I
nostri bagagli all'arrivo nell'aeroporto di Hulhule.
Avvicinandoci con l'aeroplano verso
l'arcipelago di atolli, speravamo di vedere il panorama mozzafiato delle
isolette che lo compongono circondate dalla barriera corallina. Purtroppo il
tempo grigio, la pioggia e le nuvole basse ci impediscono la visione.
Atterriamo Hulhule, un'isoletta prossima a quella di Malè, la capitale.
La costruzione di questo aeroporto comportò anche un'ennesima deportazione
dei discendenti di quella che probabilmente fu la più antica popolazione
che abitò queste isole, i Giraavaru, di origini dravidiche.
Queste genti, provenienti dalla regione indiana del Kerala, abitarono le
Maldive ancor prima dell'arrivo del buddhismo prima, dell'islam poi.
Anche a causa di pregiudizi di casta, quello dei Giraavaru restò un gruppo
estremamente chiuso in se stesso con la conseguenza di tramandarsi di generazione
in generazione problemi genetici ereditari che hanno tenuto sempre molto
basso il loro numero.
Concentrati nell'isola di Giraavaru, nel 1968 furono costretti a lasciarla:
infatti secondo la legge islamica non potevano costituire una comunità
nella preghiera del venerdì, in quanto il numero dei maschi era inferiore a
40. Questo dato dà anche l'idea di quanto si fosse ristretto il loro
gruppo.
Così furono trasferiti d'autorità in un'altra isola dell'atollo, Hulhule.
Quando poi quest'ultima fu destinata all'ampliamento dell'aeroporto, i
Giraavaru subirono un altro esodo forzato nella vicina Malè, dove furono
trasferiti in alcuni anonimi fabbricati.
Nonostante le isole Maldive siano aperte al turismo internazionale,
mantengono una certa osservanza delle regole religiose musulmane.
Ce ne accorgiamo subito al nostro arrivo in aeroporto: il controllo del
bagaglio è piuttosto minuzioso e così ci vengono sequestrati souvenir
che avevamo acquistato in Nepal (statuette di divinità induiste e buddhiste,
thangka) oltre ad un paio di bottiglie di whisky comperate al duty
free dell'aeroporto di Colombo.
Ci viene assicurato che tutto quanto è stato sequestrato ci verrà
riconsegnato nel momento in cui lasceremo il paese.
Ne dubitiamo molto, anche perché i nostri oggetti, dalla statuina in bronzo
di Shiva danzante alla bottiglia (piena a metà) di Johnnie Walker, stanno
lì per terra, dietro il banco della dogana.
Comunque pare che ci sia tra noi chi
sarebbe riuscito ad ottenere una ricevuta di consegna.
Una
strada di Malè vicina alla casa dove abbiamo alloggiato.
Invece non ci sarà ricevuta né restituzione per due nostri compagni di
viaggio: tra i loro bagagli è stata ritrovata della droga da fumare che,
incautamente, avevano acquistato a Kathmandu: sarebbe stato meglio che se la
fossero fumata tutta in Durbar Square!
La polizia locale è stata inflessibile: arresto!
A noi nel frattempo viene chiesto di pagare una tassa, una specie di tassa
di soggiorno, di 5 dollari al giorno a persona. Pare che se fossimo in
possesso di una prenotazione presso un albergo o un resort, non ci
sarebbe da pagare nulla.
Ma, dal momento che non abbiamo alcuna prenotazione (la nostra idea è
quella di trascorrere una settimana in un'isoletta dell'arcipelago chiedendo
ospitalità ai pescatori) c'è questa tassa da pagare.
La cosa in verità appare poco chiara e viene anche il sospetto che possa
trattarsi di una "mancia" per qualche addetto della
polizia, forte del fatto che due di noi sono stati scoperti con della droga.
Si riesce a soprassedere per il momento al pagamento della tassa, in attesa
di un chiarimento che cercheremo di avere con l'ufficio immigrazione della
capitale.
Così raggiungiamo Malè con una barca che ci traghetta assieme ai nostri
bagagli. Eraldo invece resta con i nostri due sventurati compagni per
offrire loro assistenza, anche per la sua ottima conoscenza dell'inglese.
Il cielo è sempre nuvoloso e si accompagna con frequenti violenti
acquazzoni. Domandiamo al barcaiolo notizie del tempo: non eravamo arrivati
alle Maldive con la prospettiva di prendere la pioggia! Il barcaiolo ci
rassicura: «Di questa stagione alle Maldive piove pochissimo; quando
piove lo fa per tre giorni e basta. Oggi è il terzo giorno». Speriamo
che abbia ragione!
Giunti sulla banchina del porto, i nostri bagagli vengono caricati su un
carretto impregnato di odore di pesce, mentre cerchiamo informazioni per un
luogo dove dormire.
Una annotazione curiosa: anche i carretti sospinti a mano qui hanno la targa
identificativa!
Ci viene proposta un'abitazione privata che, pare, abbia posto per tutti.
Noi ci dirigiamo a piedi mentre un ragazzo si prende cura del carretto con i
bagagli.
Attraversiamo una buona metà dell'isola camminando su strade non asfaltate,
ma ricoperte solo di un soffice strato di sabbia corallina bianca. Quasi non
ci sono automobili: chi si sposta lo fa a piedi o in bicicletta e se c'è
merce da spostare ci sono i carretti a mano.
Il
bagno in comune!
Entrando
per dei vicoli raggiungiamo questa specie di bed & breakfast.
E' gestito da una signora dall'età indefinibile che, vestita al modo
musulmano, ci accoglie seduta mentre fuma da un narghilè.
La
padrona del bed & breakfast con il suo narghilè.
La divisione delle camere è presto fatta dalla signora: i maschi da una
parte, le donne nell'altra! Ma aggiunge con un sorriso: «Se qualche
coppia ha un certificato di matrimonio scritto in inglese, non ho
difficoltà a farli dormire assieme».
Inutile a dire che ci troviamo tutti separati, in camere maschili o
femminili.
Qualcuno crolla sui letti, quei tipici semplici letti arabi su cui si sta
seduti, si conversa, si beve il tè, si dorme. E' comprensibile: la notte
scorsa avremo dormito forse due ore.
Ci viene indicato il bagno comune (per soli maschi; quello femminile, che
ci dicono sia identico al nostro, è separato da un muretto alto un paio
di metri): è un cortiletto all'esterno con un piccolo pozzetto da cui
attingere l'acqua, a fianco di un piano in cemento dai bordi leggermente
rialzati, dove farci le abluzioni. Mezzo metro più in là è cementato il
foro di una specie di bagno alla turca.
Tutto molto nature e naïf!
Alla sera ci raggiunge Eraldo:i ragazzi sono in una prigione della
polizia; per uscire devono pagare una cauzione. E' già stato fatto un
telegramma alla famiglia perché dispongano un bonifico bancario, ma ci
vorrà qualche giorno per vederli liberi, sia pure sotto cauzione.
Il problema della nostra tassa di 5 dollari viene rimandato a domani
mattina, quando gli uffici governativi saranno aperti.
Ceniamo a base di pesce in un locale modesto vicino al nostro alloggio e
alle nove di sera, distrutti, siamo già a dormire per recuperare il sonno
arretrato.
Il mattino dopo ci accingiamo, a turno, alle abluzioni nel cortiletto.
Il porto dei pescatori a
Malè: qui scaricano il pesce e gli altri frutti del mare che poi
vengono smistati con dei carretti a mano, tutti rigorosamente con la
targa!
Accompagniamo
per un po' Eraldo nel suo giro per uffici. Fortunatamente sono quasi tutti
concentrati in un'unica via, dove ci sono anche i ministeri.
C'è la questione dei 5 dollari a persona per giorno che gli ospiti devono
pagare all'amministrazione maldiviana.
Ci viene spiegato che tutti gli stranieri ospiti nella Repubblica delle
Maldive devono pagare una tassa di 5 dollari per ogni giorno di
permanenza. Se il turista è ospite di un resort o di un albergo,
ugualmente li paga, anche se non se ne accorge perché sono già compresi
nella tariffa della struttura alberghiera che li versa
all'amministrazione.
Noi in realtà non abbiamo alcuna prenotazione perché abbiamo intenzione
di vivere in un'isola di pescatori, quindi dobbiamo pagare la tassa
direttamente al Ministero dell'Interno.
La trattativa va avanti per un paio d'ore con Eraldo che, fortunatamente,
riesce ad essere convincente e persuasivo grazie alla sua perfetta
conoscenza dell'inglese.
Alla fine otteniamo un risultato che ci sembra giusto: poiché saranno dei
pescatori ad ospitarci, a loro pagheremo la tassa di 5 dollari per ogni
giorno di permanenza nella loro isola. Almeno in questo modo di quella
tassa ne può beneficiare direttamente la comunità dell'isola.
Eraldo deve poi occuparsi dei nostri due compagni di viaggio bloccati
dalla polizia; per questo si reca al Ministero della Giustizia lasciando
comunque noi liberi di girare a visitare l'isola.
In realtà non sono molte le cose da visitare a Malè. Si fa una
passeggiata lungo la Marine Drive verso il porto, non quello dove siamo
sbarcati ieri con i bagagli provenienti dall'aeroporto di Huluhule, ma il
porto vicino che è ancora quello tradizionale dove approdano i pescatori
con i dhoni, le tipiche imbarcazioni maldiviane a fondo piatto per
superare le barriere coralline, dove scaricano pesce, conchiglie, corallo
e caricano mercanzie da portare alle loro isole.