"Lingam"
e "yoni" lungo la scalinata monumentale che porta
alla collina Mrigasthali.
Un'altra sveglia mattutina per cercare
di effettuare le visite ad alcuni importanti centri nei dintorni di
Kathmandu.
Oggi è il 24 dicembre, vigilia di Natale, ma per i nepalesi è un giorno
come tutti gli altri, senza un particolare significato.
Riempiamo le nostre borracce con il tè caldo che ci hanno preparato i
ragazzi del Valley View e compriamo per strada un po' di frutta e qualche
pacchetto di gallette e biscotti.
Raggiungiamo così Pashupatinath, un luogo sacro sulle rive del fiume
Bagmati, a soli cinque chilometri da Kathmandu.
Pashupatinath è una città molto antica che dovrebbe avere avuto origine
nel III secolo a. Cr.: una leggenda la pone addirittura come prima capitale
del Nepal, anche se altri indizi invece fanno ritenere che il primo
insediamento nella vallata sia stato in quello che è oggi il Mangal
Bazaar di Patan.
Se la struttura attuale della città risale alla fine del XVI secolo, alcuni
reperti indicano chiaramente come Pashupatinath sia stato un centro
religioso molto importante in tempi più antichi: un'immagine in pietra che
rappresenta Virupaksha, ovvero Shiva nel suo aspetto con tre occhi, venne
ritrovata sulle rive semisommerse del fiume Bagmati ed un'altra pietra
interessante mostra la Regina Madre seduta su un trono posto su un
piedistallo a forma di campana. Entrambe queste sculture presentano delle
somiglianze con le steli più antiche del Regno Licchavi, che coprì un
periodo approssimativamente tra il V e l'VIII secolo d. Cr.
Il luogo è pervaso dalla presenza di Shiva che qui è venerato come
Pashupati, il signore degli animali e quindi, per estensione, delle anime.
La presenza di Shiva è quasi ossessiva con centinaia, ma forse sono
migliaia, di lingam (falli) disseminati all'interno ed all'esterno
dei templi, molto spesso eretti sul simbolo contrapposto, lo yoni (il
sesso femminile) che fa riferimento a Parvati, la compagna di Shiva (che poi
assume nomi diversi, secondo la tradizione e secondo le sue trasformazioni,
Sakti, Devi, Laksmi, eccetera).
Il
piccolo tempio di Bachaleshvari.
Sembra che siano oltre un centinaio i templi, qui a Pasupatinath, che contengono
un lingam (una guida di viaggio ne conta 124).
L'abitato si estende maggiormente sulla riva occidentale del fiume Bagmati,
in un punto in cui il fiume compie una curva attorno alla Collina della
Gazzella, o Mrigasthali, su cui sorgono altri templi.
A piedi percorriamo le stradine di Pashupatinath portandoci verso l'area
sacra dove sorge il complesso del tempio che custodisce il più sacro lingam
della valle di Kathmandu.
Il tempio è sormontato da un doppio tetto a pagoda rivestito di lastre di
bronzo dorato. Sotto il sole dovrebbe risplendere: oggi purtroppo la
giornata è grigia. L'apice dei pellegrini si ha in occasione della festa di
Shivaratri, che si celebra tra gennaio e febbraio (dipende dal calendario
lunare) allorché tutta la città si riempie di una folla immensa di fedeli
e di penitenti che tende a concentrarsi verso il fiume sacro riempiendo i ghat
all'inverosimile.
L'ingresso al tempio non è consentito ai non induisti, cosicché noi
dobbiamo accontentarci di girarci attorno.
Il tempio che vediamo, sia pure dall'esterno, venne costruito nel 1692 in
sostituzione di un tempio più antico che era stato devastato dalle termiti.
Ci dirigiamo verso il fiume sacro, il Bagmati, alla ricerca del ponte che ci
consentirà di attraversarlo.
A sinistra, prima del ponte, c'è il piccolo tempio di Bachaleshvari: sulle
pareti ci sono alcuni pannelli con bassorilievi tantrici a tema erotico di
non grande fattura.
Attraversiamo il ponte e dalla sponda sinistra del fiume vediamo i ghat che
formano parte integrante del tempio.
Pira
funeraria sul Bagmati.
Qui
si svolgono le abluzioni degli indù nel fiume sacro che reca la promessa
di una fuga dal ciclo delle rinascite.
Le
abluzioni rituali sul fiume Bagmati.
Ma qui si svolgono anche i funerali indù: vengono infatti portati i morti
su dei pagliericci accompagnati dai parenti (solo quelli maschi, le donne
restano a casa).
In genere è il figlio maggiore a condurre la cerimonia funebre: il
defunto, sulla sua barella, viene calato nelle acque sacre del Bagmati.
Anche per lui c'è l'abluzione rituale, quella speranza che possa sfuggire
alla ruota delle reincarnazioni; dell'acqua viene portata alla sua bocca.
La salma viene quindi spogliata e posta sulla pira predisposta; viene
ricoperta di paglia e ramoscelli secchi mentre i familiari ci girano
attorno.
Alla fine viene acceso il fuoco.
Accanto resta sempre qualcuno per controllare che il fuoco arda in modo
uniforme e riduca in cenere l'intero corpo. Le ceneri verranno poi
affidate alla pietà delle sacre acque del Bagmati.
Non è vietato fotografare, ed infatti al nostro fianco alcuni turisti
francesi con potenti teleobiettivi fotografano tutto. Ma a me sembra che
quest'ultimo saluto che i familiari danno al loro morto sia un evento
assolutamente privato, dove la nostra morbosa curiosità dovrebbe restare
ad un rispettoso passo indietro. Mi limito a fare due o tre scatti di
sfuggita, e nulla più.
La
grande cupola ("anda") dello stupa di Boudhanath.
Da
questo lato del fiume, una gradinata costellata di tempietti votivi e con
gli immancabili lingam conduce verso la cima boscosa della
collina Mrigasthali.
In realtà sarebbe possibile compiere il giro completo della collina, dove
sorgono alcuni importanti templi (entro alcuni dei quali però non è
permessa la visita per i non induisti). Su una specie di spianata si
alternano costruzioni a templi e tempietti votivi con l'onnipresente lingam.
Qui, ci dicono, c'è anche un lebbrosario.
Ma comincia ad essere tardi e ritorniamo sui nostri passi: sui ghat
c'è ancora qualche pira accesa: il fumo delle cremazioni si mescola a
quello dell'incenso che viene bruciato nel tempio.
Il tragitto che ci aspetta è veramente breve: sono due i chilometri che
separano Boudhanath dove arriviamo in cinque minuti.
Qui si erge il più grande stupa del Nepal ed uno dei più grandi del
mondo.
Veduta
parziale del complesso dello stupa di Boudhanath.
Lo stupa si trova su quella che era l'antica via commerciale che da
Lhasa, in Tibet, portava nella valle di Kathmandu, per il villaggio di
Sankhu, passando per Boudhanath e poi per l'antico piccolo stupa di
Cā-Bahī (ancora esistente) per dirigersi a Sud, verso il fiume
Bagmati e Patan; dobbiamo ricordare che a quel tempo Kathmandu non era
stata ancora fondata.
I mercanti tibetani si sarebbero non solo riposati in questo luogo, ma
avrebbero anche offerto preghiere per assicurarsi un viaggio sicuro
tenendo lontani i pericoli lungo i valichi himalayani.
Molte sono le leggende, anche inverosimili, che sono sorte attorno a
questo stupa, compresa quella che vorrebbe sia stato costruito
subito dopo
la morte di Buddha (ma non è così antico).
Realtà, storia e leggende si mescolano tra loro: così se forse il
primitivo stupa originario potrebbe essere stato costruito da Re
Manadeva (464-505 d. Cr.), la credenza popolare suggerisce che il sovrano
lo avrebbe edificato per espiare i suoi peccati, su ordine della dea Mani
Jogini.
Se lo stupa originario, verosimilmente, si può collocare attorno
al VI secolo d. Cr., quello attuale dovrebbe risalire al XIV secolo.
E' noto che gli stupa sono costruiti per contenere reliquie o
oggetti sacri per il culto. Che cosa contiene lo stupa di
Boudhanath? In realtà nessuno lo sa; ci sono solo ipotesi, dicerie, anche
contrastanti. Ecco che c'è chi afferma che conterrebbe qualche frammento
osseo addirittura del Gautama Buddha, il Buddha storico.
Un
fedele con il suo mulinello di preghiera.
Altri
invece sostengono che conterrebbe i resti di Kassapa (il sesto dei sette
Buddha del passato, dopo Kanakamuni Buddha e prima di Gautama Buddha).
In pratica non si sa!
Lo stupa di Boudhanath è costituito da una base formata da due
grandi terrazze poste a livelli differenti; quattro scalinate, poste ai
quattro punti cardinali, consentono l'accesso all'anda (ovvero la
calotta emisferica) che è sormontata da una torretta (harmika) su
cui svetta il pilastro cosmico.
Gli
occhi compassionevoli di Buddha.
Su ciascuna delle quattro facce dell'harmika sono dipinti due
occhi. L'interpretazione di questi occhi non è perfettamente concorde.
C'è chi ritiene che, essendo rivolti ai quattro punti cardinali,
rappresentino Buddha come «...colui che tutto vede»; altri si
limitano a interpretarli come il suo sguardo compassionevole sul mondo
(che poi alla fine riempie i quattro punti cardinali).
Le prime case costruite attorno allo stupa sono disposte lungo due
circonferenze concentriche.
L'atmosfera che si respira ha dell'incredibile: ad ogni passo si
incontrano monaci con le loro vesti marrone, le teste rasate; se è
vero che molti dei negozietti attorno allo stupa propongono oggetti
per turisti, è anche vero che molti hanno oggetti votivi e di preghiera,
necessari per la vita religiosa di ogni buddhista tibetano.
Infatti
i buddhisti tibetani sono molti: il loro aumento è coinciso con il 1959,
anno dell'invasione cinese in Tibet. Moltissimi si sono rifugiati qui.
Attorno allo stupa vivono anche molti sherpa, discendenti
delle popolazioni tribali tibetane che, già nel XVI secolo, scesero per
stabilirsi in Nepal.
Differentemente da Pashupatinath, dove abbiamo visto i templi induisti
preclusi ai non induisti, qui i monaci tibetani sembrano persino gioiosi
nell'accogliere e nell'ospitare il non buddhista: sembra quasi una festa
per loro farci entrare in una delle loro numerose sale di preghiera che
circondano il gigantesco stupa.
Una
sala di preghiera buddhista.
Lasciamo un po' a malincuore questo luogo che ci riempie tutti di una
grande pace interiore perché ci aspettano una decina di chilometri da
percorrere verso Nord per raggiungere un altro luogo da visitare:
Budhanilkantha.
Sulla
strada verso Budhanilkantha.
Lungo la strada vediamo alcuni gruppetti di nepalesi diretti
evidentemente in questo luogo di pellegrinaggio; ma anche altri che sono
intenti nelle loro faccende quotidiane.
In particolare mi colpisce un uomo che trasporta sulla schiena la sua gerla
piena di legna sostenendola, tramite una fascia, con la fronte. Avevo visto
un modo simile di trasportare carichi sulla schiena trattenendoli con la
fronte solo una volta, e precisamente lo scorso aprile a
Chichicastenango, in Guatemala: proprio dalla parte opposta del mondo!
Budhanilkantha è un piccolo villaggio di agricoltori dove si trova una
vasca d'acqua, lunga 13 metri, scavata artificialmente.
Su questa vasca è posta una scultura, a filo con l'acqua, che rappresenta
il dio Vishnu steso su un letto di spire che, a ben vedere, sono serpenti.
La scultura, lunga 5 metri, è ricavata da un unico blocco di basalto nero.
La
scultura sullo specchio d'acqua artificiale di Budhanilkantha.
Poiché questo tipo di pietra non si trova nella valle, è evidente che
è stato trasportato fin qui da altrove: una bella impresa anche perché
venne fatta anticamente. Infatti si ritiene che la scultura, in stile licchavi,
sia opera risalente al VII o VIII secolo d. Cr.
Vengono date alcune chiavi di lettura di quest'opera, se non unica, di certo
inconsueta.
La
scultura di Vishnu vista dal lato del ponticello.
L'acqua del laghetto artificiale che circonda la composizione
rappresenterebbe il mare cosmico. Vishnu appare disteso, con le gambe
incrociate, mentre tiene nelle mani i suoi attributi: il chakra
(disco, o ruota), sia nel significato di disco, come arma da lancio, e
quindi potere e protezione, sia nel significato di ruota solare, o del
carro celeste che trasporta la divinità; simboleggia anche la mente.
Ha poi in una mano il gada, la mazza di nome Kaumodaki, con cui
Vishnu uccise il demone Gada: essa simboleggia il tempo che tutto
distrugge, ma anche la conoscenza primordiale.
Il terzo attributo che tiene in mano è la conchiglia (sanka):
anch'essa è un'arma, infatti soffiandoci dentro si ricavano dei suoni che
atterriscono i demoni e li fa fuggire; ma è anche rappresentativa dei
quattro elementi, perché Vishnu se ne appropriò strappandola al demone
Pancajanya, il cui nome significa appunto "tutti gli elementi".
Infine il padma, il seme del fiore di loto, che è sì simbolo
della divinità solare, ma anche dell'Universo in ciclico movimento: il
fiore di loto sarebbe nato dall'ombelico di Vishnu e da questo fiore
sarebbe stato generato Brahma, il creatore.
Ma il letto su cui giace il Vishnu di Budhanilkhanta non sarebbero
serpenti avvinghiati, ma un unico serpente, Shesha, il serpente cosmico,
detto anche Ananta (infinito), il dio serpente dalle 11 teste che
simboleggia l'eternità.
Un
pellegrino Budhanilkhanta.
Il culto di Vishnu è stato molto popolare in Nepal, fino a quando esso
non venne soppiantato da Shiva.
Tuttavia il Re Jayasthiti Malla (XIV secolo) per far continuare il culto
di Vishnu sostenne di essere lui stesso l'ultima incarnazione di questo
dio e di conseguenza tutti i successivi sovrani nepalesi ebbero la stessa
pretesa.
Ovunque
in Nepal si vedono tanti bambini: persino qui a Budhanilkantha.
Per questo motivo, non potendo una reincarnazione del dio vedere se stesso
(la statua), i re nepalesi non possono recarsi a Budhanilkantha.
Durante la nostra visita ci sono alcuni fedeli, qualche decina, che si
recano in questo luogo sacro. Ma la festa grande avviene durante il mese di
kartika (tra ottobre e novembre, dipendendo dal calendario lunare) quando,
passata la stagione dei monsoni, Vishnu si risveglia dal suo sonno.
Lasciamo dunque questo villaggio per puntare decisamente a Sud, verso Patan,
attraversando la periferia orientale di Kathmandu.
Poiché transitiamo proprio di fianco all'aeroporto, ci fermiamo per avere
notizie sui voli turistici, che vengono effettuati con piccoli aeroplani,
sull'Himalaya e verso l'Everest.
Purtroppo non si può prenotare il volo per domani mattina: al momento le
condizioni meteorologiche sull'Himalaya sono variabili. Quando si stabilisce
di voler fare l'escursione si deve andare direttamente all'aeroporto: se si
può volare, ci si può imbarcare, altrimenti si attende che il tempo
migliori.
E' evidente che non possiamo permetterci di perdere delle mezze giornate
nell'incertezza, con il rischio di non riuscire a volare, quindi
ci rinunciamo.
Proveremo domani a fare un'escursione in un luogo panoramico dal quale si
può avere una visione della catena himalayana, e con molta fortuna anche
vedere il monte Everest.
Proseguiamo ed in meno di mezz'ora, superato il fiume Bagmati, raggiungiamo
Patan.
Budhanilkantha:
tre generazioni anche per il modo di vestire. Il vecchio patriarca
con le sue vesti tradizionali, l'uomo maturo con un maglione
occidentale, i ragazzi in jeans.