scopriamo che la lista dei passeggeri semplicemente non esiste:
viene fatta una lista d'attesa e un'ora prima del volo questa si trasforma
in lista dei passeggeri.
Possiamo così partire in perfetto orario alle 8.40. Il volo per Kathmandu
dura poco più di un'ora, e mentre ci avviciniamo alla catena Himalayana
subiamo molti sobbalzi per vuoti d'aria improvvisi che fanno desistere le
hostess dal servire il tè a bordo.
Finalmente atterriamo a Kathmandu dopo circa ventiquattro ore da quando
eravamo in attesa della partenza all'aeroporto di Francoforte.
Il
mitico Valley View di Kathmandu.
E' curioso: tra India e Nepal ci
sono dieci minuti di differenza di fuso orario e così siamo a più 4 ore
e 40 minuti rispetto all'Italia.
Il
nostro arrivo a Kathmandu. La strada dall'aeroporto alla
città.
Recuperati i bagagli, assaliti da ragazzi, tassisti, intromettitori improvvisati, entriamo in tre taxi, pigiati assieme ai bagagli
(al punto che non si riesce neppure a chiudere lo sportello del
bagagliaio), e ci facciamo portare al mitico Valley View Hotel, per tanti
anni punto di riferimento di migliaia di viaggiatori alternativi.
Nonostante la facciata sia stata, almeno in parte, rinfrescata, l'interno
ha conservato l'aspetto di un tempo: nelle camere le
pareti sono dipinte con vernice ad olio di un azzurro/verdolino
indefinibile, impianti elettrici con fili a vista fissati con piccoli
isolatori di ceramica che da noi sono entrati da anni nella categoria del
modernariato, pesanti mobili scuri d'annata.
Anche la cucina, dove preparano la colazione del mattino, sarebbe meglio
non guardarla: pareti sporche dove la sporcizia si è incrostata a strati negli
anni, fornelli a petrolio posati a terra assieme a pentole di alluminio
annerite dall'uso, bicchieri di vetro opacizzati dall'unto posati un po'
ovunque.
La
cucina del Valley View.
Un
tempietto al centro di un piccolo cortile.
Dopo
aver scaricato i bagagli e dopo aver preso possesso delle nostre camere,
vogliamo destinare le poche ore di luce che ancora abbiamo per fare un
giro d'orientamento verso il centro di Kathmandu.
Oltre ad esserne la capitale, Kathmandu è anche la più grande città del
Nepal. Anticamente il suo nome era Kantipur e si trova alla confluenza del
Vishumati con il Bagmati, fiume sacro per gli indù. Il Valley View Hotel
si trova proprio vicino a quest'ultimo fiume.
Chiediamo indicazioni per raggiungere il centro della città: ci
indirizzano per delle stradine strette che, ogni tanto, sbucano su quelle
che non sapremo dire se sono piccole piazze pubbliche o piuttosto dei
cortili privati.
Su questi cortili, o piazzette, si affacciano case in mattoni a vista che
spesso mostrano delle balconate, dei poggioli, delle finestrature in legno
quasi sempre decorato ad intaglio.
In uno di questi cortili vediamo un albero cespuglioso che arriva
all'altezza del tetto delle case di due piani: è in fioritura e con
meraviglia riconosciamo che si tratta di una "stella di Natale"
(Euphorbia pulcherrima), quella pianta che noi siamo abituati a
vedere in vaso per appartamento!
Spesso donne sono intente a lavare i panni all'aperto, o ad attendere ad
altri lavori domestici. Qualche anziano procede ad alcune operazioni di
restauro di una vecchia finestra in legno o a sistemare la catena di una
bicicletta.
Seppure siamo in una zona periferica, sicuramente non su una strada
principale, colpisce un po' tutti vedere continui segni di devozione
religiosa: possono essere semplici capitelli devozionali con le immagini
di Shiva o Ganesh, fino a costruzioni più complesse tali da apparire come
un tempietto al centro di un cortile.
Un
capitello per la strada dedicato a Ganesh.
Dopo
aver percorso questa strada che ci avevano indicato i ragazzi
dell'albergo, una specie di scorciatoia, ci troviamo ad un incrocio più
trafficato: tanta gente a piedi, tantissimi che si spostano in bicicletta,
considerevole il traffico di ricsciò.
Gli spazi non hanno più quell'aspetto "privato" che avevamo
incontrato prima, ma assumono più la valenza urbana della città con le
strade, le botteghe, il traffico.
Continua a rimanere l'aspetto della devozione religiosa: si incontrano
templi dove meno te lo aspetti. Così tra un negozio che vende abiti e
stoffe ed un
altro che vende valige e bauli in alluminio, vediamo una porta ad arco
affiancata da due colonne con i capitelli di un vago stile corinzio.
L'ingresso
ad un tempio nascosto dalla merce in vendita.
Davanti alle colonne altrettanti piedistalli sorreggono le statue di
due animali fantastici con le fauci spalancate, quasi delle chimere
leonine. Con molta indifferenza qualcuno ha lasciato, appoggiata su uno
dei due basamenti, la propria bicicletta mente l'altro è seminascosto dai
bauletti di alluminio del negozio.
Attraversiamo quindi la porta aperta e ci ritroviamo in un cortile che
immette all'ingresso di un tempio, che altrimenti sarebbe perfettamente
invisibile dall'esterno.
Numerosi sono poi i capitelli con le raffigurazioni di divinità un po'
ovunque. Hanno un aspetto sporco, che potrebbe far sospettare la presenza
di escrementi o del prodotto della minzione. In realtà si tratta di olii,
profumi, con cui vengono asperse le statuette, di colori naturali che
simbolicamente vengono applicati sopra, di residui di fiori con i quali
sono omaggiate.
Segni di religiosità popolare diffusa.
Ricsciò
in attesa dei clienti in Durbar Square.
Giungiamo
così ad una via che è tutta un susseguirsi di negozi. Sono tutti
rialzati rispetto al piano stradale di 40-50 e anche più centimetri. Sono
modulari, separati gli uni dagli altri da pilastri in legno su cui
poggiano i battenti che ne permettono la chiusura.
Si trova di tutto: bottiglie di liquori e altre bevande, thangka e
maschere tibetane, bigiotteria e monili, legna da ardere, vestiti e
stoffe, frutta e verdura, cesti ed altri oggetti in vimini, carne
macellata tenuta semplicemente all'aperto, incurante dell'assalto delle
mosche.
Quasi senza accorgercene arriviamo alle spalle del Palazzo Reale: siamo in
Basantapur Square; girandoci attorno passiamo accanto a templi ed edifici
in stile newar che avremo modo di visitare con calma nei prossimi
giorni ed alla fine sbuchiamo in Durbar Square, il cuore di Kathmandu.
In questo scenario, che ha del medioevale, c'è di tutto: automobili,
biciclette, animali, ricsciò, gente di tutti i generi.
Le grida delle persone si mescolano ai clacson delle macchine, lo
scampanellio ininterrotto delle biciclette ai suoni dei gong che
provengono dai templi vicini, i richiami dei conduttori dei ricsciò
all'abbaiare dei cani.
Decidiamo di fermarci e così ci indirizziamo verso un ristorantino che si
trova ad un piano mezzanino di un edificio storico di Basantapur Square,
adiacente a Durbar Square dalla quale è separata da un'ala del Palazzo
Reale. Possiamo così cenare affacciati sul turbinio cosmopolita della
piazza.
E' ormai notte e prendiamo la strada del ritorno verso il nostro albergo:
l'atmosfera è tranquilla e tranquillizzante e così senza timore
ripercorriamo le stradine secondarie prive di illuminazione che avevamo
percorso all'andata.
Per la mattina dopo è prevista la visita di alcune località nei
dintorni.